Sermone: EMPATIA

Apocalisse 2, 8-11

Cari fratelli e sorelle, nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, ricorre il termine “sinagoga di Satana”: “quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono ma sono una sinagoga di Satana”. Quest’ultima affermazione, particolarmente dura, “Sinagoga di Satana”, è stata utilizzata varie volte per indicare, in ambienti fondamentalisti ed estremisti, di varia matrice, sia gli Ebrei che la Massoneria. E questo perché la seconda, la Massoneria, veniva vista come un’entità malvagia, che voleva distruggere la Chiesa Cattolica ed era guidata, appunto, dagli Ebrei. Il famoso complotto “pluto demo giudaico” di cui si sono nutrite le varie dittature fasciste a partire dagli anni ’20 e di cui, purtroppo, continuano ancora a farlo, ancora ai giorni nostri, numerosi gruppi che a tali ideologie demoniache si rifanno. Difatti, questo pregiudizio, è maledettamente ancora vivo ai nostri giorni: basti pensare, ultima in ordine di tempo, alla strage, avvenuta qualche settimana fa negli Stati Uniti, nella sinagoga di Pittsburgh, in Pennsylvania. Nella quale l’attentatore, un fanatico suprematista bianco, in vari post sul suo profilo Facebook definiva, a più riprese, gli Ebrei come “figli di Satana”, “popolo di Satana”. Naturalmente, cari fratelli e sorelle, questa ed altre, sono frutto di una lettura biblica alquanto superficiale per non dire volutamente piegata alle proprie idee e pregiudizi. Una lettura di comodo, che prende alla lettera la Parola di Dio senza porsi alcuna considerazione esegetica o, semplicemente, di traduzione corretta dall’ebraico o, come in questo caso, dal greco. Una lettura proprio da frequentatori della “Sinagoga di Satana”.

Una lettura invece rispettosa della parola di Dio, ci dice che il vero Giudeo non è colui che anagraficamente fa parte di Israele. L’apostolo Paolo lo dice espressamente nell’Epistola ai Romani 2:28-29: “Giudeo infatti non è colui che è tale all’esterno; e la circoncisione non è quella esterna, nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; di un tale Giudeo la lode proviene non dagli uomini, ma da Dio”. Ecco chi è il vero Giudeo. Non più colui che porta un segno esteriore nella carne, come la circoncisione, ma colui che è soggetto alla legge dell’amore. Ovvero, al comandamento che nostro Signore Gesù Cristo ci ha dato rispondendo ad un fariseo che, dopo aver visto come aveva sistemato i sadducei che non credevano nella resurrezione, credendo quindi che Gesù appoggiasse i farisei, gli chiese «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?». E Gesù gli rispose chiaramente “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti». Ecco fratelli e sorelle, questo è il nuovo patto stipulato con Dio e santificato dal sangue di Suo Figlio: non più il rispetto “legalistico” di determinate norme cosiddette di “purezza”, ben evidenti nell’Antico Testamento, quali, ad esempio, le famose norme alimentari in merito ai cibi ma non solo. Ma “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Non solo a parole quindi! E “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Lo abbiamo visto chiaramente nella lettura biblica di oggi, in Matteo 25 “in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. Dinanzi al Signore, quindi, colui che fa parte del “vero Israele” è colui che ha un cuore circonciso nello spirito. Ma cosa significa avere un cuore circonciso? Significa avere un cuore disposto all’ubbidienza, unito al Signore. Così certo non era e non è per quelle persone che si proclamano religiose ma in realtà sono prive di qualsiasi forza di vita, di una vita che procede dal Signore. Farisei, sepolcri imbiancati. Ecco cosa sono. Come ben li definisce Gesù in Matteo 23: “belli di fuori, ma dentro … pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia… di fuori sembrate giusti alla gente ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità… ipocriti, perché pagate la decima … e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede”. L’invito che il Signore Iddio ci rivolge tramite la Sua parola è quindi chiaro, cari fratelli e sorelle, e lo vediamo anche in Matteo 7: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Fatti, non parole! Agisci, datti da fare. “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Non solo a parole! Fai la volontà di Dio. Aiuta il tuo prossimo! Non perdere tempo in chiacchiere inutili. Non venire a batterti il petto in chiesa e a cantare le lodi al Signore se non hai adempiuto prima alla Legge dell’Amore. E, soprattutto, non commiserarti. Non commiserarti.

Infatti, nella nostra lettura biblica di oggi abbiamo sentito chiaramente dire “io conosco … la tua povertà (tuttavia sei ricco)”. Tuttavia sei ricco. Smettila quindi di lamentarti e datti da fare. Se credi veramente nel Signore Egli è qui con te e più grande ricchezza non puoi avere! Dice infatti Gesù nell’Evangelo di Matteo 17,20: “In verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: “Passa da qui a là”, e passerà; e niente vi sarà impossibile”. Niente vi e ci sarà impossibile se abbiamo fede in Dio. Ma per farlo non dobbiamo cadere nelle calunnie e farci impressionare dalle offese, dalle maldicenze, dai fastidi e da tutto il male che potrà venire contro di noi da parte “di coloro che si dicono Giudei e non lo sono”. Ovvero, da chi si definisce cristiano, figlio di Dio, e lo è solo a parole. Ma non lo è nel cuore, non lo è nei fatti. Quante volte, cari fratelli e sorelle, nei social network, tanto per fare un esempio fra i tanti, troviamo persone che commentano “affoghiamoli tutti”, “bruciamoli vivi”, oppure esultare per le morti in mare o denigrare ed insultare disabili e malati. Oppure “accoglili tu, buonista”. O, ancora, scandalizzarsi perché due uomini o due donne si baciano e invocare il rogo come ai tempi, evidentemente a loro assai cari, della Santa Inquisizione. E poi, fra le foto e i post del loro profilo Facebook, troviamo le immagini di Nostro Signore, della Vergine Maria e dell’immancabile Padre Pio? “Gesù ti amo”, “Gesù benedicimi” dicono. “Via da me, maledetti, nel fuoco eterno” risponde Gesù. “Via da me, maledetti, nel fuoco eterno” Perché Gesù non usa mezzi termini, non te le manda a dire. Va dritto al sodo.

Che fare quindi con costoro? Come dobbiamo comportarci nei loro confronti? Chiuderci forse in noi stessi, pieni di rabbia e rancore, consolandoci nel fatto di essere giusti? Dicendo e dicendoci “Io sono un vero cristiano, non come quello o quella”? No! Assolutamente no! Smettila di lamentarti e inizia a testimoniare. Testimoniare la parola di Dio con le opere, con i fatti. Altrimenti sarai come loro, i “non Giudei”, “la sinagoga di Satana”. Coloro che predicano bene e razzolano male, molto male, tanto per citare una nota saggezza popolare. “Ma facendo così mi esporrò ancora di più alle critiche e alle prese in giro!” potremmo dire. “Sono stanco di replicare loro, tanto non capiscono e mi offendono”. Ma il Signore, come è scritto nella nostra lettura biblica di oggi, ci risponde “Non temere ciò che dovrai soffrire … Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”. Ecco il premio. Un premio che non viene dato una volta sola. È un premio che dura per l’eternità. Un tempo per il quale vale la pena darsi da fare ora, adesso. Bisogna quindi ascoltare la parola che ci viene da Dio e però metterla poi in pratica. “Val più la pratica che la grammatica” dice un altro detto popolare. Quindi, cari fratelli e sorelle, “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. Tutti abbiamo due orecchie ma, spesso e volentieri, ascoltiamo solo quello che vogliamo ascoltare. Non siamo cioè disposti ad accogliere i messaggi che ci vengono dall’esterno, dagli altri. In pratica, sentiamo, udiamo, ma non ascoltiamo veramente. E c’è una bella differenza! Noi sentiamo i rumori, sentiamo qualcuno che parla, ma non ascoltiamo. Perché ascoltare significa porre attenzione, mettersi in gioco, confrontarci con idee e situazioni che ci mettono spesso e volentieri in crisi. E alle quali non sappiamo rispondere. Non ascoltiamo perché, nella conversazione, nel dialogo, siamo troppo preoccupati e attenti, mentre l’altro ci parla, a pensare a cosa rispondergli. Non lo ascoltiamo veramente! Gli diamo l’impressione di ascoltarlo ma, in realtà, dentro di noi stiamo elaborando, stiamo preparando la risposta da dargli. Ma facendo così non lo abbiamo assolutamente ascoltato! Lo avremo sentito ma non compreso. Manchiamo quindi, cari fratelli e sorelle, spesso e volentieri, di quella che gli psicologi definiscono “empatia”. Ovvero, la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro.

Non è facile sicuramente essere empatici. Ma è necessario farlo se vogliamo una sana e pacifica convivenza. Capire e comprendere realmente l’altro. A questo siamo chiamati noi cristiani. Non ci chiamiamo forse l’un l’altro “fratelli e sorelle”? Non siamo forse figli di un solo Dio? Abbiamo o no un Padre comune? Dobbiamo quindi cercare di diventare empatici. Ma dobbiamo esserlo anche nei confronti della Parola di Dio. Infatti, l’ultimo versetto della nostra lettura biblica odierna, ci dice chiaramente “chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. Dove per “chiese” dobbiamo leggere “noi”. Perché la Chiesa siamo noi. Non una gerarchia di persone, non chi ha responsabilità più o meno grandi nella gestione delle comunità cristiane. “Una Chiesa di pietre vive” dunque, come scritto chiaramente nella Prima Lettera di Pietro 2,5 “anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”. Pietre vive che tengono assieme l’edificio, la comunità. Dove ognuno, ognuno di noi, ogni pietra, è importante. Perché se viene a mancare cade tutto o comunque il danno si vede. Pietre vive, non morte. Pietre che hanno la loro funzione, il loro compito. Così dobbiamo quindi essere noi, cari fratelli e sorelle: vivi e non morti. Con voglia di fare, di agire, di mettere in pratica la Parola di Dio e non solo di parlare. Fatti e non parole. Siamo pieni di gente che parla ma che poi non conclude. Quale sarà quindi il nostro premio eterno per tutto ciò? “Chi vince non sarà certamente colpito dalla seconda morte” dice la parte finale della Parola di Dio di oggi. La seconda morte. Mi vengono in mente, cari fratelli e sorelle, le ultime parole del “Cantico delle creature” di Francesco d’Assisi: “Beati quelli che la troveranno (si riferisce alla morte del corpo) mentre stanno rispettando le tue volontà perché la seconda morte, non farà loro alcun male”. La seconda morte, ovvero la morte dell’anima. Dopo la morte del corpo, l’anima sopravvive ed aspetta il giudizio divino. E noi saremo giudicati non in base ai nostri peccati ma sull’Amore. Quanto amore avremo dato agli altri, quanto bene avremo fatto. Ti sei dato da fare o hai solo parlato? Questo ci chiederà nostro Signore al momento del giudizio finale. “Chi vince non sarà certamente colpito dalla seconda morte”. Dobbiamo quindi “vincere”. Vincere le nostre paure, le nostre perplessità ad uscire da quella che gli psicologi chiamano “area comfort” o “zona comfort”. Il nostro piccolo recinto che ci siamo creati per stare bene con noi stessi ma che, essendo appunto un recinto, tiene fuori gli altri. Li tiene lontani perché ci possono disturbare, ci danno fastidio. Non ci permettono di vivere in maniera confortevole.

Pensiamoci bene cari fratelli e sorelle. Diamoci da fare. Abbattiamo questo recinto e accogliamo empaticamente l’altro da noi. Ci aspetta il premio eterno!

Amen

Daniele Rampazzo