Sermone: FESTA DELLA RIFORMA – CINQUE “SOLA”

Cari fratelli e care sorelle,

Abbiamo fatto riferimento ai “cinque sola” e forse è il caso che per una nostra maggiore consapevolezza li ripassiamo insieme, anche se certamente li conosciamo:

  1. Sola Scriptura, cioè solo alla Bibbia va riconosciuta l’autorità; non alla chiesa, alle tradizioni e men che meno alle impressioni personali o ai sentimenti soggettivi. Certo vi sono autorità riconosciute anche dalla Bibbia, ma se una qualunque di esse si allontana dall’insegnamento biblico, deve essere rigettata.
  2. Solus Christus, perché la salvezza è stata già operata grazie all’opera di Cristo ed al suo sacrificio per l’espiazione del nostro peccato.
  3. Sola Gratia, che significa che l’uomo, anche il più probo, non può vantare alcun credito nei confronti di Dio, perché l’uomo non può contribuire con il Signore alla propria salvezza, già realizzata per Sua grazia.
  4. Sola Fide, cioè l’uomo diventa destinatario della grazia aderendo al messaggio evangelico con fede, affidandosi all’unico vero Signore.
  5. Soli Deo gloria, cioè solo a Dio la gloria. Il quinto punto nel quale convergono i primi quattro e che richiama chiaramente l’inizio dei dieci comandamenti, dove si dice che non v’è altro Dio al di fuori di Colui nel quale crediamo e solo a lui può andare la nostra preghiera e la nostra adorazione.

Questi principi hanno comportato una rottura con il pensiero religioso del tempo, hanno creato una vera e propria frattura, dando luogo ad una religiosità completamente diversa da prima, un modo di vivere la fede senza orpelli umani, ma soprattutto senza paura.

Leggiamo ora dal vangelo di Matteo 10:26-34.

“Non temete dunque; perché non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto.

Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna.

Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro.

Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri.

Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli.

Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada”.

Non temete. Così inizia il nostro passo.

“Non temete” ha detto Gesù ai suoi discepoli di allora e lo ha detto per ben tre volte. E lo dice anche a noi oggi, qui riuniti per il nostro culto.

Gesù parla sapendo bene che il suo messaggio aveva creato problemi e li avrebbe creati ancora nel momento in cui fosse stato proclamato a gran voce “sui tetti”, ci viene detto. Gesù incoraggia i suoi discepoli, dando loro una consolazione: “Non temete!”

Ma temere cosa? Che cosa potevano temere? Ma soprattutto, che cosa possiamo temere?

Si può temere di essere banalizzati, di doversi giustificare per i propri principi, di essere derisi, di essere magari considerati “bigotti”, di sentirsi al di fuori della realtà dominante, così materialistica.

Molte le emozioni che ci fanno temere di non essere accettati e questo talvolta ci porta ad un eccesso di timidezza nell’affermare la nostra fede. Magari la professiamo con coloro che la condividono, magari preferiamo rinchiuderci per timore del giudizio degli altri e così è che non abbiamo il coraggio di “salire sui tetti” per proclamarla a gran voce.

Ma Gesù dice “non temete”. Un’espressione di amore e di incoraggiamento ma potremmo dire anche uno sprone, un ordine, un vigoroso invito per guardarci dentro e cercare di vincere i nostri problemi psicologici, perché essi possono influire pesantemente sulla nostra stessa etica di vita.

Come? Se ho timore di qualcosa o di qualcuno, se temo di non essere accettato perché io stesso non mi accetto, facilmente cercherò di cambiare il mio comportamento evitando le situazioni che mi creano ansia. Divento così succube di coloro che temo, ma anche di me stesso e quindi non solo non professerò ciò che sono e ciò in cui credo, ma mi adeguerò a coloro che non mi accettano per paura del loro rifiuto, perdendo così di vista la mia stessa libertà di essere come sono.

Ecco allora che quel “non temete” detto da Gesù riveste un’importanza fondamentale nella vita del credente e potrà portarlo a un’inversione di pensiero, una vera e propria conversione che gli permetterà di dire “sono in cuore a Dio” invece che “ho Dio nel mio cuore”.

Ma nel passo che abbiamo letto, oltre alla bella immagine, molto rassicurante del passero, c’è anche un altro aspetto assai rilevante. Gesù dice  “… non sono venuto a mettere pace, ma spada”.

È forse questa una minaccia?  Certo che no. Perché chi ama non minaccia, perché la fede in Dio proclamata da Gesù non si ottiene con le armi, né con la violenza.

E allora, che significato ha questa spada?

Ha il significato di “rottura”, di divisione da ciò che era vecchio. La venuta di Gesù ha aperto una nuova era. La realizzazione della promessa che era stata profetizzata ha cambiato il modo di approcciarsi al Signore. Una religiosità prevalentemente legalistica e rituale è stata soppiantata da un messaggio d’amore e di fratellanza, dalla consapevolezza profonda di essere tutti figli dello stesso Padre. Ed inoltre viene palesato quel grandissimo dono che è la grazia, una salvezza donata per puro amore, per la grande misericordia di Dio. È un vero e proprio stravolgimento di mentalità.

Ma anche Lutero con la sua riforma ha rotto con una chiesa ormai oppressa dalle norme degli uomini, una chiesa che si era adagiata sui bisogni materiali, una chiesa che strumentalizzava il messaggio evangelico per schiavizzare il popolo e tenerlo nell’ignoranza, una chiesa le cui direttive affossavano il grande messaggio d’amore e di perdono della Scrittura.

Lutero non ci sta e, forte della spada portata da Gesù, rompe con quella chiesa.

Ma non solo lui. Pensiamo anche a Wesley che ha rotto con una chiesa di stato, pensiamo anche ai missionari della nostra storia metodista che hanno avuto il coraggio di portare in Italia una chiesa di rottura, pensiamo anche ai vecchi valdesi che non hanno temuto di tornare al di qua delle Alpi sapendo cosa rischiavano nel giurare fedeltà all’evangelo, pensiamo a tutti coloro che nella storia passata e recente hanno sacrificato la loro vita per non rinnegare il loro credo. Grandi e piccoli personaggi di fede, alcuni martiri per la fede, ma certo non più meritevoli o santi degli altri, perché il messaggio di Cristo può essere certo di rottura, ma sicuramente non crea gerarchie di santità fra coloro che lo accolgono.

E noi, cristiani riformati, metodisti di Padova, come ci poniamo di fronte a tutto ciò? Siamo consapevoli della grande ricchezza che ci viene donata da Dio? Sappiamo noi salire sui tetti per proclamare la gloria del nostro Signore? Nutriamo il coraggio di essere noi stessi coloro che vogliono rompere gli schemi di una società ingiusta e materialista, di una religiosità spesso basata sul fare, sulle opere, invece che sulla completa fiducia che solo Dio salva? Siamo disposti a correre il rischio di essere derisi, di essere considerati fuori dal tempo, di essere interpretati come “bigotti” idealisti? Abbiamo la consapevolezza che perfino i capelli del nostro capo sono noti al Padre e sul serio, nel profondo del nostro cuore, siamo convinti di valere molto più di due passeri?

Se lo siamo veramente, non ci resta altro che coltivare la nostra fede e proclamarla al mondo, individualmente e come chiesa.

AMEN

Liviana Maggiore