Sermone: Il miracolo della crescita

Abbiamo a casa un piccolo albero di Baobab che un amico ci ha regalato un autunno prima della nascita di Jean-Daniel, quando l’albero era solo un rametto. L’abbiamo piantato nella terra, in un bel vaso grande e per mesi durante l’inverno non è successo niente. Quando già mi ero detta: ‘Dai, lo buttiamo via, è troppo strano vedere un ramo secco piantato nella terra.’ A questo punto l’alberino ha messo le prime foglie. Per qualche motivo questo pezzettino di legno aveva capito che fuori inizia la primavera. Sono venute delle piccole foglie verdi e durante la primavera e l’estate è cresciuto in maniera miracolosa almeno il quadruplo della sua grandezza fino a quando è arrivato l’autunno e l’albero ha perso tutte le foglie; adesso è nuovamente nudo e aspetta sulla mia scrivania la primavera. Spero ogni anno che anche in quella primavera inizi a mettere di nuovo le foglie, ma non posso fare nient’altro che aspettare che le foglie ritornino.

Gesù racconta una parabola nella quale si parla del miracolo della crescita. Come anche il racconto che abbiamo sentito la settimana scorsa, questa parabola si trova solo una volta nella Bibbia, solo nel vangelo di Marco e non sappiamo perché gli altri non l’abbiano inserita nei loro vangeli.

Vi leggo dal vangelo di Marco, capitolo 4 i versetti da 26 a 29:

Diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, 27 e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come.  28 La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l’erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato.  29 Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l’ora della mietitura è venuta».

Mi potrei immaginare che gli ascoltatori di Gesù all’epoca non fossero tutti d’accordo con questa parabola. Sicuramente c’era tra di loro anche un contadino che diceva: Non è così facile, non posso solo seminare e poi non fare niente fino alla mietitura. È un duro lavoro coltivare la terra, togliere l’erbaccia, fare attenzione che il grano sia abbastanza innaffiato e tutte le mille altre cose che sono da fare. Un contadino non è mica un pelandrone! Deve lavorare duramente se vuole avere da vivere per sé e per tutta la sua famiglia.

Questo vale più o meno anche oggi in tempi nei quali possiamo addirittura influenzare la crescita del grano. Non si semina più un seme qualsiasi di grano, usiamo piuttosto dei super-semi, resistenti contro diverse malattie con i grani geneticamente modificati per essere ancora più grandi e belli e buoni. Non si semina neanche più su qualsiasi terra, ma il terreno viene preparato al massimo per nutrire al meglio il grano e per aumentare il guadagno del contadino.

Forse c’era tra gli ascoltatori di Gesù anche qualcuno che diceva: Sì è proprio vero: facciamo tante cose, ma alla fine non è per niente nelle nostre mani. Non siamo noi che facciamo crescere il grano, se non cresce, noi non possiamo fare niente; e se cresce non è il nostro merito.

Ma Gesù non voleva dare dei consigli ai contadini. Quando racconta questa storia, vuole offrire un’immagine per il regno di Dio. Chi siamo noi uomini in quest’immagine? Viene spontaneo dire: siamo il contadino. Ma questo vale solo fino al punto nel quale gli viene dato il potere di usare la falce: allora è chiaro che questo contadino non possiamo essere noi, ma è Dio stesso. Egli bada alla crescita del suo regno. Forse l’immagine da anche a voi un senso di tranquillità. Non siamo responsabili noi per la crescita del regno di Dio. Egli stesso porterà il suo progetto fino alla fine. Dio stesso è tranquillo e può aspettare con calma lo sviluppo. Non ci dobbiamo preoccupare noi. Questa parabola ci dice chiaramente chi è il Signore. Egli ha già previsto tutto e sta aspettando la mietitura.

Noi viviamo oggi in un tempo tanto confuso. Tanti valori che erano fermi per secoli, li abbiamo lasciati perdere, tante verità si sono verificate essere delle falsità. Chi può dire di conoscere la verità? Non ci affidiamo più a nessuna verità nella paura che anche quella potrebbe essere una truffa. Oggi non c’è più verità che duri più di un mezz’anno, e dopo tutto è già di nuovo cambiato. Questi sono tempi brutti per un Dio che pretende di affermare delle verità eterne, perché quasi nessuno si aspetta più niente da Dio.

Oggi dopo tante guerre e crisi, dopo la disoccupazione e i problemi col clima, oggi ci viene raccontato una nuova verità, cioè che la salvezza ed il futuro si trova nelle riforme. Riforma vuol dire cambiamento. In concreto: tu devi cambiare! Tu devi fare, devi rinunciare, devi mettere in movimento tutte le forze che hai. Lo fai se inizi subito, se dai il tuo contributo.

Questa è la verità di oggi: un grandissimo azionismo. Chi ha perso la fiducia che c’è uno più grande di noi che ci conduce, può solo più confidare in se stesso. – Non voglio dire che le riforme non hanno senso, non sarebbe da me. Dobbiamo fare qualcosa per il nostro futuro e non possiamo pensare che tutto andrà bene perché ha funzionato così gli ultimi anni o decenni. Le riforme sono sempre importanti, soprattutto per una chiesa che si definisce riformata.

Ma non dobbiamo cadere nella tentazione di pensare che potremmo risolvere noi tutti i problemi di questo mondo e della nostra chiesa. E visto che comunque cerchiamo di fare tutto da soli, così non smettiamo neanche di farci problemi e premure. Abbiamo dimenticato che è Dio che dà vestiti ai fiori sul campo, che nutre gli uccelli sotto il cielo, che ci dà il nostro pane quotidiano e che ci promette che il suo regno verrà.

Che cosa ne sarà di questo mondo? Quale cammino dobbiamo intraprendere? Come sarà la nostra chiesa fra qualche anno? I sociologi ci dicono che nel 2030 ci sarà un grandissimo crollo nella chiesa perché la generazione che oggi tiene ancora le nostre attività in piedi non ci sarà più? Chi verrà ancora qui nella chiesa metodista di Padova fra dieci o quindici anni?

A queste domande risponde Gesù con il racconto del contadino che va in primavera sul campo per seminare la terra, dorme e si alza, fa le sue cose e mentre lo fa il seme cresce senza che egli possa farne qualcosa. Gesù ci racconta questo per dirci: lo sai ancora, uomo, che c’è un altro che gira la ruota? Non sei tu. È Dio che lascia crescere il seme e arriverà là dove vuole arrivare.

Quando guardiamo Gesù, possiamo anche vedere come questa consapevolezza incide sulla vita umana. Gesù che aveva tutto il potere e tutta la sapienza, avrebbe potuto fare tantissimo in questo mondo. Aveva visto la sofferenza dei moribondi, la paura, le ingiustizie. Aveva visto e sentito e percepito tutto questo non solo come uomo, ma come salvatore. Non avrebbe dovuto iniziare subito a combattere tutto il male di questo mondo, senza pausa, senza quiete prima che sia troppo tardi?

Questo è un pensiero tanto umano ma Gesù ha reagito diversamente. Egli andava dai pubblicani e dalle vedove, da quelli ai margini della società e aiutava le anime delle singole persone. Sembra che non gli interessasse che con questa tattica potesse raggiungere solo poche persone. Sembra che Gesù non vedesse la prospettiva universale del suo mandato quando poteva aiutare una singola persona di cui oggi non sappiamo forse neanche più il nome.

Gesù sa bene come funziona con la crescita e la mietitura. Per questo può dire nel suo primo discorso a Nazaret: Sono venuto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi. (Luca 4,18). Gesù non dice che farà tutto lui, né che noi dobbiamo farlo.

Martin Lutero ha detto una volta la bellissima frase: ‘Mentre io bevo il mio boccale di birra a Wittenberg, il vangelo corre per il mondo.’ È vero! Il regno di Dio non possiamo realizzarlo noi. Può solo svilupparsi se lasciamo fare Dio. Per questo Lutero può bersi in santa pace la sua birra, non deve sempre predicare e urlare e viaggiare da nord a sud, può aspettare.

Il nostro errore spesso non è quello di fare troppo poco o di rinunciare ai nostri doveri. Piuttosto ci dovremmo chiedere una volta se siamo ancora in grado di essere anche pigri nel nome di Dio. Questo può essere durante un culto nel quale si ascolta soltanto o durante una preghiera o semplicemente nel silenzio davanti a Dio. – E ascoltate bene, non vi propongo la pigrizia del nostro mondo quella davanti alla tv quando spegniamo il nostro cervello. Vi sto parlando di far tacere le preoccupazioni e di affidarci pienamente a Dio.

Questa sarebbe una prospettiva che ci toglierebbe tanti pensieri. Quando sappiamo che le cose grandi possiamo lasciarle a Dio, allora le nostre mani sono libere per fare quello che ci è vicino. Dobbiamo di nuovo imparare a distinguere le cose grandi da quelle piccole. Quelli che pensano che dovrebbero fare tutto loro alla fine possono solo fallire. Ma chi ha appreso la parabola del seme che cresce da solo e chi, come il contadino nella parabola, dopo aver fatto il suo lavoro può guardarsi ancora una volta i suoi campi e poi si mette a dormire nel nome di Dio – quell’uomo fa un servizio pio e saggio. Perché pietà e saggezza sono tanto più vicine di quanto spesso pensiamo.

Amen

Ulrike Jourdan