Sermone: In vino veritas

Un amico con il quale ho studiato teologia, dopo essere diventato pastore, è stato mandato in una comunità dove esisteva ancora lo stabile che non si riusciva a vendere, ma non c’erano più persone. Che si fa? – Una delle decisioni importanti tra tanti altri cambiamenti è stata: ‘Se la gente non viene in chiesa, andiamo noi dalla gente.’ Non è un’idea nuovissima, ma serve tanto impegno e convinzione per metterla in pratica. Questo mio amico è un buon gustaio, un tipo conviviale, al quale piace bersi una birra o anche due. Lui si è girato tutte le trattorie della zona e ne ha trovata una dove si mangia bene e a buon prezzo, dove c’è uno spazio esterno per i bambini e una saletta che sarebbe in teoria per le feste di famiglia. In quella saletta ha iniziato a fare dei culti. – Anche questa non è un’idea nuova, così hanno lavorato le missioni metodiste in Germania e anche qui in Italia quando non esistevano ancora locali di chiesa. Comunque, quello che mi stupisce è che a questi incontri nella trattoria vengono adesso, dopo cinque anni di lavoro, circa 70 persone che dopo il culto rimangono ancora insieme per il pranzo e forse anche per una passeggiata insieme con i bimbi.

Mi è venuto da pensare a questi incontri nella trattoria quando ho lavorato sul testo della nostra predicazione di oggi che racconta del collegamento tra annunciare e gustare, tra messaggio e festa, tra la presenza di Dio e la vita buona.

Leggo dal vangelo secondo Giovanni nel secondo capitolo i primi 12 versetti

Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. 2 E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d’acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all’orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora». 11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui. 12 Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni.

Giovanni ci racconta di un miracolo che potremmo quasi definire un miracolo di lusso, comunque non un miracolo dettato da una reale necessità. Non c’è una persona malata, nessuno soffre, non c’è un pericolo incombente se non quello degli sposi di fare brutta figura davanti agli amici. Gesù c’è comunque e si mette anche in gioco. Aiuta e lo fa in abbondanza.

Mi è stata sempre simpatica quest’immagine di Gesù. Uno che va alle feste, uno che sa stare tra la gente senza dover sempre discutere e tirare fuori dei problemi, uno che sa mettere insieme la buona novella con la bontà fisica. Forse per questo mi è venuto in mente questo mio amico di cui vi ho parlato prima. Forse abbiamo da troppo tempo dimenticato ciò che per un ebreo è evidente, che non si può distinguere la testa dalla pancia o, detto diversamente, non giova distinguere la festa dall’annuncio. Siamo come esseri umani tutt’uno. Il messaggio buono di Dio non vuole raggiungere solo il nostro intelletto ma tutta la persona.

Questa festa di cui racconta Giovanni inizia al terzo giorno. Vi ricordate che cosa abbiamo sentito nella prima lettura biblica? Il terzo giorno è il momento dell’incontro con Dio. Il popolo d’Israele si doveva preparare per due giorni, il terzo giorno viene Dio in persona così che il popolo possa sentire le sue parole. (Esodo 19,11) Forse vi ricordate anche la storia del profeta Giona che il terzo giorno veniva sputato fuori dal ventre del grande pesce, finalmente pronto per annunciare la parola di Dio. E ancora, il collegamento che forse ci viene per primo in mente perché lo confessiamo nel nostro Credo, che Gesù discese nel soggiorno dei morti e il terzo giorno risuscitò. Il terzo giorno è la domenica, il giorno della risurrezione. Il terzo giorno è il simbolo per l’incontro con Dio.

Il terzo giorno a Cana è il più bel giorno del mondo. Una festa di piena presenza che non viene interrotta dalla necessità del quotidiano. Incontriamo a Cana la vita non per come si presenta la vita di ogni giorno, ma così come potrebbe essere; la vita buona. Il predicatore Qoèlet scrive: Va’, mangia il tuo pane con gioia, e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere. Siano le tue vesti bianche in ogni tempo, e l’olio non manchi mai sul tuo capo. Godi la vita con la moglie che ami. Ecclesiaste 9:7-9 È qualcosa di questa vita semplice e buona che possiamo incontrare a Cana.

Quando Gesù si mostra per la prima volta in pubblico con i suoi discepoli, viene come ospite e non ci sono persone bisognose a questo matrimonio. Nessuno ha fame, tutti hanno già bevuto. Che cosa succederebbe se adesso non ci fosse più da bere? Sul fondo del calice si vede già di nuovo la faccia del quotidiano. La festa è quasi finita, i calici sono già vuoti. Non ce n’è più, è tutto bevuto. È così – non si dice che bisogna smettere proprio nel momento più bello?

È bastato? Questo è la domanda che troviamo incisa sul fondo del calice della vita. Ti è bastata la tua vita o ti saresti aspettato di più, o forse qualcosa di meglio?

Nel romanzo ‘Rosso’ di Uwe Timm viene raccontato di un commerciante di vino che chiede e afferma contemporaneamente: ‘Ma questa vita di xxx non può essere stato tutto?!’. Questo personaggio è uno che ha fatto la bella vita e in seguito ha perso tutto. Alla fine si trova in un sacco a pelo nel suo appartamento vuoto, a bere vino buono da un piatto di minestra. E poi quel personaggio fallito chiede: ‘È stato tutto?’

Ce lo chiediamo anche noi. È bastato? È stato tutto? Essere bambini, scuola, studio, matrimonio o forse no, famiglia o forse no, pensione, vecchiaia? Qualcuno pone la domanda nel corso della vita, altri solo alla fine. È bastato? È chetata la sete quando il calice della vita è svuotato?

Quando vedo in tv i mille programmi che cercano di spiegarmi come devono essere preparate le nozze perfette con il vestito bianco che fa piangere la sposa, con la ‘location’ perfetta e il DJ di moda, e soprattutto con le foto che fanno il più bel giorno della vita una cosa indimenticabile. Quando sento di questi tentativi di preparare qualcosa perfetto ho l’impressione di sentire la nostalgia di una bella vita, un languore di pienezza, nella consapevolezza che la festa cede velocemente e dopo torna la vita di ogni giorno.

Un’antica profezia sul Leone di Giuda dice: Egli lega il suo asinello alla vite e il puledro della sua asina alla vite migliore; lava la sua veste col vino e il suo mantello col sangue dell’uva. Egli ha gli occhi rossi dal vino e i denti bianchi dal latte. (Genesi 49,1f)

Alla festa di Cana, ci sarebbe abbastanza vino da immergersi, per lavarsi le vesti col vino. Gesù ha trasformato non solo un po’ di acqua in vino, ma sei grandi contenitori. – Si racconta la storia di uno schernitore che avrebbe chiesto al padre della chiesa antica Girolamo se gli ospiti delle nozze di Cana avrebbero bevuto tutti i 600 litri di vino, considerando che anche prima ne avevano già bevuto parecchio. E Girolamo avrebbe risposto con calma: ‘No, ne beviamo fino ad oggi.’

Gesù è presente. La festa va oltre, questo interrompere con la vita quotidiana persiste anche per noi. Possiamo bere di questo vino fino a oggi. Per chi è in comunione con Gesù, la festa non è finita.

Alle nozze di Cana in tanti non si sono neanche accorti del cambiamento, e molti altri non se ne accorgeranno. Uno solo si meraviglia, il maestro di tavola. Egli è un intenditore di vino e s’intende anche di chi beve il vino. Egli sa che spesso conta solo la quantità e non la qualità. Questo vale per il vino, ma vale anche per la vita. Spesso si sente la domanda sul ‘quanto?’ e sul ‘quando?’ e non il ‘cosa?` o ‘come?’

Alle nozze di Cana nessuno deve preoccuparsi se il vino è sufficiente. I calici sono pieni fino a traboccare, non si deve risparmiare o calcolare bene quanto si possa bere. C’è tutto in pienezza e sovrabbondanza. 600 litri di vino, molto migliore di quello che si beveva prima. C’è Gesù e con lui il vino buono, la vita buona. I calici non si svuotano. Perché Gesù dice: Io son venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. (Giovanni 10,10) Questo vale dalle nozze di Cana fino ad oggi.

Amen