Sermone: LA CONVERSIONE DI SAULO

La conversione di Saulo è così importante per Luca che la racconta tre volte nel libro degli Atti: al capitolo 9, che adesso leggerò, e con lievi differenze, al capitolo 22 e poi al capitolo 26.

Leggo al capitolo 9, i versetti dal 1 al 22:

“Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme. E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d’improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. Àlzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero stupiti, perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda. Or a Damasco c’era un discepolo di nome Anania; e il Signore gli disse in visione: «Anania!» Egli rispose: «Eccomi, Signore». E il Signore a lui: «Àlzati, va’ nella strada chiamata Diritta, e cerca in casa di Giuda uno di Tarso chiamato Saulo; poiché ecco, egli è in preghiera, e ha visto in visione un uomo, chiamato Anania, entrare e imporgli le mani perché ricuperi la vista». Ma Anania rispose: «Signore, ho sentito dire da molti di quest’uomo quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme. E qui ha ricevuto autorità dai capi dei sacerdoti per incatenare tutti coloro che invocano il tuo nome». Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele; perché io gli mostrerò quanto debba soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò in quella casa, gli impose le mani e disse: «Fratello Saulo, il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada per la quale venivi, mi ha mandato perché tu riacquisti la vista e sia riempito di Spirito Santo». In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle squame, e ricuperò la vista; poi, alzatosi, fu battezzato. E, dopo aver preso cibo, gli ritornarono le forze. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio. Tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua con lo scopo di condurli incatenati ai capi dei sacerdoti?» Ma Saulo si fortificava sempre di più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo”.

Perché è così importante la conversione di Paolo? Essenzialmente per due motivi. Il primo è che, con questa conversione il più accanito avversario di Gesù diventa il suo più zelante missionario. Per questo Lutero chiama questa conversione “il capolavoro di Dio”. Se infatti Dio è riuscito a convertire questo suo acerrimo nemico, chi potrà resistere alla sua chiamata? Se neanche Saulo ha potuto resistere – lui che era così agguerrito – vuol dire che Dio, alla fine, vince ogni resistenza. Il secondo motivo per cui Luca racconta tre volte questa conversione è naturalmente l’importanza di questo 13° apostolo il quale, benché probabilmente non abbia mai incontrato il Gesù storico e si consideri il “minimo degli apostoli”, è stato in realtà il più grande di tutti, sia come teologo, sia come missionario. Paolo è stato il discepolo più fedele di Gesù, quello che lo ha capito e servito meglio degli altri.

Vale la pena di notare che il racconto della conversione di Paolo è di Luca – anche quando lo mette in bocca a Paolo, come accade in Atti 22 e 26, che non ho letto – e non di Paolo. Paolo non parla mai, nelle sue lettere, dell’esperienza di Damasco e allude alla sua conversione, che ha coinciso con la sua chiamata, in termini molto sobri, quasi con pudore. Nel primo capitolo della lettera ai Galati, al capitolo 1, Paolo dice che Dio, che lo aveva prescelto fin dal seno di sua madre, “si compiacque di rivelare in me il Figlio suo”. Non parla dunque di una apparizione, ma di una rivelazione interiore (“in me”). Al capitolo 4 della lettera ai Corinzi c’è un altro possibile riferimento all’esperienza di Damasco, ma anche qui in termini di rivelazione interiore più che di apparizione esteriore: “Il Dio che disse: “Splenda la luce nelle tenebre” è quello che risplende nei nostri cuori, affinché noi facessimo brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio, che rifulge nel volto di Gesù Cristo”. Paolo comunque non sbandiera la sua esperienza, non la esibisce. C’è qualche volta nella chiesa un certo esibizionismo spirituale, che Paolo non pratica. Egli si limita a dire l’essenziale: Dio, o Cristo, sono entrati nella sua vita portandovi una luce che prima non c’era.

La cosa più bella di tutto il racconto è che Dio non fulmina questo nemico suo e della chiesa, non lo punisce, non lo condanna, non lo scomunica, ma al contrario gli parla, lo chiama per nome, lo converte e convertendolo, lo arruola al suo servizio. A ben guardare, questo modo di procedere di Dio è un paradigma di tutta la sua azione verso l’umanità. Siamo un po’ tutti come Saulo, forse non così accaniti e violenti come lui, ma anche noi, sotto sotto, siamo per natura nemici, increduli e ribelli; e invece, di fronte a questa durezza, giunge dal cielo una voce che ci chiama per nome e ci invita a cambiare vita, a scoprire che se siamo nemici di Dio, Dio non è nostro nemico, e che se siamo indifferenti verso Dio, egli non è indifferente verso di noi; al contrario non si stanca di cercarci e di parlarci. Così questa conversione di Saulo è, da un lato, un evento assolutamente unico ed eccezionale (e la sua eccezionalità appare dal fatto che Gesù in persona entra in scena – questo non accade per nessun’altra conversione nel Nuovo Testamento), ma dall’altro è uno specchio del modo normale, abituale, quotidiano di procedere di Dio nei nostri confronti. Ogni giorno egli usa misericordia verso di noi, ogni giorno egli ci aspetta sulla via di Damasco, ogni giorno si rivolge a noi con infinita pazienza chiamandoci per nome, fiducioso che, se abbiamo fatto orecchio da mercanti, un giorno risponderemo.

La conversione è al tempo stesso chiamata al servizio di Dio: nessuna conversione è mai fine a sé stessa, ma è in funzione di una missione. Dio ci vuole convertire per affidarci un incarico, cioè in fin dei conti la conversione non è finalizzata a noi stessi, ma gli altri. Nel racconto che abbiamo letto la conversione avviene attraverso una luce ed una voce. Paolo vede la luce e ode la voce, coloro che lo accompagnano odono la voce ma non vedono la luce. Perché? Io penso perché la conversione è qualcosa di assolutamente personale: solo Paolo vede la luce perché solo Paolo viene convertito. La luce è naturalmente la classica metafora per Dio, che è luce – come si dice nella prima lettera di Giovanni; vedere la luce significa trovarsi improvvisamente, inaspettatamente, alla presenza di Dio, che qui è rappresentata da Gesù, che si rivela per quello che è: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. In effetti era così: Saulo, perseguitando i cristiani, voleva in realtà perseguitare Gesù, nel senso di cancellare il suo nome e la sua memoria. Chi perseguita il popolo di Dio, in realtà ce l’ha con Dio, non con chi crede in lui. Così si spiega (sempre che sia “spiegabile”) anche la Shoah: i nazisti volevano annientare gli ebrei perché volevano annientare il Dio biblico per sostituirlo con il loro: il Dio della razza ariana, del sangue e del suolo tedesco. Quelli che accompagnano Saulo, odono la voce, ma non la capiscono. Sono anch’essi alla presenza di Dio, ma non lo sanno. E quindi a loro non succede nulla, non sono accecati – perché non vedono la luce – non capiscono la voce – odono soltanto il suono, e non si convertono. Saulo invece sa di essere alla presenza di Dio, perciò vede la luce, non solo ode la voce, ma la capisce, e viene convertito. È questo un messaggio anche per noi? Siamo attenti la vedere la luce di Dio tra le mille luci di questo modo? Siamo attenti a cogliere la sua voce, a riconoscerla e a capirla, tra le mille voci di questo mondo?

La conversione è sempre un trauma. Una morte e una risurrezione. Nel racconto questa esperienza è simboleggiata da due segni. Il primo è l’atterramento di Saulo: Saulo cade, e in un certo senso Saulo muore; ma appunto: c’è una caduta che può essere anche un rialzamento, c’è una morte che può essere una nascita, c’è una fine che può essere un inizio. È quanto accaduto a Saulo: c’è Saulo che muore, e c’è Paolo (nome latino dell’ebraico Saulo) che nasce. Come dicevo prima, Paolo descrive così – nella lettera ai Galati – la sua ri-nascita: “«Dio mi chiamò con la sua grazia, mi scelse fin dal seno di mia madre». Prima di ogni tua scelta, tu sei la mia scelta, io ho scelto te. Prima che tu fossi, Io sono: sono con te, sono per te, sono in te. C’è una passione più grande della nostra, anche della nostra passione per Dio, e cioè la passione del Dio che fa grazia per noi. Più grande della passione dell’uomo per Dio, è la passione di Dio per l’uomo.

Il secondo segno che evidenzia questo trauma di Paolo è la cecità. Si compie la parola di Gesù, che Giovanni riporta al capitolo 9 del suo vangelo: “Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono, vedano, e quelli che vedono diventino ciechi”. Risultato: l’onnipotente Saulo diventa cieco, non è più in grado nemmeno di orientarsi, non vede più la via per Damasco, deve essere condotto per mano come un bambino. Così sconvolgente è l’irruzione di Dio nella nostra vita. Tutto cambia anche se apparentemente tutto continua come prima. In realtà nulla continua come prima. Cambiano i pensieri, cambiano gli amori, cambiano i sentimenti, cambiano i rapporti, cambia il linguaggio, si imparano nuove parole, se ne abbandonano delle altre. Paolo parlerà di “spazzatura” di cui si è dovuto liberare “al fine di guadagnare Cristo”, l’unica sua e nostra ricchezza.

Tre veloci osservazioni ancora sulla conversione. La prima è questa: essa dura tutta la vita. Non si finisce mai di convertirsi. Sul letto di morte il riformatore Giovanni Calvino diceva: “Ora che cominciamo a convertirci …”. La conversione è iniziare un viaggio con Dio, iniziare una sequela di Cristo che ci condurrà forse dove non volevamo e non vorremmo andare. Paolo e tanti altri come lui saranno condotti al martirio e a un destino di sofferenza, come quello di Gesù.

La seconda è che la conversione è contagiosa: in questo racconto alla conversione di Saulo fa seguito quella che possiamo chiamare la conversione di Anania. E anch’egli si converte, nel senso che diventa fratello di colui che fino a quel momento considerava (ed effettivamente era) suo irriducibile nemico. La seconda grande luce del racconto si trova quindi al versetto 17, quando Anania si rivolge a Saulo chiamandolo fratello: “Allora Anania andò, entrò in quella casa, gli impose le mani e disse: «Fratello Saulo, il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada per la quale venivi, mi ha mandato perché tu riacquisti la vista e sia riempito di Spirito Santo». Quale grande conversione c’è dietro questa parola: fratello! Quanto profondamente ci si deve convertire per chiamare “fratello” colui che prima era il grande nemico!

La terza osservazione è questa: dietro tutte le conversioni sulla terra, su tutte le vie di Damasco di questo mondo, c’è la grande conversione in cielo, quella di Dio verso di noi. È perché Dio in Cristo si è convertito a noi, ci cerca e ci chiama, che ogni tanto, su questa dura terra, accade il miracolo assoluto di una conversione dell’uomo.

Dio ci aspetta nella sua misericordia. Dio minaccia, Dio avverte, Dio chiama, Dio prega. Così con Paolo, come abbiamo letto al versetto 4: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Spesso penso che siamo noi a pregare Dio: ma quante volte è Lui che ci prega nella Bibbia! Provate a leggerla per vedere quante volte Dio prega noi: prega più Lui noi, che noi Lui. La realtà più profonda è questa: conversione di fronte a un Dio che è sempre pronto a convertirsi, mentre noi no.

E’ per questo che nei Salmi del dopo esilio, si ha la coscienza che se è vero che l’uomo è capace di conversione, prima di tutto Dio è capace di conversione, Dio si converte dal male che ha minacciato di fare. Ricordate il libretto di Giona: “Dio si convertì dal male che aveva minacciato su Ninive”.

Oppure il Salmo 126, che al versetto 4, recita: “Convertiti Signore e noi ci convertiremo”, cioè “ritorna e noi ritorneremo”. Non è solo che Dio debba convertirci, ma in un certo senso è Lui che deve cambiare, e nella misura in cui desiste dal castigo, desiste dal male, ecco allora che Lui si converte.

In tutto questo i rabbini ebrei hanno detto, con il loro modo arguto, che in Dio che c’è una grande incoerenza: Dio minaccia il male e non lo fa mai. E’ il paradosso misterioso della fede ebraica e ce lo dice il messaggio dei profeti: colui che è onnipotente e onnisciente, poi cambia in una parola quello che ormai ha deciso. Insomma la conversione diventa davvero una forza potente, efficace, sia la conversione di Dio che la conversione del peccatore. Dio abbandona la collera, dimentica la giustizia punitiva, incoraggia il peccatore a pentirsi e a tornare; e analogamente il peccatore interrompe il cammino del male, va verso Dio e ha la forza in qualche modo di chiedere a Dio a fargli misericordia.

Io credo che in fondo Gesù sia venuto ad insegnarci questo, con le sue parole e le sue azioni: Dio si è convertito, ci ha fatto grazia, e in questa conversione ci mostra il suo amore. A noi, che accogliamo questo dono, spetta incamminarci verso di Lui e convertirci alla sua chiamata. Dio lo voglia per tutti noi.  AMEN

Fabio Barzon