Sermone: LA LEGGE DELL’AMORE

1 Corinzi 6,9-14;18-20

Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?

Non v’illudete: né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio. Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla. Le vivande sono per il ventre e il ventre è per le vivande; ma Dio distruggerà queste e quello. Il corpo però non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per il corpo; Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi mediante la sua potenza. Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta è fuori del corpo, ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo

 

Cari fratelli e sorelle, il testo che questa domenica “Un giorno una parola”, il nostro testo di letture bibliche quotidiane, ci propone, è un brano sicuramente non facile. Un brano che oserei definire “scomodo”, un brano che necessita di un’accurata riflessione in quanto può prestare il fianco a diverse interpretazioni. Anche molto discordanti fra loro.

Esaminiamone intanto il suo significato generale, globale. Non fermiamoci alle singole parole, per il momento. L’apostolo Paolo apre questo passo con un richiamo a quanto già mirabilmente espresso nell’Epistola ai Romani. Un richiamo ad un concetto cardine del nostro essere cristiani e cristiani protestanti nello specifico: la giustificazione per fede.

“Siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio”. Paolo quindi si ricollega, si connette ai primi versetti del quinto capitolo dell’Epistola ai Romani: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”. Siamo stati peccatori, e lo siamo ancora (simul peccator et justus) diceva Lutero, ma ora siamo stati lavati, santificati, giustificati.

E l’apostolo Paolo inizia questo brano biblico elencando, per l’appunto, tutta una serie di peccati per arrivare alla conclusione, sempre annunciata precedentemente nella già citata Epistola ai Romani, che “essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira”. La famosa “ira di Dio” viene da aggiungere. Ed è proprio questo il punto sul quale dobbiamo soffermarci: il perdono di Dio. Hai fede, fratello o sorella? Ebbene, il Signore Iddio ti salva. Credi in Gesù Cristo e i tuoi peccati ti saranno perdonati.

Vediamo ora invece la frase centrale del passo biblico oggetto della nostra riflessione odierna: “Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla”. Ovvero, posso fare ciò che voglio ma non è detto che faccia bene a me o agli altri. “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” diceva il pastore Martin Luther King. L’invito è quindi quello di ponderare bene le nostre azioni, cari fratelli e sorelle: prima di fare qualcosa pensiamo bene alle sue conseguenze. Sia nei nostri che nei confronti altrui. E stiamo bene attenti a non cadere preda delle dipendenze, ovvero del reiterato uso di comportamenti ed azioni che, al momento ci danno gioia e soddisfazione ma che poi, nel lungo termine, ci portano sofferenza e dolore. Dipendenze che possono assumere molte forme. Tali da distogliere lo sguardo dalla nostra salute, da quella degli altri e, soprattutto dalla ricerca di Dio.

Possiamo usare un vecchio detto popolare: “Quello che fai ti torna indietro” e aggiungiamoci anche “sia nel bene che nel male”. E di salute del corpo parla proprio l’apostolo Paolo nella parte finale di questo nostro brano odierno: “Il corpo … non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per il corpo… Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta è fuori del corpo, ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo… il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio”. Più chiaro di così! Dove per fornicazione, la pornèia, dobbiamo intendere la tentazione all’immoralità in senso generale. Il fare del male al nostro corpo, il cedere alle dipendenze. Non dobbiamo quindi intendere la fornicazione in senso stretto come molte letture integraliste fanno, limitandosi ai soli rapporti sessuali. Ma sulla questione della corretta interpretazione dei termini biblici tornerò più avanti.

Il nostro corpo, fratelli e sorelle, è il tempio del Signore. Dobbiamo averne cura come della nostra anima: mens sana in corpore sano dicevano giustamente i latini. Un discorso psicosomatico, potremmo ben dire usando un linguaggio odierno.

Ma torniamo ora indietro agli inizi del brano biblico. Fra le varie persone elencate da Paolo tra coloro che non erediteranno il regno di Dio, troviamo gli effeminati e i sodomiti. Questo è un punto controverso, portato sempre ad esempio da tutte quelle chiese o persone fondamentaliste che vedono nell’omosessualità un gravissimo peccato contro natura. Chiese e persone che, tramite una lettura letterale, scusate il gioco di parole, dicono che è chiaro, è scritto palesemente nella Bibbia che gli omosessuali sono condannati da nostro Signore. Quelle stesse chiese e persone che dimenticano però che se applichiamo lo stesso metodo di lettura biblica, dovremmo applicare anche quanto scritto nel libro del Deuteronomio ai versetti 18-21: Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita e diranno agli anziani della città: questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà; così estirperai da te il male e tutto Israele lo saprà e avrà timore”. Oppure quanto espresso sempre nel libro del Deuteronomio al successivo versetto 22: “Quando un uomo verrà colto in fallo con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che ha peccato con la donna e la donna. Così toglierai il male da Israele”. Tempi duri quindi per i figli disobbedienti e per le scappatelle coniugali.

Per non parlare poi di tutto l’elenco di divieti alimentari riferito agli animali cosiddetti “impuri” che troviamo in Levitico al capitolo 11 e che mangiamo tranquillamente tutti i giorni. O quasi, visto che nell’elenco sono comprese anche le aragoste. Una lettura quindi integralista e fondamentalista che viene spesso utilizzata solo quando fa comodo, lo ripeto, solo quando fa comodo, per determinati versetti e non per altri. Una lettura che cozza violentemente con il metodo storico-critico che noi, chiese metodiste e valdesi, utilizziamo, calando frasi e situazioni nel loro contesto storico e soprattutto collegando fra loro i vari versetti e capitoli e non leggendoli isolati.

Soprattutto, chi prende la Bibbia alla lettera, dimentica il fondamentale problema della traduzione: come sappiamo, l’Antico Testamento è stato scritto in ebraico e il Nuovo in greco. Ricordo, a tale proposito, quanto scritto qualche tempo fa da uno di questi integralisti su un social network: “La Bibbia è stata scritta in italiano” ovvero, se la leggo in italiano vuol dire che è stata scritta in italiano. Questo, più o meno, il tenore del post. Ecco questo, un caso limite per carità, ma che pone un problema di difficile comprensione e di scontro. L’ebraico, e questo ve lo posso assicurare personalmente, dato che sto cercando di studiarlo da un po’ di tempo ma ahimè con scarso risultato, è una lingua assolutamente diversa dal nostro modo di parlare, scrivere e ragionare, linguisticamente parlando.

L’ebraico non aveva le vocali fino al Medioevo, quando si iniziarono ad usare proprio per evitare fraintendimenti e confusioni. Per non parlare di altre particolarità che rendono difficile distinguere una parola dall’altra. Addirittura un puntino a destra o a sinistra può cambiare il significato di una parola. E magari è stato solo un errore di stampa o una svista nel passaggio dal testo manoscritto a quello a stampa. È quindi complesso comprendere correttamente il significato di ogni singola parola e quindi di intere frasi. E questo vale anche per il greco, la lingua del Nuovo Testamento, dove le parole possono avere più significati. Una ricchezza lessicale che mette in crisi il lavoro dei traduttori e che spinge molti a tradurre con il primo significato proposto dal dizionario. Un po’ come fanno gli studenti liceali impegnati nelle versioni di latino o greco. Il primo significato proposto è quello giusto. Si fa meno fatica. Dimenticando, per esempio, che il verbo latino “colere”, significa coltivare ma anche raccogliere oppure “legere”, che significa leggere ma anche eleggere, scegliere, costeggiare, raccogliere, percorrere. Ecco questo era un esempio relativo al latino, la lingua classica più vicina alla nostra. Figuriamoci per il greco o l’ebraico.

Pertanto, cari fratelli e sorelle, avviandoci verso la conclusione, il fatto è che noi possiamo semplicemente fare delle speculazioni su ciò che Paolo intendeva dire usando queste parole. Quello che invece noi sappiamo è che quando il significato di una parola o di un passaggio non è chiaro, i pregiudizi del traduttore entrano in gioco nella scelta delle parole utilizzate per tradurre il significato non facilmente conoscibile, in questo caso, del greco. I pregiudizi del traduttore. Vogliamo quindi veramente basare la nostra condanna di un intero gruppo di persone su una traduzione non attendibile, e sottolineo non attendibile, di un termine greco non perfettamente conoscibile? Una persona ragionevole, per non dire un cristiano compassionevole, non lo farebbe.

Concludendo, la Bibbia, cari fratelli e sorelle, non risponde ai quesiti che ci stiamo ponendo sugli uomini e le donne che sono orientate affettivamente verso persone dello stesso sesso. Presi nel loro contesto, questi testi, quello che abbiamo letto e commentato oggi ed altri, si rivolgono a situazioni che provengono da mentalità diverse, molto diverse dalle nostre. Nelle scritture si insiste invece sulla compassione verso il nostro prossimo, sul richiamo all’empatia e alla giustizia per gli emarginati e compaiono esempi di onestà, solidarietà e amore in ogni relazione.

Amore, la legge dell’amore. Quello stesso amore per cui Dio ci ha concesso la sua Grazia, quell’immensa grazia che ci salva e ci libera dal peccato. Questa è la chiave di lettura.

Amen

Daniele Rampazzo