Sermone: LA PAZZIA E LO SCANDALO NELLA DEBOLEZZA DELLA CROCE

Carissimi, oggi, oltre a celebrare il 17 febbraio, grande ricorrenza per il popolo valdese che festeggia la propria emancipazione, siamo presenti a questo culto della prima domenica del periodo di quaresima.

Certamente non fa parte della nostra tradizione considerare questo periodo come un tempo di sacrifici e privazioni, però dobbiamo interpretare questi giorni che ci separano dalla Pasqua come un’attesa, un periodo di riflessione sul significato che ha per noi la croce e il sacrificio del Signore Gesù.

Certamente siamo distratti da mille cose nel corso della nostra quotidianità, tuttavia, da credenti quali diciamo di essere, non possiamo esimerci dal cogliere i messaggi che la Scrittura ci offre. Oggi quindi vediamo a cuore aperto e ci lasciamo interrogare da un passo della prima lettera di Paolo alla chiesa di Corinto.

Il mio personale ringraziamento va al pastore William Jourdan che mi ha dato un prezioso aiuto nella preparazione di questo culto, sollevandomi non poco nella situazione problematica che ho vissuto in queste due ultime settimane, pur mantenendo con voi il mio impegno per oggi.

Leggiamo quindi il passo su cui verte la predicazione di oggi.

“Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti». Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.” (1 Cor 1,18-25)

Persone perbene, ragionevoli, a seconda dei casi più pacate o più passionali, comunque, persone normali. Se ci pensiamo bene è così che ci definiamo o definiremmo se qualcuno dovesse domandarci: voi che credete in Gesù Cristo, come vi considerate, come guardate a voi stessi?  Non credo che la maggior parte di noi si consideri particolarmente al di fuori della norma, anzi, forse, talvolta, ci consideriamo anche troppo nella norma. Ma questa nostra immagine corrisponde all’evangelo che è annunciato dall’apostolo Paolo?  Questo modo di vederci e di guardare a noi è coerente con le sue parole?

Pazzia, scandalo, debolezza: è con queste parole che Paolo presenta il vangelo, parole che non rimandano direttamente a quella ragionevolezza e normalità che spesso sono nostre bandiere, che ci permettono di mimetizzarci tra gli altri senza apparire più di tanto diversi.  E riflettiamo, sorelle e fratelli, su quanto il nostro mimetizzarci nella cosiddetta “normalità” possa nascondere spesso una fede tiepida, un credere talvolta dovuto a tradizione e non a una reale nostra conversione di vita.

È questo evangelo che ci viene oggi consegnato, annunciato, che è fondamento della nostra fede. Non il nostro buon senso, non la nostra ragionevolezza, non il nostro equilibrio; è la predicazione della croce, la pazzia di Dio, la debolezza di Dio che fondano il nostro credere, che sono alla sua base. È il messaggio scandaloso che ci parla dell’azione di Dio.

Proprio oggi, in un tempo in cui abbiamo bisogno di equilibrio e di ragionevolezza da parte dei credenti, da parte delle fedi – perché di irragionevolezza ce n’è già abbastanza! – l’apostolo Paolo ci guida al centro di un messaggio che capovolge, ribalta i criteri di umana valutazione e porta con sé una strana confusione.

Paolo sa che la sua predicazione è fonte di confusione per chi lo ascolta: nel suo tempo si trova di fronte Giudei e Greci. Gli uni, come abbiamo letto nel precedente passo di Giovanni su Gesù al tempio, richiedono miracoli, opere di tangibile potenza, opere che convincono gli occhi della validità dell’annuncio; gli altri, forti della loro antica cultura, chiedono sapienza, cioè argomenti che siano capaci di mostrare la razionalità dell’annuncio, la sua pertinenza rispetto alle logiche che guidano la nostra vita (v. 22).  Eppure, l’unica risposta dell’apostolo è «ma noi predichiamo Cristo crocifisso» (v. 23).

Paolo non tenta di argomentare, non tenta di spiegare, ma mette dinnanzi ai suoi interlocutori l’unica cosa che può mostrare, l’unico segno che abbia valore: Cristo crocifisso.  Paolo non illustra né compie prodigi. Paolo non presenta la logica del messaggio evangelico con elucubrazioni filosofiche o razionali. Nulla di tutto questo. Però Paolo sa bene che nel suo uditorio ciò che egli dice crea confusione, disorientamento, scandalo.

Siamo noi consapevoli, come l’apostolo, che la nostra predicazione può essere fonte di confusione?  Siamo noi disposti ad accettare che la confusione ingeneri rifiuto, che la potenza rovesciata di questo evangelo sia snobbata, non riconosciuta, respinta?

Quanti Giudei e quanti Greci camminano nelle nostre città, vivono alla porta accanto, chiacchierano con noi ogni giorno, senza immaginare che il messaggio che abbiamo ricevuto e che portiamo nega le logiche correnti, si affida a qualcuno che nella comprensione del tempo di Paolo era uno sconfitto, un derelitto, uno che era finito male e non poteva certo avere qualcosa di buono per altri?

Forse a duemila anni distanza è più difficile comprendere lo scandalo e l’irragionevolezza della croce: anche perché la croce è divenuta il simbolo che va sempre bene! Come gioiello da appendere, come ornamento che si può mettere ad ogni parete, come simbolo della generosità umana e della disponibilità a spendersi per gli altri che affrontano la malattia.

In realtà al tempo di Paolo, annunciare che il Messia – il Cristo, appunto – era stato messo in croce, era un parlare da persone che farneticano, che non sanno bene che cosa dicono.  La crocifissione, come sappiamo, era la pena esemplare, il modo in cui il potere puniva un malfattore e mostrava a quanti avessero voluto fare lo stesso che cosa sarebbe loro accaduto.  Il potere del tempo, che era il potere romano, mostrava in questo modo la sua potenza.

Paolo osa affermare che questa comprensione delle cose è solamente apparenza. In realtà, la croce di Cristo, ci dice l’apostolo, è il trionfo di Dio su questo e su altri simili poteri, che esprimono la loro potenza nella sopraffazione.

Scandalo e pazzia sono le reazioni, i modi in cui si guarda a questo annuncio da parte dei gruppi che già prima abbiamo citato, i Giudei e i Greci, gli stranieri. Scandalo perché il Messia viene per esprimersi con potenza, non per lasciarsi schiacciare! Pazzia perché questo annuncio non aiuta a comprendere la realtà, bensì la confonde. «Ma per quelli che sono chiamati», questo annuncio è «potenza di Dio e sapienza di Dio» (v.24).

Ma noi, donne e uomini del nostro tempo, cogliamo la potenza di Dio e la sapienza di Dio che ci viene offerta in questo annuncio? Cogliamo l’altra logica, l’altra sapienza, l’altra forza che questo evangelo ci offre e ci porta?

È prima di tutto la forza dell’iniziativa di Dio nei nostri confronti: è Dio che agisce, è Dio che salva, è Dio che si fa conoscere nella propria sapienza.

Conoscete quel proverbio che dice «Aiutati che il ciel ti aiuta»? Di fronte all’annuncio di Paolo è la quintessenza dell’anti-evangelo.  Qui non c’è azione umana, non c’è invito a rimboccarsi le maniche, a fare qualcosa che ci fa stare meglio o ci fa sentire utili; c’è solo l’esigenza profonda di cogliere quella logica che scardina le logiche del nostro mondo, quel messaggio che relativizza radicalmente gli assoluti della nostra vita, anche quegli assoluti che possono sembrare buoni e positivi. C’è l’esigenza di vedere che l’evangelo è altro rispetto ai molti modelli ed espressioni di sapienza: non è annuncio di morale, non è messaggio filosofico o filosofeggiante, non è verità che contribuisce all’architettura spirituale o religiosa dell’essere umano; è momento di rottura con queste diverse realtà perché annuncia l’intervento definitivo di Dio nel mondo.

Paolo porta questo messaggio a chi vorrebbe spiegazioni e dimostrazioni.  Un messaggio paradossale.

Talvolta ho l’impressione che anche in noi cresce il bisogno, la voglia di spiegare come funziona l’evangelo, per renderlo meno scandaloso, più accettabile all’orecchio di chi ci sta intorno o anche al nostro stesso orecchio.  Eppure questo significa già fraintenderlo: non ci è dato di dimostrare, spiegare, convincere con la nostra sapienza e la nostra retorica; possiamo mostrare, possiamo illustrare, possiamo narrare la vicenda di Cristo, offrire semplicemente questa storia, portando insieme ad essa le domande che pone, il modo di guardare alla realtà che la accompagna, la comprensione del mondo che ci offre.

La predicazione della croce vive in questa debolezza, che è anche la sua forza: la debolezza di essere estranea alle logiche del mondo, di essersi inimicata queste logiche, ma proprio per questo la possibilità di offrirsi come l’alternativa inattesa.

È confidando in questa sua forza che noi possiamo annunciarla, farcene araldi, senza temere di essere considerati un po’ meno perbene e ragionevoli di come vorremmo essere.

AMEN

Past. William Jourdan – Liviana Maggiore