Sermone: LA PRIMA CANDELA D’AVVENTO – DEL PROFETA

«Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò sorgere a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re e prospererà; eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con il quale sarà chiamato: SIGNORE nostra-giustizia. (Geremia 23,5-6)

All’inizio del nostro culto abbiamo acceso la prima candela della corona d’Avvento, quella che, nella tradizione, è detta “del Profeta”. Le altre candele poi saranno “di Betlemme”, “dei pastori”, “degli angeli”.

Ma oggi abbiamo acceso la prima ed è proprio sul significato di “essere profeta” che vorrei oggi riflettere in questa predicazione.

Etimologicamente “profeta” significa “colui che parla per, al posto di”, infatti, nella tradizione ebraica e cristiana i profeti sono stati coloro che hanno parlato perché ispirati da Dio, ma sappiamo bene che il loro parlare non si riferiva tanto alla predizione di avvenimenti futuri, bensì alle considerazioni e agli ammonimenti sugli avvenimenti loro presenti, esortando coloro che li ascoltavano a ravvedersi in vista della venuta di quel Signore che Israele attendeva con ansia.

E quel Signore poi venne, quel Messia tanto atteso e annunciato noi cristiani crediamo sia stato Gesù, un Dio fatto uomo semplice, un Signore che non si è palesato solcando il cielo con un carro infuocato o cavalcando un possente destriero, ma un semplice uomo povero fra i poveri, un uomo che ha passato la vita a spargere insegnamenti d’amore, di perdono, di uguaglianza, di compassione. Un signore senza eserciti e senza sudditi, certo non un potente della terra, bensì uno che non ha fatto alleanze coi potenti della terra, diventando perciò ancora più minaccioso, tanto da essere condannato a morte con un metodo riservato ai delinquenti.

Beh, un po’ strano per il Re dei re. Decisamente discutibile per coloro che si aspettavano ben altro, dopo secoli di attesa. E comprensibilmente discutibile anche per coloro che oggigiorno non credono. Inoltre, veramente strana come presentazione di uno che doveva essere il Messia, così strano da non essere compreso nemmeno da coloro che lo seguivano, da coloro che credevano in lui e, da lui, aspettavano il riscatto dalla schiavitù e dall’oppressione di Roma.

Sì, certo, i discepoli avevano potuto assistere ai suoi prodigi, ai miracoli, e questo aveva rafforzato in loro la fiducia per Gesù, ma una cosa è la fiducia in un leader, magari spinti dalle difficoltà della vita dalla quale si desidera il riscatto, altra cosa è credere che quella persona è Dio fatto uomo, un essere che non si limita a cambiare la vita terrena, in una dimensione puramente orizzontale, ma proietta la vita di ciascuno in una dimensione “totalmente altra”, nella dimensione che oggi anche noi non riusciamo ad apprezzare col semplice intelletto: il regno di Dio.

Nonostante la vicinanza per lungo tempo con Gesù, Giuda, deluso, lo ha venduto per trenta denari, Pietro ha rinnegato più volte di conoscerlo, Tommaso non lo ha riconosciuto perché si aspettava ben altro che un morto resuscitato, loro tutti rimanevano nascosti e impauriti dopo la sua morte. Insomma possiamo dire che era stato molto più facile per tutti loro (come per noi) riversare su quest’uomo le loro aspettative terrene, non guardando “oltre”.

Eppure i profeti non avevano parlato solo di un evento “terreno”. Leggiamo quindi di nuovo gli ultimi due versetti del passo di Isaia che abbiamo sentito prima:

Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre. (Isaia 9,5-6)

Ecco, fratelli e sorelle, cosa era stato annunciato e noi, se credenti, sappiamo che oggi inizia il periodo dell’Avvento, dell’attesa. Dovrebbe essere un periodo in cui aspettiamo il Natale non certo per le luci, la festa e i doni, ma un tempo in cui viene ricordata la nascita di colui che i profeti biblici avevano annunciato. Dovrebbe essere un periodo in cui spiritualmente noi stessi ci incamminiamo verso Betlemme con umiltà per accogliere un bimbo nato per noi, per la nostra salvezza e per donarci il perdono nel nome del Padre; un bimbo che è diventato il nostro Signore e per il ritorno del quale noi stessi siamo chiamati ad essere “profeti”, cioè coloro che parlano annunciando il suo messaggio, riproponendo la sua luce al mondo. Ma non solo parlano, non solo danno semplicemente fiato alla bocca, ma OPERANO annunciando il Signore che viene, quel Signore che ci vede tutti uguali, fratelli e sorelle in una terra della quale non siamo “padroni”.

Come profeti siamo chiamati a spargere la luce nel mondo, ma non possiamo dare luce se non l’abbiamo, per cui ravviviamo questa luce con la preghiera e con la frequentazione assidua della Bibbia, senza mai dimenticarci che facciamo parte di una chiesa riformata, nella quale la diaconia riveste una parte importante nel realizzare la fratellanza.  Una diaconia che, come ci siamo detti più volte, non può essere diretta solo a coloro che conosciamo e che ci sono vicini.  Una diaconia che trova modi di esprimersi diversi per porgere la nostra condivisione a chi ne ha bisogno.

Voglia il Signore aiutarci ad essere profeti, sapendo esporci contro le ingiustizie e le ipocrisie dei nostri tempi, senza timore di essere derisi perché annunciamo il regno che viene, senza soggiacere pavidamente ai potenti di turno.

AMEN

Liviana Maggiore

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