Sermone: LA RESURREZIONE DI LAZZARO

Appena Maria fu giunta dov’era Gesù e l’ebbe visto, gli si gettò ai piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto».

Quando Gesù la vide piangere, e vide piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette nello spirito, si turbò e disse: «Dove l’avete deposto?» Essi gli dissero: «Signore, vieni a vedere!»

Gesù pianse. Perciò i Giudei dicevano: «Guarda come l’amava!»

Ma alcuni di loro dicevano: «Non poteva, lui che ha aperto gli occhi al cieco, far sì che questi non morisse?»  Gesù dunque, fremendo di nuovo in sé stesso, andò al sepolcro. Era una grotta, e una pietra era posta all’apertura.  Gesù disse: «Togliete la pietra!» Marta, la sorella del morto, gli disse: «Signore, egli puzza già, perché siamo al quarto giorno».  Gesù le disse: «Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?»  Tolsero dunque la pietra. Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato».  Detto questo, gridò ad alta voce: «Lazzaro, vieni fuori!»  Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».  Perciò molti Giudei, che erano venuti da Maria e avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui.  Ma alcuni di loro andarono dai farisei e raccontarono loro quello che Gesù aveva fatto. (Giovanni 11,32-46)

 

In questi giorni, passando davanti ai cimiteri, vediamo un gran brulicare di gente e se ci entriamo, vediamo una grande infiorata.

Certo, viviamo in un paese a maggioranza cattolica, una forma di cristianesimo nella quale è previsto e praticato il culto dei morti. Ma quello che mi colpisce è che a questa sorte di rito partecipano anche persone che magari si definiscono agnostiche e che non frequentano le chiese. Ma allora, perché un siffatto comportamento? Per tradizione e per abitudine, forse, ma forse non solo per questo.

Solo qualche giorno fa una persona si è stupita perché, chiedendomi quando sarei andata al cimitero così che lei avrebbe potuto venire con me ed accedere alla cappella della mia famiglia per portare dei fiori per i miei genitori e per mio marito, si è sentita rispondere che se proprio lo gradiva le avrei dato le chiavi, ma che io certamente non vado al cimitero se non molto raramente e solo per mantenere il decoro della tomba di famiglia, per dare una ripulita e magari togliere le erbacce, ma assolutamente mai per “andare a trovare” i miei familiari che sono trapassati. E lo stupore di costei è stato tanto più grande in quanto sa bene che io sono una persona di fede cristiana dichiarata.

Ma allora, perché, mi sono chiesta, in questi giorni tanto affanno intorno ai cimiteri?

Lascio intenzionalmente perdere il rispetto di una tradizione, perché sono ben felice anch’io di nutrire alcune tradizioni, purché abbiano un significato che riconosco come valido, che mi consente magari di rinnovare ricordi e riflessioni su fatti accaduti o su particolari significati. Ad esempio, per le nostre chiese valdesi e metodiste, il falò del 17 febbraio o il festeggiamento della giornata della Riforma. Oppure ancora l’accensione progressiva delle candele sulla corona d’Avvento.

Ma i morti nei cimiteri ci sono sempre e sempre dobbiamo confrontarci con il problema della morte, quella di coloro che ci sono stati cari, quella di coloro che non conosciamo, e anche la nostra. E non sono certo le infiorate che ci sollevano da una riflessione in merito, perché ciascuno di noi ha il dovere di porsi delle domande e di darsi delle risposte, anche sulla morte.

Fra i miei numerosi amici ce n’è uno che mi è molto caro, nonostante si professi assolutamente ateo. Parlo volentieri con lui e stimo molto la sua coerenza, soprattutto da quando mi ha detto che, proprio per il suo ateismo, ha formalizzato la richiesta di essere sbattezzato. Proprio da lui mi è arrivata una frase sulla morte che mi ha fatto riflettere: “Per chi ha fede è la vita, per un ateo è il paradiso del Nulla”.

Ma veniamo ora al nostro passo dell’evangelo di Giovanni, la resurrezione di Lazzaro.

Se ci pensiamo bene la resurrezione di Lazzaro è totalmente inutile (o almeno solo temporaneamente utile), ma potrebbe essere considerata anche ingiusta. Inutile perché Lazzaro, da essere umano, è comunque destinato a morire, come tutti noi. Ingiusta perché, con molto rispetto per il grande amico di Gesù, possiamo ritenere che nel medesimo periodo vi fossero altre buone persone che erano morte e non hanno avuto la medesima “fortuna” di Lazzaro di essere resuscitati.

Ma allora, che cosa vuol dirci Giovanni con questo episodio? Perché rappresentarci questa vittoria sulla morte? Certamente, come abbiamo sentito prima nella lettura di Matteo, Gesù è drastico sul concetto di morte corporale (“lascia che i morti seppelliscano i morti”). Quindi l’episodio della resurrezione di Lazzaro ha un’altra valenza.

Il fatto avviene a Betania, proprio nei pressi di Gerusalemme e Gesù coi discepoli non era lì quando è stato informato della morte dell’amico. Non era lì perché non solo non era ben accolto nella città santa, ma rischiava di essere vittima di lapidazione da parte dei Giudei. Insomma, andando verso Gerusalemme la sua sorte poteva dirsi segnata, come poi infatti è stato. E in proposito dobbiamo notare che Giovanni pone l’episodio di Lazzaro appena prima del racconto della congiura del sinedrio nei confronti di Gesù.

Notiamo anche che il racconto non ci riferisce di alcun culto del morto, non olii, non fiori, non preghiere sulla tomba di Lazzaro. Certo, parecchia gente e amici che si recavano a casa sua per portare consolazione alle sorelle, a coloro che vivevano quel momento di separazione, a coloro che erano ancora in vita!

Lazzaro sta nel sepolcro, un cadavere puzzolente, un corpo destinato a decomporsi, un inutile involucro dove non soffia più lo spirito della vita, non più una persona.

Gesù avrebbe potuto portare la propria consolazione a Marta e Maria. Oppure avrebbe potuto far resuscitare altre degne persone defunte. No, lo fa solo per Lazzaro. E lo fa non certo per lui, per il suo amico, bensì per coloro che sono ancora vivi, per coloro che, come spesso siamo noi, hanno bisogno di vedere un prodigio, un miracolo per credere. Gesù opera un segno prodigioso affinché coloro che sono con lui possano credere, infatti, una volta detto di liberarlo dai panni e dal sudario, non ci viene raccontato della gioia delle sorelle o della felicità del redivivo. No, cosa accade una volta operato il miracolo? Il focus del racconto si sposta, non più Marta, Maria e Lazzaro, bensì coloro che stanno attorno (compresi magari i discepoli di Gesù). Accade che alcuni si stupiscono e si convertono, credendo che Egli sia veramente il messia atteso, il figlio di Dio promesso, altri, seguendo il pensiero della loro incredulità e considerandolo quindi una minaccia per l’ordine costituito, corrono dai farisei, dai dotti della Scrittura e ligi alla stessa, per riferire del prodigio che, evidentemente, nel loro pensiero trova ragione in altro tipo di magia.

Credo quindi che il significato che noi dobbiamo trovare in questo episodio sia questo: Gesù che invoca il Padre per vincere la morte, ma non tanto la morte corporale (alla quale siamo condannati per il solo fatto di essere nati), bensì la vittoria sulla morte perché questo evento sia il momento della resurrezione a nuova vita e non sia il termine di un percorso in fondo al quale c’è solo il nulla. Ed è di questa vittoria sulla morte eterna che parliamo noi credenti, dandola forse talvolta per scontata, senza rifletterci troppo, magari per paura della morte stessa e per esorcizzare la realtà della fine.

Ma allora, sorelle e fratelli, chiediamoci: noi come ci poniamo di fronte a tutto ciò?

Non diamo quindi per scontato e non ripetiamo a memoria (oppure per tradizione religiosa) che dopo la morte c’è una nuova vita, ma riflettiamo seriamente e, pur nel travaglio del pensiero doloroso, chiediamo a noi stessi: “Credo io davvero che con la morte non termina tutto? Credo io che anche quel miracolo fa sì che la mia fede sia rinforzata, perché credo che Gesù sia il figlio di Dio, il Salvatore, oppure sarei fra coloro che corrono dai farisei? Credo io che il mio Signore, come abbiamo sentito nella lettura del profeta Osea, è colui che, nonostante le nostre infedeltà, ci ha riscattati dal soggiorno dei morti, perdonandoci prima che noi riusciamo a pentirci?”

Voglia il Signore che la nostra risposta individuale sia chiara e illuminata dalla fede.

Ma, se così non fosse, nell’assoluta nostra libertà, dobbiamo avere il coraggio e la coerenza di non professarci credenti, perché il CREDO recitato a memoria e per tradizione non ci pone su un piano di merito superiore a coloro che si professano atei e magari, con coerenza, hanno il coraggio di dirlo.

AMEN

Liviana Maggiore