Sermone: La sfida dell’unità

Che cosa ci fa sentire ‘come bambini appena nati’? Che cosa ci dà forza per la nostra fede? Il testo della predicazione di oggi ci offre una risposta che forse non risulta così immediata.

Leggo dal vangelo di Giovanni capitolo 17,6-19 la preghiera di Gesù per i suoi discepoli, cioè per noi:

Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola.  7 Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te;  8 poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato.  9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi;  10 e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; e io sono glorificato in loro.  11 Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi.  12 Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta.  13 Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in sé stessi la mia gioia.  14 Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo.  15 Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno.  16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.  17 Santificali nella verità: la tua parola è verità.  18 Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo.  19 Per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati nella verità.

Le parole che abbiamo sentito si trovano nella cosiddetta ‘Preghiera sacerdotale’. È la preghiera più lunga che conosciamo di Gesù. Egli si prepara a lasciare questo mondo e si assume il compito che già Mosè e i profeti avevano, cioè impetrare al Padre per il popolo. In primo luogo, prega per i dodici discepoli che dovrà lasciare da soli, ma prega anche per tutti gli altri suoi discepoli fino ad oggi, prega anche per noi che siamo ora qui riuniti. Leggo ancora una volta il versetto 11: Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. Gesù sa bene che né per i discepoli del passato, né per noi oggi la vita in questo mondo è facile. Dobbiamo scontrarci con una società in gran parte indifferente che non vuole più saperne di ciò che Dio ha da dire e si chiede allo stesso tempo perché stia così male. Secondo me ci potrebbe aiutare uno sguardo proprio in questo vecchio libro. Forse nel 500enario della Riforma dobbiamo esprimere nuovamente ad alta voce questa nostra convinzione evangelica.

C’è ancora un’altra affermazione che mi colpisce nel nostro testo. Gesù prega il padre di conservare i suoi fedeli nel suo nome, affinché siano uno come sono uno Gesù e il Padre. Non è possibile separare Gesù da Dio Padre, sono un’unica cosa. – Da bambina mi hanno spiegato il mistero della trinità con l’immagine dell’acqua. A scuola si impara che l’acqua è costituita da due molecole di idrogeno e una di ossigeno, H2O, appunto. Sotto zero l’H2O si presenta a noi come ghiaccio, tra zero e cento è acqua e a più di cento gradi diventa vapore, ma comunque è sempre lo stesso H2O; dal punto di vista chimico non cambia niente, è sempre uguale. E così, come acqua, ghiaccio e vapore sono una cosa, allo stesso modo lo sono anche Dio Padre, Gesù e lo Spirito Santo: hanno forme diverse, per raggiungere meglio noi uomini, ma sono uguali, inseparabili, sono uno.

Gesù prega il Padre affinché anche noi cristiani siamo uno, così inseparabili come anche lui non può essere separato dal Padre. Vi ricordo che questo testo è stato scelto sotto il tema della nuova nascita. Cioè il legame tra i cristiani dovrebbe darci nuova vita, nuova forza, dovrebbe farci sentire come essere rinati. – Io mi sono chiesta che cosa voglia dire questo per noi in senso pratico.

A metà marzo il cardinale Kasper ha visitato la nostra chiesa a Pinerolo, in provincia di Torino. Forse ne avete letto qualcosa. Kasper ha definito l’ecumenismo la grande realtà cristiana del nostro tempo, «la risposta a una nuova situazione». In quest’incontro è stato anche citato il papa che non molto tempo fa aveva enunciato la teoria dei “due polmoni” dell’Europa, che erano il Cattolicesimo romano e le Chiese ortodosse greca e russa.

Siamo entrati in una nuova epoca ecumenica. Qualcuno ne è entusiasta, a qualcun altro fa venire il mal di pancia. Da un lato sembra che con questo nuovo papa si possano fare passi da giganti, dall’altro vediamo che la semplice condivisione del pane al tavolo del nostro Signore non è ancora possibile. Mi sono chiesta se percepiamo questo ancora come uno scandalo, o se ci siamo abituati negli ultimi decenni alla mancanza di questo elemento. A me manca.

Facciamo tante iniziative ecumeniche, anche qui a Padova. Prepariamo veglie, incontri, discussioni e ci rallegriamo del nostro legame ecumenico. Vedo un senso in questi incontri e mi piacciono, soprattutto quando si creano dei legami. Ha un senso incontrarsi. Ha senso percorrere la via dell’ecumenismo, anche se i passi talvolta sembrano piccoli nonostante le grandi dichiarazioni.

Ma a mio modo di vedere la preghiera di Gesù ci invita a essere uno come egli è unito con il Padre; e questo va ben oltre gli incontri come li facciamo noi. Poniamoci una volta la domanda: Che cosa vuol dire per noi la preghiera per l’unità come la esprime Gesù? Che cosa ci aspettiamo da questa preghiera? Abbiamo un’attesa che questa preghiera diventi realtà oppure no? Perché se non crediamo neanche che la preghiera possa diventare realtà, la preghiera diventa bestemmia. Così di nuovo la domanda: per quale unità preghiamo? Almeno una volta all’anno, in gennaio, facciamo in modo istituzionale questa preghiera per l’unità dei cristiani. È anche la nostra preghiera? Quale progetto, quale sogno, quale visione abbiamo per le chiese cristiane divise?

Meditando su di questa domanda, ho trovato dei pensieri che Vittorio Subilia, ben noto teologo protestante italiano, scrisse nel 1954 riflettendo sulla tentazione dell’unità. Egli diceva già all’epoca, in una fase di euforia ecumenica tra il primo e secondo concilio vaticano:

Potrebbe accadere che i cattolici cadano nella tentazione di chiedere a Dio di convertire i dissidenti e di farli ritornare alla chiesa madre, che, così ci viene detto, sia infallibile e ha l’autorità di definire le verità della fede. – Potrebbe accadere che gli ortodossi cadano nella tentazione di pregare Dio che tutti i cristiani possano accogliere la verità ortodossa quale è stata custodita dalla sola chiesa rimasta inalterata dal tempo degli apostoli. – Potrebbe accadere che i protestanti cadano nella tentazione di chiedere a Dio di riformare tutte le altre chiese, togliendo le soprastrutture umane e facendole ritornare alla semplicità del cristianesimo primitivo.

Questa è una grande tentazione: pregare Dio per l’unità pretendendo di avere l’unica verità, e quindi gli altri devono diventare come sono io. Ma così la nostra preghiera diventa come quella del fariseo nel tempio, quando confidando in noi stessi e disprezzando gli altri diciamo: Ti ringrazio, o Dio, che la mia chiesa non è come le altre chiese, infedeli e corrotte e eretiche, abbi pietà delle altre chiese e trasformale in modo da renderle tutte simili alla mia chiesa. – Una tale preghiera sarebbe solo farisaismo religioso e imperialismo ecclesiastico. E Dio, come potrebbe esaudire una preghiera di questo genere? Si potrebbe solo vergognare per noi se questa fosse la nostra concezione dell’unità.

Una preghiera che vuole avere come fondamento la preghiera di Gesù “Che siano uno come noi siamo uno”, una tale preghiera deve per forza essere animata dallo spirito di Cristo. Se le chiese cristiane vogliono solo conservare le proprie strutture ecclesiastiche e salvare la propria vita spirituale e teologica, così non si dovrebbero chiamare cristiane e dovrebbero rinunciare a pregare per l’unità, perché la loro preghiera suonerebbe come ipocrisia all’orecchio di Dio.

L’unità delle chiese significa purificazione della chiesa, di tutte le chiese; unità della chiesa significa, per tutte le chiese, rinunciare alla propria volontà di sopravvivere. Unità della chiesa significa morte della chiesa, di tutte le chiese a se stesse, nella speranza di una resurrezione nelle forme e nei modi che nessuna chiesa può prevedere e che Dio solo conosce. Unità della chiesa significa miracolo dello Spirito Santo, che venga a soffiare su tutte le nostre vecchie istituzioni religiose per fare ogni cosa nuova.

Se abbiamo questa speranza ci è comandato e ci può essere dato di pregare per l’unità della chiesa. Siamo sollecitati di pregare con tutta la nostra forza, che l’unità non rimanga solo una visione, ma diventi verità. Se abbiamo questa speranza non dovremmo farci limitare da organizzazioni o convenzioni, non dobbiamo più vedere i confini e le frontiere ma le possibilità che Dio ci dà nell’unità. Non dobbiamo più aspettare fino a quando un organizzazione si muove, ma possiamo vivere quello che sentiamo come verità. Se abbiamo questa speranza di unità saremo uniti nello Spirito, e questo vale più di ogni organizzazione. La dove c’è reale preghiera, vi è già, presente e potente, il miracolo dello Spirito Santo.

Prima di finire, ancora una domanda: Perché l’unità? La prima risposta potrebbe essere: Perché Dio stesso la vuole. Ma quest’unità ha uno scopo che ci viene ricordato proprio in questo periodo dopo la Pasqua, cioè la missione. L’unità dei cristiani diventa una testimonianza per il mondo. Come posso spiegare a un non-cristiano perché la chiesa che confessiamo come una, santa, universale e apostolica, sia divisa? Non è da capire e non è da spiegare come noi cristiani possiamo separarci gli uni dagli altri per delle questioni secondarie. Per questo ci serve l’unità per testimoniare alla nostra società Gesù Cristo il nostro Salvatore. Ci serve l’unità per fare quello che Gesù ci ha comandato, cioè: fate miei discepoli tutti i popoli. Mt 28,19 Se vogliamo mettere in atto la volontà di Dio è semplicemente necessario che noi ci uniamo.

Lo Spirito soffia oggi su tutte le chiese e su tutti i singoli cristiani. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice.

Amen

Ulrike Jourdan