Sermone: L’amore non verrà mai meno

(culto di ringraziamento per la vita di Febe Cavazzutti Rossi)

Quando abbiamo pensato ad un testo biblico particolarmente amata da Febe, ci sono venuti in mente tanti diversi brani della Scrittura, e Ondina, la figlia, mi diceva: una volta era quello, una volta questo, amava tutta la Bibbia. Sì, Febe era “innamorata” della Bibbia in tutte le sue sfumature. La settimana scorsa abbiamo detto che il cuore della Bibbia è l’amore. Per questo vi porto oggi una poesia, un inno sull’amore; parlo del cantico d’amore che Paolo riporta nella prima lettera ai Corinzi al capitolo 13. Una poesia d’amore che crea uno stacco dal resto della lettera. È una piccola opera d’arte presa di per sé e anche se nella traduzione non possiamo più cogliere bene l’opera di composizione di queste parole antiche, possiamo comunque afferrare la bellezza di ciò che Paolo vuole trasmetterci. Scrive l’apostolo:

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. 4

L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8

L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto. 13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

L’amore, appunto, è il grande tema di questo cantico. L’amore era anche il grande tema della vita di Febe. Era cresciuta in un tempo difficile, aveva visto da bambina la guerra e la fame, ma si ricordava soprattutto del grande amore che poteva percepire nella sua famiglia. L’amore dei suoi genitori l’uno per l’altra, l’amore soprattutto del papà, del babbo che avrebbe potuto essere il nonno per la sua età, che portava questa bimbetta con sé, in ogni luogo, spesso in bici. L’amore per Dio che si viveva in questa famiglia.

È il dono più prezioso che si possa fare a dei bambini, far loro percepire l’amore, e Febe si ricordava nella sua vecchiaia di tanti piccoli gesti vissuti in famiglia. Raccontava per esempio di come la famiglia ringraziasse per ogni pasto e quando, durante la guerra, non c’era più niente nel piatto ringraziavano lo stesso per la vicinanza di Dio. È stato un gesto d’amore e Febe non ha mai dimenticato questa gratitudine.

La poesia di Paolo sull’amore si potrebbe dividere in tre grandi parti. L’inizio parla della ‘nullità dei doni senza l’amore’. Paolo ci racconta di qualcuno che parla tutte le lingue umane e anche la lingua degli angeli ma tutto ciò gli è inutile. Viene paragonato a un rame risonante o a uno squillante cembalo. Perché? Perché non usa questi doni per l’amore. Nella chiesa di Corinto era molto apprezzato il cosiddetto parlare in lingue, parlare in trance sotto l’influsso dell’ispirazione divina. Ma se queste parole angeliche non vengono pronunciate in vista dell’amore non sono nulla, così come il dono della profezia e addirittura una fede che sposta i monti non sono nulla se vengono utilizzati per scopi diversi dall’amore.

Febe aveva molti doni, ma ciò che più colpisce nella sua vita non erano i doni che aveva ma la sua decisione di metterli al servizio di Dio, di dedicarsi al prossimo. – Lei era una giovane donna, sposata, contenta, aveva una bambina di 12 anni, quando quel terribile incidente stradale le ha cambiato la vita. Avrebbe potuto decidere all’epoca di spegnersi come facevano o fanno tante altre persone in queste condizioni. Avrebbe potuto decidere che la vita e i doni di Dio non valgono niente senza la capacità di usare le gambe. Avrebbe potuto ritirarsi nel privato, chiudere ogni porta. Invece ha deciso – ed era una vera decisione – di vivere la sua vita non per sé ma per Dio e per le altre persone. Aveva deciso di affidarsi totalmente a questo Dio che l’aveva messa davanti a quella prova e di chiedergli che lui la portasse dove voleva.

Non sono qui a raccontarvi la vita di una santa. Febe stessa sapeva bene di non essere perfetta, di avere continuamente bisogno di perdono e della grazia di Dio. Ma sono stupita profondamente della forza che Dio ha dato a questa donna per muoversi. Noi che abbiamo l’uso delle nostre due gambe forse non siamo così tanto in movimento quanto lo è stata lei in sedia a rotelle. E forse non lo sarebbe stata neanche lei senza quell’incidente. Talvolta diceva che l’incidente fosse stata un’opportunità che le ha aperto gli occhi. Questa è un’affermazione di profonda fede, che m’interroga per la vita.

Nel nostro testo Paolo fa un salto dai doni di Dio all’etica e ci racconta di qualcuno che distribuisce i propri beni ai poveri; eppure, neanche questo gesto vale se non viene fatto per amore.

Proviamo a cambiare gli esempi nell’oggi. Forse Paolo scriverebbe alla chiesa di Padova: Se qualcuno andasse ogni settimana al culto, donasse dei soldi per i vari progetti della chiesa, venisse addirittura allo studio biblico, ma non avesse amore, non sarebbe nulla. Ci sono tante cose che facciamo per abitudine o per paura o addirittura per calcolo. Saranno scelte ottime, ma Paolo ci ricorda che solo l’amore dà il giusto valore a questi gesti.

Penso che nella vita di Febe si potesse percepire l’amore, altrimenti non ci sarebbero state tante persone che la cercavano regolarmente. L’amore attira. Lei aveva perso in quell’incidente la capacità di fare qualcosa per abitudine o perché ‘si fa così’. Non faceva sempre scelte che le persone attorno a lei condividevano. Non diceva sempre cose belle. Non era sempre una persona facile da sopportare, ma parlava e agiva spinta da un grande amore, anche se questo le portava alcuni inconvenienti.

Nella parte centrale della poesia il tema cambia. Adesso Paolo parla di ciò che fa l’amore.

L’amore è paziente. Non smette di amare quando ci sono dei problemi. Riesce a superare le provocazioni. L’amore ha la capacità di offrire un nuovo inizio.

L’amore non si vanta, non si gonfia. L’amore non deve sembrare più di quanto è. Non deve fare vedere con parole belle delle cose che non ci sono.

L’amore non cerca il proprio interesse. L’amore ha la capacità di non guardare a se stesso ma agli altri. Di mettere addirittura il bene del prossimo prima del proprio bene.

L’amore non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità. Leggendo questo versetto mi è venuto in mente un altro episodio della vita di Febe. Il suo impegno per la giustizia e la verità in Sud-Africa. Già in sedia a rotelle, si era convinta di dover combattere contro l’Apartheid. E uno si chiede: Perché? Perché una donna – in sedia a rotelle – dovrebbe andare in Sud-Africa? Perché una persona già debole dovrebbe contrabbandare delle immagini proibite, attaccandole al proprio corpo per mostrare in Europa l’ingiustizia che accadeva in Sud-Africa? Delle due l’una: o per pazzia o perché lo Spirito Santo guida queste decisioni. Febe agiva per amore delle persone che aveva conosciuto lì in Sud-Africa.

L’amore crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. Febe poteva credere, sperare e sopportare. In questa nostra chiesa era soprattutto lei che ha portato avanti l’impegno ecumenico, non sempre ben visto da tutti i membri di chiesa. Lei credeva in questa visione ecumenica per la quale siamo tutti uno in Cristo. Lei credeva anche in una fede espressa in maniera diversa dalla propria, credeva nel dialogo, sperava che si potesse cambiare qualcosa e abbattere le separazioni, e sopportava perché non era una via facile quella che aveva scelto.

E dobbiamo dirlo: non penso che ci siano tante altre chiese in Italia che possono affermare di essere coinvolte da quasi 40 anni in uno studio biblico ecumenico. Questo è anche merito di Febe.

Nella poesia che riporta Paolo non si parla di persone ma dell’amore. L’amore non è una caratteristica. Posso dire di qualcuno che sarebbe bello, giovane o intelligente, ma non amore. L’amore non è una caratteristica che uno ha o non ha. Ognuno può amare. Quest’amore si fa vedere nel nostro agire e nel nostro comportamento verso altre persone. L’amore vuol essere vissuto ogni giorno. L’amore vuole mostrarsi.

Questo è un pensiero profondamente metodista è così arriviamo ad un’ultima caratteristica di Febe, che trovava tanta ispirazione in ciò che scrivevano i primi metodisti. L’ultimo libro al quale lavorava e che purtroppo non ha potuto finire è su Charles Wesley, l’innologo del metodismo che ha scritto più di 6.000 inni con i quali portava la teologia dell’amore alle persone. Uno di questi inni si chiama ‘Love divine’ amore divino. E ci dice: Finish then thy new creation; pure and spotless let us be; – Signore compi la tua nuova creazione, lasciaci essere puri e senza macchie – till in heaven we take our place, – finché prendiamo il nostro posto in cielo.

Febe ha preso ora il suo posto in cielo. Non deve più preoccuparsi di questo corpo impuro e macchiato. È finalmente tornata nell’amore di Dio.

Paolo scrive: Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto

La morte ci fa sempre in qualche modo paura. Vorremmo vedere con chiarezza come siamo abituati, invece no, vediamo solo in modo oscuro come in uno specchio. Non è facile fidarsi di ciò che non c’è nelle proprie mani. Febe si fidava pienamente dell’immagine nello specchio. Lei ricordava che già il padre aveva pregato ogni sera con la famiglia: Signore, se questa notte mi chiami a te voglio essere pronto. E lei era pronta e ora vede faccia a faccia ciò che noi possiamo solo credere.

Paolo finisce scrivendo: Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore. Febe non voleva essere nel centro dell’attenzione. Non voleva che in questo culto si parlasse troppo di lei ma che si lodasse Dio. Voleva che l’amore di Dio fosse al centro. Per questo: se ci ricordiamo di lei, pensiamo all’amore che ha segnato la sua vita e chiediamoci quale segno vorrebbe lasciare l’amore nelle nostre vite.

Amen

Ulrike Jourdan