Sermone: LE PASSIONI DI PAOLO

Sono sempre stato affascinato dalla figura dell’apostolo Paolo. Un uomo sempre al limite, al limite tra culture diverse (lui ebreo e romano), tra terre diverse (quanto ha vagato tra i paesi che oggi si chiamano Israele, Siria, Turchia, Grecia, Italia), con un carattere dolce ma anche impetuoso (quanta tenerezza si rivela nelle sue lettere per le comunità da lui fondate o visitate, e quante tensioni con Barnaba o con altri apostoli).

Ma più di tutto, di Paolo, mi ha sempre colpito la sua passione per Dio, o meglio le sue due diverse, anzi opposte passioni per Dio. È questa una delle caratteristiche maggiori dell’apostolo Paolo, il fatto che nella sua vita, nella sua esperienza, ci sono state due passioni per Dio: la passione del fariseo Saulo e la passione dell’apostolo Paolo.

Tra queste due passioni c’è l’evento decisivo e misterioso di Damasco, cioè la sua conversione. Riacquistata la vista dopo tre giorni di cecità, Paolo ha ora una nuova visione di Dio e dell’uomo: vede finalmente quello che non aveva visto prima. Praticamente questa conversione è una morte e una risurrezione: muore una passione per Dio, la passione del fariseo, e nasce una nuova passione, diversa, anzi opposta a quella precedente, che è la passione dell’apostolo.

Noi dobbiamo prendere coscienza di queste due passioni, sono tutte e due passioni per Dio, ma sono l’una il contrario dell’altra. Non è che una sia la passione per il mondo e l’altra la passione per Dio; no, sono entrambe passioni per Dio, ma l’una è il contrario dell’altra. E la conversione di Paolo è la conversione da una passione all’altra.

Paolo racconta nella Lettera ai Filippesi questa morte e questa risurrezione. Leggo Fil 3,2-13:

«Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare; perché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne; benché io avessi motivo di confidare anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più. Io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d’Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto. Io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù».

Che cosa apprendiamo subito di molto importante da questo fatto?

Apprendiamo che c’è una passione per Dio che Paolo ad un certo punto considera spazzatura, zavorra, cose da eliminare dalla sua vita. E c’è una nuova passione che sconvolge, sì, la sua vita, ma nello stesso tempo diventa una fonte inesauribile di benedizione e di tribolazione. Sì, anche di tribolazione, perché benedizione e tribolazione vanno insieme. Una passione per Dio nella quale quello che costituiva il suo vanto, cioè la sua giustizia, il suo zelo, la sua appartenenza alla tribù del popolo eletto, la sua stessa fede vissuta come completa sottomissione alla Legge, tutto ciò Paolo lo ha abbandonato, e lo ha sostituito con un nuovo vanto, che non è più qualcosa di suo, ma è la croce di Cristo, che ha acceso la sua nuova passione per Dio.

Avviciniamoci ora un po’ di più a queste due passioni. Quella del fariseo Saulo la descriverei così: è la passione per Dio inteso come Legge, mentre la passione dell’apostolo Paolo è la passione di Dio inteso come Grazia. La differenza sostanziale tra queste due passioni sta appunto in questo: che la prima concepisce e vive la realtà divina come Legge (con la L maiuscola), mentre la seconda concepisce e vive la realtà di Dio come Grazia.

La prima passione, Dio come Legge, è una passione che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ed una passione pericolosa, che condanna il peccatore assieme al peccato. Pensiamo alla Legge dell’interdetto che troviamo nel libro del Deuteronomio: «nelle città che Dio ti dà come eredità non conserverai in vita nulla che respiri, ma voterai a completo sterminio gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei, i Gebusei, come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato di fare». Dio come Legge! La Legge era questa: per eliminare l’idolatria bisogna eliminare l’idolatra.

Oppure pensiamo al grande profeta Elia, che era rimasto il solo a seguire fedelmente il Dio d’Israele, mentre tutti gli altri erano diventati profeti del dio pagano Baal. Elia, dunque, dopo aver vinto il confronto con i 450 profeti di Baal, li fece arrestare e al torrente Kison, «li scannò». Dio come Legge, e la Legge era questa: «Il profeta che parlerà in nome di altri dèi sarà punito di morte».

La passione per Dio come Legge è quella che induce gli scribi e i farisei a raccogliere pietre per gettarle sull’adultera; e lo avrebbero fatto, se Gesù non avesse fatto il discorso che conoscete e non avesse impedito questa lapidazione. Dio come Legge! E La legge era questa: «Quando si troverà un uomo a giacere con una donna maritata ambedue morranno, così toglierai il male da mezzo di Israele». La passione per Dio che diventa passione per la Legge, una passione che per eliminare il male non si ferma neppure di fronte alla vita umana; come dicevo prima, si condanna il peccatore assieme al peccato. Questa passione malata per Dio come Legge è in realtà una bestemmia, ma questa era la passione di Saulo per Dio prima della sua conversione.

Ora è vero che Dio ha dato una legge, ma è altrettanto vero che Gesù ha riassunto “tutta la Legge e tutti i profeti” nel doppio comandamento dell’amore (“Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e il secondo – simile a questo – Ama il tuo prossimo come te stesso”), dicendo quindi che non c’è altra legge divina che la legge dell’amore. Dio dà la legge, ma non è legge. Nella Bibbia ci sono molte leggi, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ma mai dice che Dio è Legge! Perciò la passione per Dio non può degenerare in passione per la Legge, come se Dio fosse Legge! Dio non è Legge, è Libertà; Dio non è Legge, è Misericordia; Dio non è Legge, è Amore. La passione per la Legge non può mai venire prima della passione di Dio per l’uomo, anche e ancora di più se peccatore.

E’ a questa verità cristiana elementare, che tutti conosciamo, che dobbiamo fare riferimento nelle nostre relazioni, nei nostri affetti, al lavoro, in casa, nel nostro annuncio di fede. Quante volte ho/abbiamo presentato Dio come Legge, così da trasformare il cristianesimo in una religione di permessi e di divieti, e il volto di Dio non è quello del Padre, ma quello del legislatore. Ma la Legge che Dio ci pone davanti, e che Gesù ha realizzato nella propria vita e morte, è quella Legge che l’apostolo Giacomo chiama «la legge perfetta, cioè la legge della libertà» – della libertà responsabile. Non dunque la legge che inchioda l’uomo nella sua colpa, reale o presunta, e lo condanna, ma la Parola che libera, l’evangelo che include.

Poniamoci con sincerità queste domande: di quale Dio sono/siamo appassionati? Del Dio legislatore o del Dio Padre? Qual è la caratteristica principale, il tratto saliente del Dio nel quale crediamo: la Legge o la misericordia? Riflettiamoci bene prima di rispondere. Siamo sicuri che il nostro Dio sia proprio Dio, o piuttosto una sua caricatura, e cioè la mia idea di Dio, quella che più mi piace, cioè quella del Dio giusto che punisce i malvagi e premia i buoni? Qual è il Dio che ci ha afferrato e che ci afferra oggi ancora? Qual è il Dio che ci ha vinto e convinto? Ancora una volta: di quale Dio siamo appassionati?

Ritorno al percorso di conversione di Paolo, così affascinante. Paolo aveva conosciuto e praticato con totale convinzione e dedizione la passione per il Dio-Legge. Poi era stato convertito, quasi a forza, suo malgrado e contro tutti i suoi piani, al Dio-Grazia, cioè al Dio amore e libertà, misericordia e accoglienza. C’erano nella Chiesa delle origini anche altri evangeli, altri modi di intendere il Dio di Gesù Cristo. Contro questi altri evangeli, che cercavano di combinare Legge e Grazia, salvezza per fede e salvezza per opere, amore gratuito di Dio e merito dell’uomo, rendendo irriconoscibile il vero volto di Dio, Paolo ha combattuto tutta la vita.

«Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per fare misericordia a tutti», dice Paolo ai cristiani di Roma. Misericordia di Dio non a qualcuno soltanto, o a molti ma non a tutti, come se qualcuno fosse fuori della misericordia di Dio. No, tutti stanno dentro questa misericordia, perché la misericordia di Dio è più grande della misericordia di tutti. E se è vero che tutti stanno dentro la misericordia di Dio, come posso io metterne fuori qualcuno? Tanto più che sono disubbidiente anch’io, come quelli che vorrei escludere: Dio ha infatti rinchiuso tutti «nella disubbidienza»! Anch’io lo sono, ed è soltanto perché io sono graziato che lo sei anche tu, soltanto perché lo sei tu che lo sono anch’io. La grazia è per me soltanto perché è anche per te, ed è per te soltanto perché è anche per me. Cioè Dio non vuole salvare me senza di te, e te senza di me.

Ecco perché la Chiesa non può essere altro che spazio di accoglienza e mai di esclusione. «Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo ha accolto voi per la gloria di Dio», ci dice sempre Paolo. Che cosa vuoi dire accoglienza? Vuoi dire fare posto all’altro, qui, vicino a me e a te, «come Cristo ha accolto noi». E’ cioè accoglienza senza misura, come nell’Ultima Cena, celebrata con Giuda. Quello è il modello di ogni accoglienza. Come la misericordia abbraccia tutti e non solo qualcuno, così l’accoglienza di Cristo è aperta a tutti; come siamo tutti graziati, così siamo tutti accolti. Questa è la profondità delle cose di Dio. Di questo Dio, Paolo era appassionato.

Ma Paolo non era un ingenuo innamorato di Gesù, un sempliciotto senza fondamenta. La sua passione per Dio, che diventerà passione di evangelizzazione del mondo, sarà, come dicevo all’inizio, fonte inesauribile di benedizione ma anche di tribolazione.

Nella seconda Lettera ai Corinzi, al capitolo 6, Paolo scrive: «In ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero; con un parlare veritiero, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nell’umiliazione, nella buona e nella cattiva fama; considerati come impostori, eppure veritieri; come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!».

Portare l’evangelo nel mondo è una cosa bellissima, ma faticosissima, perché il mondo non è ben disposto, non è amichevole, non accoglie volentieri la parola della croce. Come nella vita di Gesù, così anche in quella di Paolo, la passione per Dio è diventata un reale patire in mezzo ad una umanità, tutto sommato, ostile e refrattaria. Annunciare e vivere l’evangelo è fatica stupenda, ma costosa. Gesù è finito in croce, Paolo termina il suo ministero da solo, a Roma, abbandonato da tutti (anche dalla Chiesa, che cominciava a trovare eccessivo l’evangelo della grazia annunciato da Paolo), e in catene. La parola di Dio è vincente, ma crocifissa. Nella croce è la vittoria: è questo il paradosso della condizione cristiana in questo mondo. Ed è in questo modello di esistenza che si compie la passione per Dio di Paolo e di ogni cristiano.

Dio ci aiuti a coglier la sapienza di questa Parola, e ci aiuti a portare avanti, oggi, in questo nostro mondo, con i nostri limiti e la nostra passione per Lui, la sua volontà di amore per i suoi fedeli e per tutta l’umanità. Dio lo voglia per tutti noi.

Amen

Fabio Barzon