Sermone: L’investimento di Dio

Potremmo chiamare questa domenica la domenica degli investimenti. Questo almeno sembra essere il suggerimento della lettura dal vangelo di Matteo. – Qualcuno che si intenda di cose bancarie direbbe: chi vuole fare soldi deve investire e non deve investire solo poco e con poco rischio, ma deve investire tanto e deve anche rischiare abbastanza per aumentare i propri profitti. Altrimenti rimarrà sempre povero.

Io personalmente odio dover andare in banca e dover parlare lì con delle persone che sanno come investire i miei quattro soldi. Odio stare allo sportello a discutere con loro perché per loro è tutto chiaro, per me invece non lo è. Loro vogliono investire, in azioni, in fondi in che ne so io. – Io no. Voglio solo un posto sicuro per le mie “monete” e possibilmente l’anno successivo avere ancora quello che ho portato. Chi si occupa davvero di faccende bancarie ride di me. E quando leggo la parabola del servo malvagio, mi chiedo ancora una volta se sono proprio io quella che non capisce niente di investimenti.

Solo quando guardiamo a chi ci racconta questa parabola, cioè a Gesù, solo così possiamo trovare il senso più profondo del racconto. Qui Gesù ci vuole dire: solo chi investe tutta la sua vita, solo chi mette in gioco tutto se stesso potrà anche ricevere il regno di Dio. In questo ci vuole il coraggio di rischiare qualcosa, non qualcuno che sta solo fermo e aspetta che cosa succede. Non qualcuno che protegge angosciato lo status quo, come faccio io in banca. Nella parabola non viene neanche premiato il successo, ma la voglia di mettersi in gioco. Così è ovvio che la poca fede e l’incredulità vengano punite. Nella fede c’è una promessa o, per dirla nel linguaggio dei banchieri: la fede porta profitto, rende.

Forse pensate: è ovvio che lei lo dica, fa parte del suo mestiere. In banca mi dicono che i miei soldi renderanno, qui la pastora deve fare pubblicità per la fede, è il suo lavoro. Ma forse rimane la domanda: è davvero un buon investimento quello nella fede? Guadagniamo se investiamo in Gesù Cristo? – Uno che ha investito tutto nella fede in Cristo è l’apostolo Paolo. E nella lettera ai filippesi descrive gli investimenti della sua vita. Leggo nel terzo capitolo i versetti da sette a quattordici:

7 Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo.  8 Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo  9 e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.  10 Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte,  11 per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.  12 Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù.  13 Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti,  14 corro verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.

Paolo ha investito nella sua vita. In primo luogo, l’ha fatto con diversi anni di studi da uno dei più grandi insegnanti dell’epoca. Ha investito in una carriera ecclesiastica che sembrava portare successo. Quando lavorava a Gerusalemme, faceva carriera velocemente, perché era uno che dava tutto se stesso, si impegnava totalmente per la purezza della fede – all’epoca ancora la fede ebraica. Ogni mezzo gli andava bene per perseguitare, giudicare e condannare i discepoli di Gesù di Nazaret. Egli era uno dei più temuti persecutori dei primi cristiani. Paolo viveva quindi come oggi ogni persona che vuole fare carriera lo farebbe. Ma nel bel mezzo di una giornata che cominciava normalissima, preso dal suo lavoro quotidiano, accade quello che è noto come ’l’evento di Damascò’. Paolo, o meglio Saulo come si chiamava prima della suo conversione, sente la domanda: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Atti 9,4 E conosciamo la storia: la luce che risplende, la caduta a terra (ma non dal cavallo come vuole farci credere Caravaggio), e oltre. Gesù Cristo stesso gli fa capire che stava seguendo una via sbagliata, che investiva in una direzione falsa. Mette tutta la sua vita e la scala dei suoi valori sotto sopra. Ma Gesù non si ferma ad una domanda che accusa. Piuttosto Paolo impara, che il senso della vita non sta in ciò che io porto o che posso mostrare e neanche in ciò che gli altri dicono di me. Tutto quello Paolo lo considera dopo l’incontro con Gesù come danno, come spazzatura, si potrebbe anche tradurre: come fango, addirittura, come letame. Tutto ciò in cui lui aveva investito nella sua vita lo lascia da un momento all’altro dietro di sé, perché vede che il senso della vita si ritrova solo in Dio e nella sua misericordia. – La fede in Gesù Cristo non va d’accordo con l’atteggiamento farisaico secondo il quale l’uomo ha la legge in suo potere e si procura così salvezza. Gesù richiede a Paolo un cambiamento totale del suo pensiero. Richiede di non affidarsi più alla ‘carne’ vuol dire alle sue forze, alla sua capacità di agire, ma solo alla grazia di Dio.

Mi sono chiesta che cosa ho lasciato io dietro di me per rendere salda la mia relazione con Dio. Intendo, a quale pensiero, a quale modo di vivere ho rinunciato per essere più vicina a Dio? E chiaro che le due realtà della vita di Paolo e la mia, la nostra vita, non sono proprio paragonabili, ma comunque vorrei lasciarmi, lasciarci interrogare da questo cambiamento di vita. Io sono nata in una famiglia cristiana come penso anche la maggiore parte di voi. Ed io personalmente non ho mai vissuto un unico momento di conversione, come l’ha avuto Saulo, Paolo, che addirittura ha cambiato il suo nome. Questo perché ho avuto tante piccole conversioni nella mia vita. E tra parentesi devo anche dire che questo non mi dispiace. Qualcuno mi ha detto una volta: ho paura di fronte a quei cristiani che una volta nella loro vita si convertono e dopo rimangono fermi nella loro fede, non solo nel senso positivo ma anche in quello negativo del termine. In queste vite non cambia più niente. Sono immobili. Ma la vita cristiana non è ferma, cerca i cambiamenti, cerca sempre di nuovo la conversione.

Ma ritorniamo alla domanda: Che cosa è cambiato nella mia vita conoscendo Gesù? Che cosa ho lasciato indietro? Forse delle abitudini cattive, o dei pensieri che non quadrano con la volontà di Dio. Vi viene in mente qualcosa? E a cosa invece ho fatto spazio nella mia vita? Forse ho dato spazio alla lettura della bibbia, o alla preghiera di intercessione per fratelli e sorelle nella fede, o ho aperto il mio cuore per i poveri che anche Gesù guardava sempre con occhi misericordiosi. Cosa è cambiato per voi? Mi piacerebbe ascoltare una volta da voi la vostra storia personale. E prendetevi anche un attimo di tempo per riflettere, se c’è anche qualcosa rispetto a cui Dio vi dice: questo mi piacerebbe tanto che lo cambiassi ancora. Non perché lo devi fare, non perché non ti voglio più bene se non lo fai. Guai a questi pensieri. Dio ci dice: ti amo, di tutto cuore e per questo non devi rimanere come sei, ma hai adesso la possibilità di diventare così come io me lo immaginavo quado ti ho creato.

È questa la grade scoperta di Paolo: Dio ci ama. Lo ama. Mi ama. Non sono io l’investitore della mia vita, ma è Dio che investe la sua grazia, il suo amore in me, senza condizioni. Nella vita di Paolo questo vuol dire non la legge porta salvezza e vita, ma solo Gesù.

Al tempo della Riforma sono stati preparati molti scritti che avevano come scopo l’istruzione dei credenti. Era la prima volta dopo secoli. Uno di questi, forse il più famoso, era il Catechismo di Heidelberg. La prima domanda che troviamo in questo catechismo è: ‘In che consiste la tua unica consolazione In vita e in morte?’ E la risposta: ‘Nel fatto che col corpo e con l’anima, in vita e in morte, non sono più mio, ma appartengo al mio fedele Salvatore Gesù Cristo, il quale col suo prezioso sangue ha pienamente pagato il prezzo di tutti i miei peccati e mi ha redento da ogni potere del diavolo; e mi preserva cosi che neppure un capello può cadermi dal capo senza la volontà del Padre mio che è nel cielo; ed anzi ogni cosa deve cooperare alla mia salvezza. Pertanto per mezzo del suo santo Spirito egli mi assicura anche la vita eterna e mi rende di tutto cuore volenteroso e pronto a vivere d’ora innanzi per lui.

Dell’investimento di Dio, dalla sua immeritata grazia vive l’apostolo e apprende, che con questo investimento, non ha solo gioia. Adesso ha nemici e concorrenti ovunque e lui cerca di incontrare questi individui – in un modo nuovo. Gli racconta dell’amore e della misericordia di questo Dio. Gli racconta, di come gli individui possono comportarsi gli uni con gli altri, quando sentono e vivono l’annuncio: Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione.  20 Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio.’ 2.Kor 5,19f Nella fede in Gesù Cristo lui trova la forza di non tacere, ma anzi di investire sempre e di nuovo nella riconciliazione. E lo fa con la stessa passione di prima, ma non più guidato dall’ira. Non è più il furioso persecutore, ma il missionario che vive in preghiera. Ha cambiato la sua vita, non perché doveva farlo, ma perché ha percepito l’amore di Dio e così non poteva più rimanere nelle sue vecchie abitudini. Nella fede in Cristo lui trova la forza di protendersi verso la meta dell’investimento della sua vita, cioè Gesù. Questo protendersi, questo perseguire, questa dinamica è stata descritta da Martin Lutero così: La vita cristiana non è essere pio, ma diventare pio. Non è essere sano, ma diventare sano. Non essere, ma diventare, non tranquillità ma esercizio. Noi non siamo ancora, ma saremo. Non è ancora successo, ma è nell’avvenire. Non è la fine, ma è il cammino.

Mi auguro e ci auguro, che la nostra vita sia anche così in cammino. Ci auguro, che troviamo ogni giorno di nuovo la forza nella fede di non dover rimanere così come siamo, ma di poter diventare le persone che Dio vede in noi. Di diventare le persone nelle quali Dio ha investito il suo amore, la sua grazia, la sua passione. E di rendergli grazia ogni giorno per il suo grande amore. – Amen

Ulrike Jourdan