Sermone: LUX LUCET IN TENEBRIS

Sermone della pastora Ulrike Jourdan predicato il 24.6.2018 a Torre Pellice in occasione della Conferenza del II Distretto e riproposto oggi durante il culto a Padova.  Lettura: 1 Giovanni 1,5-2,6

Luce e tenebre: sono queste le due parole forti che risuonano nel testo della prima lettera di Giovanni che abbiamo già ascoltato. È speciale per me poter predicare su un tema del genere in questa chiesa particolare e in questa zona d’Italia così ricca di storia per la vita delle nostre chiese. Quando si parla qui di luce e tenebre, chi non corre subito con il pensiero al simbolo del candelabro con le sette stelle dove sta scritto: Lux lucet in tenebris?

Leggo ancora una volta la parte iniziale del nostro testo. Giovanni scrive:

5 Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre.  6 Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità7 Ma se camminiamo nella luce, com’egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.

Da bambina, nei campi per giovani della chiesa metodista in Germania, ho cantato spesso un inno che diceva: “Siamo fieri di essere valdesi e diciamo: Lux lucet in tenebris!”

Vi confesso che non sapevo neanche chi fossero questi valdesi, ma l’inno mi piaceva e l’ho cantato a squarciagola.

Eppure, a parte i ricordi d’infanzia e un po’ di folklore, penso che faccia bene porre e porci sempre di nuovo la domanda: che cosa vuol dire per noi, che cosa vuol dire per me vivere nella luce di Dio? Che cosa simboleggia questo candelabro per la mia vita? In quale ambito della mia vita ha diritto di essere presente questa luce?

Per capire meglio il testo, ci è forse d’aiuto guardare un po’ nella storia di questa breve lettera. La prima lettera di Giovanni viene scritta con molta probabilità per intervenire in una situazione di conflitto; la giovane comunità, alla quale è indirizzata, è stata posta dinnanzi ad insegnamenti che determinano insicurezza nei credenti: idee “strane” su come intendere la fede e interpretare il ruolo di Gesù Cristo per la fede. Nella chiesa vi erano probabilmente persone che pensavano di aver trovato la loro via verso la salvezza – e Gesù Cristo c’entrava poco con questa via.

Mi sembra che, con tutte le opportune differenze, si tratti di un tema molto attuale per la vita delle nostre chiese. Quante volte sento dire: voi valdesi (e anche i metodisti) siete una chiesa buona e onesta, siete brava gente, anch’io vi do l’8 per mille!

Può fare piacere sentirlo. Ci stimola a investire in progetti sociali e culturali che ci danno buona visibilità, che ci mettono in una buona luce; e talvolta, diciamolo, fa star bene guardare a sé stessi in questa luce, sentirsi buoni, bravi e in qualche modo anche importanti.

Dobbiamo però renderci conto che questa luce, nella quale ci crogioliamo e ci sediamo beati, non ha niente a che fare con la luce della quale parla il nostro testo biblico. La prima lettera di Giovanni ci ricorda che il cammino nella luce è collegato alla purificazione da ogni peccato tramite il sangue di Gesù.

Avete provato ultimamente a parlare con qualcuno del peccato? Non intendo con qualcuno delle nostre chiese, forse in uno studio biblico, ma con qualcuno all’esterno delle nostre comunità. Potete immaginarvi che faccia possono fare le persone che ci hanno appena detto che siamo brava gente, una chiesa moderna e affascinante, quando parliamo loro del peccato? – Una specie di shock! Il peccato non è né moderno né affascinante. Per la maggior parte delle persone il peccato è qualcosa di vecchio, di cui sarebbe meglio non parlare. Del peccato parlano solo i fondamentalisti.

Conoscete queste reazioni?

Il nostro testo biblico dice invece che nella luce di Cristo si cammina nella prospettiva di essere purificati dal peccato. In buona sostanza, c’è la convinzione di non potersi avvicinare a Dio tenendosi addosso tutto il peso e l’impurità del peccato. Per questo anche noi confessiamo ogni domenica i nostri peccati nel corso del nostro culto, perché sentiamo il bisogno di liberarci e di prepararci alla presenza di Dio. E come dice il nostro testo: nella luce di Dio si può stare soltanto lasciandosi purificare e liberare dal peccato. Ma il nostro brano prosegue:

8 Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.  9 Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto / da perdonarci i peccati /e purificarci da ogni iniquità.  10 Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi.

1 Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto2 Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. 

Il peccato e il suo superamento, la giustificazione è sempre stato il grande tema delle chiese riformate. È il primo tema che affronta il Catechismo di Heidelberg sotto il titolo “la miseria dell’uomo”. E con ogni nuovo catecumeno è la prima pietra d’inciampo. Per presentare ciò che nella parte finale di questo bellissimo testo della Riforma viene riassunto sotto il titolo di “la gratitudine dell’uomo” non serve la metà, ma neanche un terzo del tempo che si impiega all’inizio, dove si parla del peccato e della miseria che si devono riconoscere per poter vivere e morire felicemente. È un tema che si scontra con il pensiero e il sentire di oggi, che grosso modo afferma: l’importante nella vita è comportarsi bene!

Pensateci bene, forse è questa la grande filosofia di oggi: non importa a chi rivolgi la tua preghiera, l’importante è come ti comporti. Un po’ di pace e amore fa sempre bene e per il resto cerca di non comportarti male. Questo è il credo che si sente oggi e diciamocelo: influenza anche noi. Questo è il credo di gran parte del mondo che ci circonda. Non fare niente di male, così andrà tutto bene.

Solo per intenderci: io non ho niente contro la pace e l’amore, e sono ben contenta se la gente si comporta bene, però dobbiamo renderci conto che questo comportamento semi-religioso non ha a che fare con la luce di Cristo di cui ci parla la Scrittura. Nella prima lettera di Giovanni leggiamo che siamo bugiardi e inganniamo noi stessi se diciamo di non essere peccatori. E questo nostro essere peccatori emerge alla luce di Cristo.

Vi ho già detto prima della reazione di vari catecumeni quando affrontiamo questo tema. Penso a persone adulte, che si avvicinano alle nostre chiese proprio perché vedono in noi gente onesta e brava e considerano la nostra chiesa più democratica e moderna rispetto ad altre. Queste stesse persone rimangono spesso scioccate nel sentirsi dire: sei un peccatore! Ci vogliono settimane, talvolta dei mesi, per poter dire che la cosa fondamentale non è la buona luce nella quale noi, come esseri umani, siamo capacissimi di metterci, ma, al contrario, la luce di Dio che mostra tutto ciò che non va, mostra la nostra distanza e diversità da Dio. Come già ho detto: non è un concetto facile da cogliere o da accettare per le persone di oggi, eppure, devo dire, pur nella mia breve esperienza, con tutti i catecumeni si arriva anche al punto in cui si sperimenta la liberazione e si cambia prospettiva.

Non devo essere IO buono, non devo essere IO a realizzare tutto, non devo procurarmi IO la salvezza attraverso un atteggiamento pacifico e amorevole. Se accettiamo di metterci sotto la luce di Cristo, allora emergono tutti quei lati che avremmo voluto lasciare nell’oscurità, emerge quanto siamo centrati su noi stessi, quanto tutto ruoti intorno a quell’IO.

Ma Giovanni scrive: noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.

La luce di Cristo è dolce, è una luce che ti mette in buona luce. Non siamo noi a dovercela procurare, non dobbiamo fare veder noi quanto siamo bravi e buoni, è la luce buona e benevola di Cristo che splende sulle nostre vite e sul nostro cammino.

Giovanni prosegue il suo discorso scrivendo:

3 Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti4 Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; 5 ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo. Da questo conosciamo che siamo in lui: 6 chi dice di rimanere in lui, deve camminare com’egli camminò.

Osservare i comandamenti, camminare sulla via di Cristo. Qualcuno potrebbe dire: adesso siamo arrivati dov’eravamo prima. Ci vuole comunque una vita che prenda forma dai comandamenti, serve comunque agire bene, essere onesti, pacifici, amorevoli ecc. ecc.

No, è tutto diverso. Perché chi cammina veramente con Cristo sotto la sua luce non lo fa per….. Chi osserva veramente i comandamenti, chi ama veramente e chi è veramente portatore di pace non lo è per….. La logica del nostro mondo ci dice: tu fai e poi guadagni. Invece Cristo ci dice: lasciati prima servire e poi sei libero di rispondere.

Chi cammina insieme a Cristo, sotto la sua luce, non deve fare per qualcosa, ma può fare perché è libero da quelle logiche che vorrebbero determinarci. Chi cammina nella luce di Cristo non deve più guadagnarsi la salvezza.  È già salvo e può condividere ciò che ha ricevuto con il mondo. Chi cammina nella luce di Cristo ha sperimentato la pace e il grandissimo amore di Cristo e così non può fare diversamente se non essere a sua volta portatore di pace e di amore per questo mondo.

È questa luce forte e dolce, chiara e calda che sento quando guardo il simbolo del candelabro con la scritta ‘lux lucet in tenebris’. Nelle tenebre di questo mondo, nelle tenebre della mia vita splende una luce.

Spesso non sappiamo in quale direzione ci poterà il nostro cammino come singoli e come chiesa, però sotto questa luce non ho paura di affrontare la strada. Questa luce mi aiuta a vedere chiaramente i miei limiti, ma toglie contemporaneamente lo sguardo da essi e porta verso il futuro, un futuro sotto la luce di Dio.

Amen

past. Ulrike Jourdan