Sermone: MARANATHA’ – VIENI, SIGNORE, VIENI.

Cari fratelli e sorelle, per questa domenica, terza di Avvento, il testo di predicazione proposto da “Un giorno una parola” è tratto dalla Lettera ai Romani 15,4-13

“Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza.

Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio. Infatti io dico che Cristo è diventato servitore dei circoncisi a dimostrazione della veracità di Dio per confermare le promesse fatte ai padri; mentre gli stranieri onorano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti celebrerò tra le nazioni e canterò le lodi al tuo nome». E ancora: «Rallegratevi, o nazioni, con il suo popolo». E altrove: «Nazioni, lodate tutte il Signore; tutti i popoli lo celebrino». Di nuovo Isaia dice: «Spunterà la radice di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni; in lui spereranno le nazioni». Ora il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo.”

Il testo che abbiamo appena ascoltato sembra, a prima vista, voler toccare più punti, voler offrire più spunti e tematiche diverse per la riflessione personale o comunitaria. Se lo mettiamo però a confronto con le altre letture neotestamentarie di oggi, ecco che un filo conduttore unico inizia a comparire. Siamo nel periodo dell’Avvento: fra una settimana, lunedì prossimo, sarà Natale. Ancora una volta Cristo nasce per noi e si fa uomo: carne per noi e come noi. Nell’Evangelo di Giovanni, la nostra prima lettura, vediamo Gesù che ribadisce con forza, di fronte ad un Giovanni Battista dubbioso o quanto meno incerto su chi fosse realmente colui che aveva battezzato tempo prima nelle acque del fiume Giordano.  «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?».  Anche nella Seconda Lettura l’Apostolo Paolo parla della venuta del Signore. Questa volta però si tratta della seconda e definitiva venuta: “quando Egli metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori”. Alla fine dei tempi quindi, quando Gesù giudicherà noi tutti: “colui che mi giudica è il Signore. Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore”.

Si comprende ora meglio il messaggio che ci viene oggi dal passo della Lettera ai Romani: Gesù Cristo è l’inviato di Dio. Dio ha mantenuto la sua promessa e ha mandato il liberatore. “A dimostrazione della veracità di Dio per confermare le promesse fatte ai padri”. Del resto anche Isaia, nell’Antico Testamento, dice chiaramente: “Spunterà la radice di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni; in lui spereranno le nazioni».

Ma Dio non ha mandato un inviato in vesti regali: ha mandato un “servitore dei circoncisi” ovvero del popolo ebraico. Ma attenzione, ora siamo nel Nuovo Patto per cui Gesù non è il liberatore solo e soltanto del popolo ebraico ma lo è per tutte le nazioni: “Rallegratevi, o nazioni, con il suo popolo”. Pertanto “nazioni lodate tutte il Signore; tutti i popoli lo celebrino”.

Ecco quindi cosa ci apprestiamo a fare in queste settimane di Avvento. Dove questo termine, come sappiamo, indica, appunto “venuta”.  Una venuta che è speranza, speranza che ci riempie di gioia e di pace nella fede, affinché possiamo abbondare, prosperare, stare meglio grazie alla potenza dello Spirito Santo. Spirito Santo che, ricordiamolo ancora, è quella persona della Trinità che è sempre presente qui sulla Terra fin da quando Gesù è asceso al cielo.

Egli non ci ha lasciato soli: con noi è rimasto il suo Spirito. Lo abbiamo sentito prima nell’invocazione iniziale: “Dio, che è per noi come un padre” (vedi quindi l’Antico Testamento) “Dio, che è diventato nostro fratello in Gesù Cristo (e qui siamo nel Nuovo Testamento) “Dio, che è adesso qui presente nello Spirito Santo.” Spirito di speranza, di consolazione ed anche di potenza, nell’attesa della seconda e, lo ripeto, definitiva venuta di Cristo per “giudicare i vivi e i morti” come dice il nostro Credo.

Le parole chiave quindi, cari fratelli e sorelle, di questo passo di Paolo che ci viene proposto alla riflessione in questa domenica, iniziano a crescere: venuta, speranza, e adesso Fede: “vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede”.

Ma cos’è la Fede? Fede vuol dire fiducia, vuol dire affidarsi totalmente a qualcuno. Sì, mio Signore, mi fido ciecamente ed assolutamente di Te, portami dove vuoi. La tua mano paterna mi guida sicuramente verso il bene. E abbiamo sentito prima le parole del Salmo 23: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza”. Tu sei con me, tu mi dai sicurezza. La sicurezza che nasce dalla fiducia, dall’affidarsi totalmente a Colui che è già venuto e che so che tornerà. Ma che comunque è già qui presente, in mezzo a noi, in Spirito.

Lo abbiamo anche invocato nel primo inno: “Vieni in mezzo a noi, Dio liberatore”. Ecco di nuovo il liberatore. Anche l’inno 70 “Un’alba nuova” ce lo ricorda: “Un’alba nuova sorger vediam per liberarci viene il Signor”. Colui che ha liberato il popolo ebraico dalla schiavitù materiale, fisica, in Egitto, colui che ci ha liberato dalla schiavitù spirituale del peccato, colui che tornerà per salvare ancora una volta chi ha avuto fiducia in lui, chi ha creduto, chi si è affidato.

Come vedete, cari fratelli e sorelle, tutto il culto di questa domenica converge, tutto torna. E allora, non possiamo fare altro che pronunciare, con vera fede, l’ultima parola della Bibbia: Maranathà, vieni Signore vieni. Il tuo popolo ti aspetta.

Amen

Daniele Rampazzo