Sermone: Nella sottomissione si mostra la vera libertà

Con questa domenica si conclude il periodo legato al Natale, nel quale abbiamo riflettuto sulla luce dell’Epifania; entriamo ora nel ciclo liturgico legato alla Pasqua. Più o meno così, sull’orlo del cambiamento, si trovano anche i discepoli nel testo previsto per oggi. Loro hanno sperimentato molto con Gesù. Hanno imparato tanto, hanno condiviso dei momenti stimolanti, belli, forse anche divertenti. Ora sentono che sta per cambiare qualcosa. Si concluderà il periodo di gioia e loro devono intraprendere insieme a Gesù il cammino verso Gerusalemme.

Anche oggi sento dire e condivido l’impressione che i tempi cambiano. Già qualche anno fa il libro di un giornalista tedesco che si intitolava. “È finito lo spasso” ha avuto un grandissimo successo. Mi ricordo di aver trovato quel titolo eccessivo. Oggi non sarei più così sicura. – Anche Gesù cerca di comunicare qualcosa di simile ai suoi discepoli. È finito lo spasso, ora inizia la dura e cruda realtà.

Loro vorrebbero prepararsi. Vorrebbero essere pronti per ciò che viene loro incontro e per questo chiedono al loro maestro: «Aumentaci la fede» (Lc 17,5). Hanno colto di non essere ancora abbastanza attrezzati per poter affrontare ciò che sta davanti a loro. Vorrebbero prepararsi al meglio. Però invece di aumentare qualcosa, Gesù gli ricorda quanto sia piccola la loro fede, se fosse almeno grande quanto un granello di senape – il semino più piccolo conosciuto all’epoca – se fosse almeno grande così la loro fede potrebbe già spostare i monti.

E poi Gesù racconta una parabola che è riportata solamente nel vangelo di Luca. Leggo Luca 17,7-10:

«Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà forse, quando quello torna a casa dai campi: “Vieni subito a metterti a tavola”?  8 Non gli dirà invece: “Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu”?  9 Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato?  10 Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: “Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”».

È la prima volta in quindici anni di servizio pastorale che predico su questo testo. L’ho sempre evitato perché mi era troppo antipatico e ancora oggi la mia prima reazione a quel testo è il rifiuto. Mi piace raccontarvi quanto sia buono Dio e quanto ci ama e, a prima vista, ne trovo poco di quest’amore nel nostro testo. Però forse questo testo non parla neanche di Dio. Parla piuttosto di noi, dei discepoli.

Voglio cercare insieme a voi di scoprire che cosa questo testo può dirci. Conosciamo bene tanti altri testi biblici nei quali il nostro Signore si comporta molto diversamente da quel signore del quale racconta Gesù; cerchiamo ora di scoprire perché questo testo così particolare è stato anche accolto tra gli scritti biblici.

Penso che in questo testo troviamo un pensiero profondamente evangelico che ci ricorda la nostra inutilità davanti a Dio o, forse, potremmo dire la nostra non indispensabilità. Quando i discepoli chiedono a Gesù di aumentare loro la fede pensano che così potrebbero meglio affrontare ciò che li attende. Pensano che se solo si impegnano abbastanza, se credono abbastanza, se lavorano duramente possono sussistere. Invece no. Questo testo ci dice che noi con tutto ciò che siamo in grado di fare non siamo indispensabili per Dio. Dio non ha alla fin fine bisogno di noi. Siamo noi che abbiamo bisogno di Dio. Siamo noi che dobbiamo essere contenti di poter vivere e lavorare alla sua presenza. Questo testo cerca di ridimensionare il nostro ego che facilmente diventa troppo grande e ingombrante.

Tutto ciò mi fa pensare a Martin Lutero che si dibatteva per lungo tempo in queste domande. Lui sentiva fortemente che ciò che poteva portare e mostrare a Dio non sarebbe bastato mai. Lui sentiva che la sua fede era troppo piccola, sentiva la grande distanza tra ciò che avrebbe voluto fare e ciò che effettivamente faceva. L’apostolo Paolo esprime questa contraddizione nella lettera ai Romani (Rm 7,19): il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Questo lo sentiva anche Lutero. Sapeva bene che cosa avrebbe voluto fare e non riusciva a raggiungere l’obbiettivo. Vedeva la propria fede e si disperava perché non aveva neanche la grandezza di un granello di senape.

Non lo so se voi conoscete questi pensieri. Per Lutero è stato un inferno sentirsi così inutile, così piccolo e nullo davanti a Dio. Aveva una paura tremenda di non poter dare abbastanza, di non avere abbastanza fede, di non poter esprimere la sua fede con opere adeguate.

Proprio per questi pensieri Lutero ci dice: il credente non ha niente di cui vantarsi davanti a Dio. Non c’è niente che possiamo fare noi. Fa tutto Dio. Lutero riconosce pienamente di essere un ‘servo inutile’.

Ma forse dovremmo chiarire perché egli si percepisce come servo – anzi, quasi quasi potremmo tradurre anche come schiavo. Il primo pensiero base di Lutero è che noi esseri umani non siamo liberi. Siamo inevitabilmente sottomessi a qualcuno. E per lui c’è la duplice possibilità: o siamo sotto il potere di Dio o sotto quello del diavolo. Altro non esiste per Lutero. Non conosce il pensiero di una libertà in senso umanista. Per lui ogni essere umano è sottomesso e usa l’immagine di una bestia da soma che viene cavalcata o dal diavolo o da Dio. Per poi affermare: solo chi è sotto il potere del Signore può essere libero. E così Lutero afferma nel suo Piccolo Catechismo, commentando il secondo articolo del credo: “Credo, che Gesù Cristo …. è il mio Signore, che ha redento me, perduto e dannato, mi ha acquistato, riscattato da tutti i peccati, dalla morte e dal potere del Diavolo.”

Gesù ha acquistato questa povera bestia da soma e sotto la sua guida c’è libertà per il credente, altrimenti deve per forza essere sottomessa ad altri poteri che nella visione di Lutero possono solo essere negativi.

Mi sento profondamente metodista, per questo non sono proprio in tutto d’accordo con questi pensieri, però cerco di cogliere qualcosa che può aiutare anche la mia fede.

Proprio nei momenti deboli quando non sono in grado di fare e produrre e forse neanche in grado di reagire, mi può aiutare questa visione. Dio è responsabile. Lui mi ha comprato col suo sangue dal potere delle morte – malgrado tutti i miei peccati – e mi ha messo in un nuovo stato libero. Non è una libertà senza nessun’riferimento. È la libertà dei credenti che vivono la loro vita nella sfera di Dio. Per tornare al nostro testo potremmo anche dire: è la libertà dello schiavo che è stato comprato da un Signore buono che lo tratta bene e lo lascia vivere insieme a lui.

Lutero ci invita a vivere la nostra vita non più per noi stessi. Vi ricordate forse di un’altra immagine di Lutero che descrive l’uomo peccatore come un essere incurvato in se stesso. Uno che guarda il proprio ombelico, con i propri bisogni e desideri e non è più in grado di alzare la testa per vedere né Dio, né il prossimo. Il peccatore trova il culmine della vita in se stesso. Lutero ci invita invece a vivere come credenti fuori da noi stessi. A vivere in Dio e nel prossimo e a diventare così un Cristo per gli altri.

Questo è la vita del servo accanto a Dio. Vive insieme al suo Signore e diventa sempre più simile a lui. Diventa a sua volta un Cristo per altre persone. E qui c’entrano anche le opere che quel servo compie, che sono buone e desiderate e senz’altro il suo Signore si compiace per esse. Però il servo rimane sempre un servo e non diventa padrone solo perché ha fatto il suo dovere. – Forse questo è un insegnamento che talvolta ci fa bene sentire. Noi che ci chiamiamo discepoli di Cristo, noi che ci affidiamo a lui siamo e rimaniamo solo servi che alla fin fine sono inutili.

E Lutero sottolinea: solo in quest’atto di sottomissione o svuotamento dell’egocentrismo umano, diventiamo: «da infelici e superbi dei, uomini veri, cioè bisognosi e peccatori».

Questa è la verità sulla nostra vita, la nostra vera creaturalità: essere peccatori bisognosi. Abbiamo noi bisogno del Signore, non è che lui ha bisogno di noi.

Per Lutero questa è stata una scoperta liberante. Forse sembra strano, ma se penso ai poteri del nostro mondo che cercano tutti in qualche modo di sottometterci, riesco anch’io a cogliere la libertà sapendo che sono sotto il potere di un unico Signore che è però molto diverso di tutti i signori di questo mondo.

Il nostro testo si trova nel vangelo di Luca nel momento della preparazione a ciò che viene. Vorrei concludere leggendovi invece dallo stesso vangelo la prospettiva escatologica che Luca apre vari capitoli dopo. Anche lì parla del Signore che stavolta è senz’altro da identificare con Dio e i suoi servi e dice: Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. (Lc 12,37)

Questo è il Signore che conosco e al quale mi sottometto volentieri e di pieno cuore sapendo che proprio così acquisto piena libertà.

Amen

Ulrike Jourdan