Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 16 GIUGNO 2013 (Mt. 7:12-23; 1Pt 1:3-7 e 21-25; testo di predicazione: Gen. 1:9-13))

LA BELLEZZA DELLA CREAZIONE

CreazioneLe due descrizioni della creazione che sono contenute nel libro della Genesi, possono essere viste come una specie di racconto di quello che l’uomo antico timoroso di Dio si figurava circa le origini del mondo e che, a un certo punto, è stato messo in scrittura. Ma non è così. Come la moderna esegesi ci insegna, non ci troviamo di fronte a un racconto ma a uno straordinario concentrato di dottrina che è stata distillata nel corso di molti, molti secoli. Nei pochi versetti sulla creazione tutto è calcolato, giustificato, precisato: ogni frase, addirittura ogni singola parola ha un suo codice di lettura che, a sua volta, richiede studio, riflessione, approccio umile per leggerne il senso profondo. Un compito al di là di quello potremmo nemmeno lontanamente affrontare qui, oggi, in una calda domenica di estate. Però possiamo fare un piccolo passo: in quei pochi versetti che abbiamo letto possiamo cogliere alcuni piccoli segni significativi per noi, per rallegrarci e aprire il nostro cuore alla lode. Nel terzo giorno della creazione, Dio compie due opere. La prima è un atto di saggezza: pone dei confini e determina dei limiti. La seconda è di depositare nel cuore della scura terra il primo grado di vita organica. In ebraico la parola vita non è la stessa usata per gli animali: ma è comunque vita vera. E il verde, che diventa la veste della terra, è distinto in erbe e in alberi. Tutte le erbe sono i primi amici soccorrevoli che Dio ha posto sulla terra per l’umanità. Dio ci ha dato gli alberi come amici soccorrevoli, aperti ad offrirci rifugio, nutrimento, bellezza, conforto e guarigione. Penso talvolta che, forse, chi ama le erbe della terra è più capace di intuire l’amore di Dio. Purché questo amore per la bellezza del verde non si limiti a una dolcezza emotiva fugace quanto inutile. E non sia neppure un amore egocentrico, che cerca di trarre il massimo dei benefici con il massimo dello sfruttamento: questo è il genere di amore di cui gli uomini e le donne del mondo sono prodighi come, purtroppo, ci è fin troppo noto. È necessario possedere e mettere in atto quella scintilla dell’amore gratuito che viene dall’alto e che – secondo il pensiero teologico metodista – Dio ha sicuramente posto come dono di grazia in ogni umana creatura che viene al mondo: un amore intelligente, curioso, che cerca, che osserva, che impara a capire e sa avere cura. Se è così fatto non cadrà nell’errore di scambiare la creatura con il Creatore. Infatti, Dio ha posto confini e limiti e la distanza fra creatura e Creatore è siderale, come lo sono le galassie dal nostro minuscolo pianeta.La nostra struttura di umani è molto simile a quella di un albero perché, come l’albero, siamo su tre livelli fra loro in strettissima interdipendenza:

– un livello profondo e nascosto, dove è radicato e dove trova nutrimento;

– la superficie dove cresce e attinge energia vitale, dove si esprime, produce bellezza nelle sue stesse forme, e generosità nell’abbondanza dei frutti;

– e poi i cieli, verso cui si drizza perché solo da lì può catturare la luce e il calore del sole, per scambiare gli elementi vitali e, a sua volta, rendere pura l’aria, l’elemento primario di vita.

Anche noi abbiamo radici profonde, che vengono da molto lontano e sono nascoste nel nostro io. Cresciamo, ci esprimiamo e ci muoviamo nei vari ambiti delle umane società, ma se il nostro spirito non si drizza verso i cieli infiniti per trovare la luce e il calore che accendono in noi la capacità di amare, anche se biologicamente viviamo, siamo morti. Dio ha visto il difficile vivere dell’umanità che ha abbandonato i perfetti equilibri posti nella creazione. Diversamente da quello che credono le antiche religioni e, oggi, il cattolicesimo – cioè, che la natura umana è buona – il protestantesimo afferma che la natura umana è cattiva: è malata, si è corrotta, non è più in grado di produrre frutti sani. Per questo Dio ha posto un figlio d’uomo sulla terra, che ha la bellezza e la perfezione del primo albero della creazione. Un Figlio in cui non esiste frattura fra i tre livelli della vita e in cui è pienamente realizzata l’intercomunione fra cielo e terra. Gesù lo dice molte volte: In verità vi dico che il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente (Giov.5,19). L’intima interazione fra cielo e terra produce quello che l’evangelo chiama frutti buoni: in altri termini, produce opere che sono frutto di amore. E Gesù dice ancora: Non vi è amore più grande di quello di dare la propria vita (Giov.15,13). Questa è la grandezza dell’amore nel quale siamo invitati a entrare. È l’amore di colui che si è spogliato della gloria di Dio, si è umiliato fino alla morte peggiore riservata ai malfattori, e per questo suo dono Dio lo ha risorto e lo ha elevato al di sopra di tutte le cose. Un amore indelebile, alto e fulgido oltre i secoli, al di sopra della storia, eppure all’altezza minima del minimo degli esseri umani: perché possa credere e in quella fede trovi vita nuova. Non c’è persona che non aspiri a opere alte, di valore. Ma non inganniamoci: siamo tutti piante malate, siamo tutti alberi storti al di là delle belle apparenze, e siamo del tutto incapaci di produrre frutti sani. Tutti, senza eccezione. È per questo che Dio ci ama. Per questo ci ha donato il modello dell’amore perfetto, vale a dire della pienezza di vita: in modo che ci vediamo brutti come siamo realmente ma non disperiamo, anzi con fede ci affidiamo a Lui e a Lui solo. Il dono del Figlio, il dono del Cristo alla umanità è talmente grande, non misurabile, che – dice l’apostolo – gli angeli desiderano fissarvi lo sguardo. Non dobbiamo mai perdere il senso della grandiosità di questo dono e viverlo per fede con costanza. Allora Egli viene e ci trasforma: da esseri deboli e malati quali siamo, ci fa essere testimoni credibili dell’amore del Cristo, rigenerati dalla parola di Dio viva ed eterna che abbiamo ascoltato anche oggi e che ci accompagnerà sempre. Non saremo mai più soli. Lo sappiamo per esperienza: non è una strada facile. Come tutti quelli che percorrono le strade del mondo, dobbiamo affrontare dolori che a volta sembra vogliano schiacciarci. Teniamo dunque salda la fede che è più preziosa dell’oro finissimo: non siamo soli a combattere. Il Cristo ha combattuto per noi e ha vinto per noi: non per un’ora o un giorno, ma per l’eternità. L’ultimo capitolo dell’ultimo libro delle Scritture, l’Apocalisse, raffigura la città di Dio oltre il tempo, al centro della quale c’è l’albero della vita le cui foglie curano le nazioni. E allora, è scritto, non sarà più notte e Dio sarà luce per i suoi figli per l’eternità. (Ap., 22;1-5). Rallegramoci, carissimi, amiamoci gli uni gli altri, in lui il nostro cuore si rallegri e trovi pace. AMEN

 

 

Sermone a cura della nostra Predicatrice Locale, Febe Cavazzutti Rossi