Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 25 AGOSTO 2013 (Mat 5,43-48; Giov 15,1-11)

“Ascoltiamo la sua Parola e la perfezione del suo amore prenderà dimora in noi”

Giovanni racconta che molti dei discepoli di Gesù, dopo averlo ascoltato, dicevano: “Questo suo linguaggio è duro, chi può intenderlo?” (Giov.6,60). Se siamo persone che frequentano la sacra Scrittura con regolarità e metodo: se la leggiamo e meditiamo sentendo che in quel momento siamo sotto lo sguardo del nostro Signore, possiamo ammettere con sincerità che nella Bibbia troviamo molte parole che ci mettono in crisi e ci pongono forti interrogativi ai quali ci è difficile trovare risposta; soprattutto, alcune cose dette da Gesù ci turbano. Come si fa a prendere seriamente il comando di essere perfetti che Gesù dà ai suoi con tanta semplicità, e non provare un senso di smarrimento? Come possiamo credere possibile che Gesù chieda a noi – a noi che siamo qui, oggi, con il desiderio e la preghiera di essere suoi discepoli – di essere perfetti non in modo relativo, entro le misure che conosciamo, secondo le possibilità dei i nostri limiti e del nostro peccato, avendo come modello l’assoluto, la perfezione di Dio? Non è forse una richiesta irraggiungibile, quasi un assurdo? Per potere accogliere questa parola dura nella nostra vita la strada c’è: e non solo non è un assurdo ma addirittura è alla portata di ognuno. Prima di tutto è necessario distinguere e poi liberarci dai molti travisamenti e tradimenti che nel tempo hanno incrostato il significato di quella parola. Dopo potremo assaporarne bene il senso e troveremo al suo interno una tale ricchezza, una tale carica di vita che davvero sarà per noi una luce per tutto il nostro essere e una lampada al nostro piede, come dice il salmista (S. 119,115). Noi diciamo e consideriamo perfetto tutto ciò che è senza difetto, senza la più piccola macchia Passando al linguaggio religioso il pensiero va a uno stato di purezza e vorrei dire quasi di simbiosi con la dottrina di fede che una persona professa e che, in qualche modo, impersona. Purtroppo, questa idea alta della perfezione ha nel suo humus sottostante un elemento assai pericoloso: produce una immediata distinzione dagli altri; è un silenzioso giudizio morale su chi non è così. Che ne sarà, allora, di chi “non è così”? Cosa ne facciamo di tanti diversi che pure vorrebbero ma non ce la fanno o forse non osano neppure sperare di poter entrare in una condizione così elevata? Il pensiero teologico metodista ha completamente smantellato questa idea di perfezione che inesorabilmente reca un giudizio sul diverso e che nella storia delle religioni e della umanità ha creato danni terribili e ferite assai difficili da sanare. In aramaico, nell’ebraico dell’Antico Testamento come pure nel corrispondente termine greco, perfetto significa intero, non frammentato, indiviso; perfetto anche quando un elemento vitale sviluppa – nelle cose tangibili come in quelle dello spirito – l’energia dinamica riconoscibile nei risultati: di interezza, bellezza, vale a dire di perfezione. Il lievito è l’elemento vitale che fa di un po’ di farina e di acqua il pane che sazia. Anche noi abbiamo bisogno di un elemento che nel nostro impasto di singoli o di società produca umanità vera. Anche i nostri sentimenti e i nostri pensieri hanno bisogno di un elemento dinamico che dia loro pienezza di vita. Ebbene, sappiamo che l’elemento essenziale che dà senso alla nostra vita, che tutto può sanare e ricreare e mai potrà essere distrutto è l’amore. Ma qui, riguardo alla parola evangelica, quale amore intendiamo? Quello di cui noi siamo capaci, così difettoso, così possessivo e parziale che ci ritroviamo alla radice della nostra stessa natura? e come potremmo mai credere di poterlo cambiare in modo che seppur vagamente si avvicini all’assoluto di Dio? Perfetti come il Padre non può essere null’altro, non può significare altro che questo: perfetti dell’amore di Dio che immeritatamente vive in noi. Dentro la nostra vita, mal fatta com’è, come dono. Dal momento in cui abbiamo incontrato il Cristo, dal momento in cui abbiamo realizzato nel profondo dell’animo che nel Cristo siamo perdonati e riconciliati in Dio, il suo amore va a toccare la totalità della nostra persona nel tempo e oltre il tempo. Il suo amore perfetto prende dimora in noi. L’amore non si impara con lo studio o con l’esercizio eroico: è qualcosa che si scopre. Ci andiamo a inciampare, nostro malgrado ci compare davanti, e a un tratto ne siamo presi: ci abbraccia e noi liberamente lo abbracciamo. Solo allora sappiamo che per nulla al mondo lo vorremmo perdere. Così è quando scopriamo l’amore di Dio per noi, e lo scopriamo nel Cristo. Tuttavia, sarà bene fare attenzione: in tutto questo non c’è niente di sdolcinato. Non si tratta di un bel sentimento o di rare emozioni: è l’energia dinamica nell’universo dalla quale sgorga la vita. Che è esigente. L’amore di Dio rivelato nel Cristo per noi e in noi è esigente. Richiede che lo accogliamo sempre di nuovo, giorno dopo giorno, sapendoci nudi e poveri davanti a Dio. Esige che nel segreto come nella comunicazione con chi ci è prossimo siamo persone limpide, capaci di dire sì sì, no no. L’amore di Dio per noi e in noi chiede che noi lo rendiamo reale e presente: vuole verità e giustizia, in controcorrente con la mentalità del mondo. Non illudiamoci, non è una strada comoda: può essere ardua assai. Non è la strada larga di quelli che scambiano il male per bene e il bene per male come dice Isaia, o di chi con qualche compromesso mette a tacere la coscienza propria e altrui. Esige molto: pienezza di compassione e mano soccorrevole per quelli che non hanno di che nutrirsi e vestirsi, per ridare dignità a chi è oppresso dall’ingiustizia, per i sofferenti. Sa asciugare le lacrime di chi piange e gioire con chi ha allegrezza. Tutto questo è il dolce giogo al quale sottomettersi di cui ci parla Gesù: è la responsabilità posta su di noi dalla quale uomini donne attendono risposte nella concretezza della loro vita. Per infonderci coraggio Gesù offre di se stesso l’immagine della vite. Un ramo spezzato si secca e muore. Così siamo noi: perduti, inutili come un ramo secco, quando ci stacchiamo dalla realtà del Cristo. Ci smarriamo e siamo perduti se trascuriamo di invocare il soccorso dello Spirito santo che il Cristo ha promesso a chiunque ripone in lui la pienezza della sua fede. Se dimoriamo in lui l’amore perfetto di Dio ci cambia. Infatti, lo sappiamo nel minimo della nostra esperienza: l’amore cambia sempre la persona che lo accoglie e lo vive. Mentre lo vive, è già una persona diversa, nuova. Non scoraggiamoci se a volte ci sentiamo smarriti perché assaliti dal dubbio o dalle difficoltà che mettono a dura prova la nostra vita. Non scoraggiamoci di fronte agli orrori senza fine di questo mondo. La realtà del Figlio d’uomo che, nella pienezza della obbedienza al Padre ha fatto totale dono di sé, si è incuneato indelebile dentro la storia dell’umanità, è punto di crisi e di salvezza dentro la vita di ogni persona, qualsiasi sia la sua condizione e in qualsiasi luogo geografico o culturale si trovi. Ascoltiamo la sua Parola e la perfezione del suo amore prenderà dimora in noi; se anche noi lo amiamo davvero in sincerità di cuore, non potremo non innamorarci dei suoi comandamenti e in dono insperato ci verrà la forza dinamica perché siano messi in pratica per la salvezza di molti. Signore, noi ti invochiamo: rendi l’amore di Dio perfetto in noi e in tutti coloro che sulla terra ti invocano. Amen.

Sermone a cura della nostra Predicatrice Locale, Febe Cavazzutti Rossi