Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 3 AGOSTO 2014 (Lc 18,1-8; Cor 2,1-5)

UNA FEDE CHE NON SI ARRENDE

Parabola vedova

Quando leggiamo gli scritti dei tre Vangeli sinottici – Matteo, Marco e Luca – d’un tratto ci troviamo in un contesto di duemila anni fa che, con gli occhi del presente, ci dovrebbe apparire estraneo e sconosciuto. In realtà, non è così: la ragione è che i sentimenti, i pensieri, i comportamenti delle donne e degli uomini di quei giorni lontani, sono i medesimi di oggi. La parabola, quindi, come tutte le parabole di Gesù, ci tocca personalmente e mette in questione intimamente il nostro modo di essere. Per entrare nel vivo del racconto possiamo provare a rappresentarci visivamente la scena. Non siamo nell’aula di un tribunale, perché qui non ci sono degli accusati posti di fronte ad almeno tre testimoni dei fatti, come prescriveva la legge: siamo, invece, nella sede di un giudice unico che dirime contestazioni e liti fra contendenti di vario genere: chi viene qui, si appella per trovare ragione di un torto subito. Il giudice è accomodato su cuscini in posizione rilassata, proprio di fronte all’ingresso principale, ed è circondato dai suoi segretari. I postulanti sono accalcati in buona metà dell’aula e ignorano quanto potrà essere lunga l’attesa: forse di ore o forse di giorni, perciò chi può si accosta ai segretari e allunga una bustarella il cui contenuto deve essere bastante per ottenere il favore del giudice. Questo modo di procedere non era cosa insolita, perché era da quelle bustarelle che i giudici traevano il loro guadagno. Noi ne sappiamo qualcosa. Dietro la calca, proprio in fondo all’aula, c’era una vedova. Era sicuramente giovane, perché il matrimonio di una ragazza avveniva entro i suoi primi quattordici anni e, per la durezza della vita o a causa dei frequenti incidenti sul lavoro, vi erano vedove giovanissime con bambini in tenera età. Se il morto non aveva un fratello disposto a prenderla in moglie per tramandarne la discendenza, e se la donna non aveva un’eredità da restituire alla propria famiglia per esservi nuovamente accolta, il suo destino era la miseria più nera.  La legge le proibiva l’accattonaggio che era permesso solo agli uomini invalidi: a lei era concesso di andare nei campi alla fine del raccolto per cibarsi di quanto restava a terra. Questo spiega bene come mai il Libro del Deuteronomio sia ricco di prescrizioni in difesa degli orfani e delle vedove e i Salmi proclamino che Dio è il loro difensore. Ecco un punto importante: la donna però sa dalla Scrittura che ascolta in sinagoga che, anche se i giudici sono corrotti, Dio è sicuramente il suo personale difensore. Dunque, benché povera, la donna della nostra parabola aveva un qualche diritto di eredità che il giudice le avrebbe dovuto riconoscere. Non aveva soldi per la tangente e non aveva difensori. Aveva una sola arma a sua disposizione: una paziente, pedante, irremovibile insistenza, che la premierà. Le parole del giudice in aramaico suonano più o meno così: cederò a questa sgualdrina perché con il suo piagnisteo mi dà ai nervi. Chissà se vi sembra ardito che Gesù prenda questa donna a esempio per coloro che in Dio hanno riposto la loro fiducia solo in lui confidano? Dice Gesù ai suoi: se sulla terra ci sono ancora uomini e donne che giorno e notte invocano la sua giustizia, chiedono che il suo Regno venga e si compia, resteranno senza risposta? No! Dio risponderà e farà loro sperimentare la sua risposta di giustizia. Nessuno scherno, nessuna tiepidezza, nessuna impazienza, nessuna malvagità, nessun insuccesso scuote Gesù nel suo consapevole convincimento che Dio porta a compimento ciò che ha iniziato nel cuore dell’umanità. E, se usciamo dal nostro limitato concetto cronologico del  tempo, fatto di brevi ore e di fugaci giorni, possiamo ardire e intravvedere la dimensione dell’eterno tempo di Dio in cui tutto è già compreso, il principio come il suo compimento. Ma allora, perché d’un tratto l’interrogativo amaro di Gesù che chiede se quando verrà troverà ancora la fede sulla terra? Non vi pare una domanda terribile? Per una risposta plausibile credo che non dobbiamo vedere nell’invito alla paziente perseveranza l’insegnamento centrale della parabola, ma solo quello collaterale. Al centro vi è la realtà della fede: la perseveranza è il frutto della fede. Fintanto che la fede è viva e nutre i nostri rapporti, la perseveranza ne è la conseguenza naturale: niente la può scoraggiare. La fede è semplicemente una delle facoltà dell’animo che ogni neonato riceve alla nascita. Crescendo vi metterà i propri contenuti, e sarà tutta una scoperta. Secondo il pensiero teologico metodista, si chiama grazia “preveniente”, cioè che viene prima di qualsiasi altro fattore e che accompagnerà la vita di ogni singolo individuo, perché nessuno ne è privo: è una possibilità da colmare di significato e da spendere ogni giorno. Quale fede vorrebbe Gesù trovare sulla terra? in te, in me, in questa comunità di credenti? La fede della giovane vedova che non si rassegna all’ingiustizia e non si arrende. La fede che, anche se la città (forse il mondo?) è governata da giudici iniqui combatte con testarda pazienza finché il potere corrotto, indifferente e refrattario, è costretto a cedere. La fede che malgrado le delusioni, le frustrazioni e le sconfitte, non si dà pace e non dà pace al potere finché giustizia non sia fatta. C’è sempre qualcosa di paradossale nella parola biblica: anche in quella che ci viene oggi dalla parabola del Signore. La donna non ha poteri e non ha difensori. La sua fede non è fondata sui preziosi e utili saperi del mondo che l’hanno convinta; neppure si sente forte nella società per certi suoi convincimenti personali. È del tutto disarmata: eppure, nel profondo del suo essere ha deposto la certezza che Dio è il difensore degli oppressi e degli emarginati e che la giustizia di Dio è  presente e vincerà. Anche noi siamo deboli e nudi davanti a Dio e davanti agli uomini, come lo era Paolo. Ma abbiamo avuto il dono di una straordinaria grazia per cui abbiamo conosciuto quel Figlio d’uomo che, spogliandosi di ogni potere è oggi la pressante dimostrazione di quanto siano folli e fallimentari tutti i poteri che gli uomini mettono in atto. Mi chiedo talvolta, le tragedie prodotte dalle guerre passate e quelle orribili che sono a poca distanza da noi, convinceranno finalmente gli uomini che le strategie di guerra sono fallimentari e non possono produrre vita? Oggi, più che mai annunciamo il Cristo che si è caricato delle nostre pene e delle nostre colpe sulla croce, che il Padre ha glorificato facendolo vincitore della morte. In lui troviamo la riconciliazione con le donne e gli uomini che ci sono compagni di un’umanità smarrita e perduta; in lui troviamo qual è la via della salvezza per tutti gli esseri viventi e per il creato nel quale siamo posti. Non stanchiamoci, dunque, di pregare che lo Spirito Santo di Dio rinnovi in noi una fede forte, serena e operosa affinché il suo Regno venga e la sua volontà sia fatta nei nostri pochi giorni come nell’eterno tempo di Dio. 

AMEN

Sermone a cura della nostra Predicatrice Locale, Febe Cavazzutti Rossi. Il culto è stato celebrato dal Presidente della nostra Comunità, Davide Anziani, mentre il sermone è stato letto dal fratello di Chiesa, Daniele Rampazzo.