Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 30 DICEMBRE 2012 (Mt.14:22-36; 1Pt.1:3-12)

«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»

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I protagonisti dei racconti biblici, dall’Antico al Nuovo Testamento, nei momenti cruciali e fondanti la storia della loro vita, si trovano ad essere all’improvviso toccati dalla presenza di Dio e ne provano un grande spavento. Non vi è dubbio che si tratta di un genere di paura nuovo, diverso, indescrivibile. Non è quello che ci assale di fronte a gravi pericoli e tanto meno si tratta di quell’angoscia del vivere, oscura e profonda, che purtroppo travaglia tante persone. E’ uno spavento che si può provare solo nella percezione di trovarsi di fronte a ciò che è infinitamente più grande di noi, imponderabile, oltre i limiti della nostra conoscenza. Queste epifanie del Signore, queste esperienze così tangibili della sua presenza, aprono una comunicazione personale e del tutto particolare. Immediatamente, le prime parole che arrivano all’animo turbato sono: Non temere! Stai di buon animo! E subito dopo invitano a credere, fanno appello alla fede. E non sempre la creatura chiamata a una simile esperienza l’accetta; avviene anche che la rifiuti. Nel racconto che abbiamo appena letto è sera, sta scendendo il buio della notte. I discepoli e il Maestro devono raggiungere l’altra sponda del lago. Doveva essere stata una giornata lunga e faticosa: tanta gente era venuta per ascoltare gli insegnamenti di Gesù. Gesù manda avanti i discepoli: ha bisogno di riposo nel silenzio della sera. Il suo riposo sta nella preghiera. Ogni volta che i Vangeli ci dicono che Gesù prega, comprendiamo che la sua preghiera deve essere stata un’intensa comunione con il Padre, di gran lunga superiore a quanto noi – nella nostra piccolezza – saremmo capaci. Lì Gesù ritrova tutta la sua forza. Intanto, però, per alcune ore i discepoli hanno remato in lotta con il vento contrario e con le onde sempre più alte e minacciose. Le tempeste nelle acque di un lago sono terribili. Alle tre di notte si trovano solo a metà percorso: sono proprio nel mezzo al lago e hanno paura. È la paura istintiva e irrefrenabile che si prova quando si è faccia a faccia col pericolo che minaccia la nostra vita. La notte non è sempre buia allo stesso modo: forse, quella notte il vento aveva sgombrato lembi di cielo e lasciava filtrare il chiarore di stelle e di luna: in quel lieve barlume notturno i discepoli scorgono la sagoma di qualcuno che viene verso di loro. È in quel momento disperato che Gesù li raggiunge. Sfiora la superficie delle acque in tempesta, arriva alla barca e pare che stia per oltrepassarla, facendo loro strada verso la riva. Ma i suoi non lo riconoscono. Come avverrà in altri momenti cruciali della loro vita, non credono che sia lui, il loro Maestro e Signore. Rivestono della loro paura quella sagoma che li sfiora e, secondo il racconto che ne fa Marco, gridano: è un fantasma! Non dobbiamo meravigliarci dei discepoli, non abbiamo ragione di biasimarli. Perché così siamo noi – tutti! Siamo comunque alla ricerca ansiosa di un perché che sia a nostra dimensione, un perché che renda plausibile l’esperienza in cui ci troviamo immersi, e alla quale magari reagire; rivestiamo della nostra paura qualcosa fuori di noi, per liberarcene. Così può succedere anche a noi. E magari, alcuni di noi sono già passati attraverso questa esperienza. Quando viviamo una grave perdita, tale dolore sembra non potrà mai più avere fine; quando ci troviamo faccia a faccia con l’infinito, tutto il nostro essere è preso da grande sgomento. Carissimi, noi vecchi e giovani che abbiamo sentito la chiamata del nostro Signore e gli abbiamo chiesto di poterlo seguire, è quello il momento in cui Egli ci invita a credere: fa appello alla nostra fede. Felice è chi, in quei momenti, riconosce la sua voce, accoglie le sue parole: Non temere, fatti animo, non avere paura! – le sue parole allora possono scendere nel profondo del nostro essere, e ci danno pace. Allora uno squarcio di cielo si è aperto sulla terra. Gesù dice ai suoi: Sono io! Nella Bibbia, questa affermazione, Sono Io!, è l’affermazione del nome stesso di Dio. Gesù si rivela così ai suoi, non solo come il Maestro che si mostra come la via del Regno dei Cieli, ma come il Signore. È l’affermazione che dice: Dio è qui, è presso di te. Solo dopo di ciò Gesù si rivela nella sua regalità. Si rivolge al vento con le stesse parole con cui ha sgridato e fatto tacere gli spiriti maligni; ricompone le forze avverse e ridona equilibrio e armonia, sana il cuore, cancella la paura e fa rifluire la vita nello spirito e nel corpo. Pietro, però, come spesso gli accade, si lascia prendere dall’entusiasmo per l’aspetto miracoloso di ciò che ha visto fare da Gesù, e gli balena l’idea che anche lui potrebbe fare lo stesso, se Gesù darà anche a lui un potere straordinario. E, per un momento, è accontentato. Ma quando è lì, nel buio della notte, sul fondo scuro e minaccioso del mare, si scopre per quello che è: solo, piccolo, fragile, di nuovo in preda alla paura. Certamente sarebbe stato travolto, se non fosse per quel suo grido: – Signore, Signore, abbi pietà, salvami! E Gesù lo salva. Non salva solo la sua vita fisica: lo prende per mano, ancora una volta cancella il suo spavento, e gli dà una sicurezza nuova, la sicurezza di colui che ha capito di non poter poggiare su se stesso, ma poggia sul suo Signore – il suo Salvatore. Tutto questo è un racconto di amore: l’amore di Dio per la sua creatura; l’amore delle creature per il loro creatore. Potrebbe essere una parabola per la nostra vita. L’apostolo dice che queste cose sono state narrate e rivelate per noi: che non si tratta di fatti lontani mai più riproducibili, che non si tratta di sogni simili a fantasmi, ma che si tratta di una realtà che è conservata nei cieli per noi, che siamo custoditi dalla potenza di Dio mediante la fede, per la nostra salvezza.

(Sermone a cura della nostra Predicatrice Locale, Febe Cavazzutti Rossi)