Sermone DI DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014 (Mat. 7,24-29; Luca 17,1-6; 1Pt. 2,1-4)

Dio ha tanto amato il Mondo

Questa piccola, semplice parabola è specchio della realtà – non quella di un tempo remoto superato dalla modernità, ma la realtà di oggi, mai così vera per noi in questi giorni.

Ci sono nozioni elementari che un bimbo acquisisce da solo, per semplice deduzione da ciò che sperimenta. E’ la stessa capacità di cui sono dotati gli animali. Nessun animale è tanto stupido da scegliersi la tana in un luogo insicuro. Per la medesima ragione, noi bipedi, per semplice deduzione e senza dover ricorrere a un’intelligenza superiore, sappiamo che costruire nel letto di un corso d’acqua o in terreni che le rive dei fiumi e dei mari contendono, è garanzia di un disastro sicuro – è pura follia. E allora, con rabbia e stupore, la domanda è: perché? Perché lo facciamo?

Al tempo di Gesù erano i più poveri, i miseri, che costruivano su terreni insicuri e sabbiosi. A valle fra le alture c’erano aree dal suolo semi desertico: chi poteva, preferiva i luoghi più alti – gli altri si piegavano al rischio costretti dalla necessità. Oggi noi siamo testimoni di masse di poveri che vagano nella disperazione di non avere un luogo sicuro per la vita, spinti ai margini del vivibile da fame, paura e miseria. La domanda, allora, è ancora più seria e grave: qual è la volontà insensata quanto malvagia che produce simili condizioni?

Riflettendo su questa parabola, mi sono detta che porre delle fondamenta entro una roccia dev’essere tutt’altro che facile e, in tempo antico senza gli strumenti moderni, doveva essere una fatica durissima. Ma c’è voluto poco per accorgermi di quanto fossi fuori strada: la caratteristica straordinaria delle rocce lapìdee, cioè delle rocce compatte, è che sono per caratteristiche di struttura di gran lunga superiori a qualsiasi altro comune materiale per la edilizia.

Avviene così che per costruire sulla roccia e dare stabilità alla casa è sufficiente appoggiarla in modo che aderisca perfettamente alla sua base: sarà poi la stessa forza di gravità che la terrà ferma e incollata alla roccia. Vediamo quanto questo sia vero ancora oggi negli antichi paesini che da secoli resistono e sono solo appoggiati sulla base di roccia; allo stesso modo vi è cresciuta sopra la casa: pietra su pietra, senza calce, l’una bene aderente sull’altra, due piani più il tetto. Reggono benissimo anche ai terremoti.

 Le parabole di Gesù non sono favolette istruttive: parlano di Dio e parlano dell’uomo davanti a Lui nelle sue scelte quotidiane, partendo dal concreto che tutti conoscono. Il popolo che Dio si è messo a parte, deponendovi il seme per la salvezza dell’intera umanità, capiva bene le parole di Gesù, sapeva che solo Dio è la roccia su cui poggia ogni aspetto della nostra vita. Tutta la Scrittura proclama che Dio è la roccia: “Egli è la Roccia, perfetta è l’opera sua” dice il Deuteronomio (Deut. 32,4); “Il nostro Dio è una roccia eterna” afferma Isaia (Is 26,4) e così lo cantano i Salmi.

 Ai tanti perché dei disastri di questo mondo, sappiamo bene qual è la risposta. Anzi, la sanno tutti, credenti e non credenti. Sappiamo che i mali – a volte atroci, che travagliano uomini e donne insieme a tutto l’eco-sistema in cui sono posti – non sono il frutto di ragionamenti saggi ma sorgono dai mali che albergano e devastano l’animo umano. La radice amara sta nel cuore e determina le scelte dissennate dell’individuo come della società e dei popoli. Le linee della politica, i grandi sistemi economici che si stendono come fitta rete sulla terra, anche quando – nella migliore delle ipotesi – intenderebbero migliorare le sorti dell’umanità, sono orientati e determinati dalla mentalità di questo mondo: l’egoismo, l’orgoglio e la corruzione sono parte viva di quella mentalità.

Non si tratta dunque di offrire dei nuovi insegnamenti morali: questi bastano appena per un vivere sociale umanamente accettabile; non servono neppure i nostri sforzi per attuare con una certa coerenza i principi morali dettati dalla religione (qualsiasi essa sia). La domanda vera, la sola che dia senso alle risposte è questa: su cosa si fonda la mia, la nostra vita?

 Gli ascoltatori di Gesù sapevano che fondare la propria vita in Dio significa obbedire ai suoi comandamenti, il primo dei quali – il più perfetto che tutti gli altri riassume – è ama. Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza; e il secondo, che ne è la diretta conseguenza e lo completa: ama il prossimo tuo come te stesso. Chi ama si prende cura; per prendersi cura deve imparare, applicarsi, coltivare la pazienza e la costanza, acquista una intelligenza nuova. L’amore che così si esercita, è intelligente. Non c’è esser vivente, non c’è cosa sulla terra che non chieda di essere oggetto di questa cura amorevole.

 Per amore il Cristo ha dato se stesso: si è spogliato della gloria dei cieli, umile e umiliato, colpito e ucciso dai poteri del mondo. Per amore. In Lui c’è la potenza dell’amore perché in Lui c’è verità: perciò il Cristo è la via. La sola via veritiera. Le altre vie sono un’illusione, a volte un terribile inganno. Ma nel suo Figlio Dio si è posto accanto a ogni umana creatura: chiede che dalla nostra consapevolezza di essere un nulla impastato di peccato venga la volontà di dargli il nostro cuore: Figlio mio, dammi il tuo cuore! così che lo Spirito suo santo crei in noi un cuore nuovo capace di amare del suo amore: non è la delicatezza di un bel sentimento, ma è una forza dinamica e creativa.

Dal cuore nuovo che per dono d’amore lo Spirito santo crea in noi, non diminuisce la consapevolezza dei nostri errori, di quando cadiamo nell’offesa a Lui come al prossimo, anzi: diventa più acuta e precisa e ci insegna come mettere in pratica le parole del Cristo. Questo ci dice la parabola, con tanta chiarezza e semplicità: non quando siamo bravi all’ascolto, non quando imploriamo Signore, Signore! Queste non sono che emozioni passeggere. Udire le parole di Gesù e non metterle in pratica è tanto insensato quanto costruire la propria vita sul niente.

 Purtroppo, tanto siamo attaccati a ciò che vediamo con i nostri occhi e tocchiamo con le nostre mani, che perdiamo di vista il fatto che si tratta solo di una delle dimensioni della vita umana. La fisica ci ha aperto alla comprensione di altre dimensioni, oltre la terza e la quarta. Ma la dimensione della nostra vita terrena porta in sé la potenzialità di tutte insieme, la potenzialità della vita eterna.

Siamo sicuri di avere ben assimilato il senso dell’affermazione che troviamo in Giovanni: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna ? (Giov. 3,16).

 Poggiamo dunque la nostra vita con fiducia sulla roccia che è nostro rifugio e nostra salvezza, ma badiamo bene che non vi sia nulla che si frappone fra noi e Lui, neppure un granello di terra. Se poi cadiamo ed è il nostro peccato che si frappone, egli che è giusto e santo ci stenderà la sua mano, ci rialzerà e più strettamente a Lui ci afferrerà.

Così noi, che nel suo nome santo ci riuniamo per pregare e meditare, se questo crediamo e questo viviamo, saremo le pietre vive della sua casa.

Vediamo dunque che grande compito ha affidato il Signore a quelli che per grazia ha salvato, a noi, nella nostra piccolezza: quello di proclamare l’evangelo del Cristo perché molti si ravvedano e lo accolgano nella pratica della loro vita. Le parole di Gesù sono parole dell’ultima ora: è sempre adesso, è sempre questo il momento cruciale per annunciare il ravvedimento, la grazia del perdono e la operatività dei suoi comandamenti. Così si supera la crisi finale di questo mondo e così si compie il Regno di Dio che viene. Amen

Sermone a cura della nostra Predicatrice Locale, Febe Cavazzutti Rossi