Sermone: SOLA SCRIPTURA – LA BIBBIA UNICA AUTORITA’

A volte capitano cose assai strane, eventi che ci costringono a riflettere su argomenti che magari abbiamo lasciato correre, per distrazione, per timore o per semplice disinteresse. Capita che magari questi eventi nascano da pensieri e sollecitazioni totalmente differenti, che sembrerebbero non avere una sorta di fil rouge che li accomuna e ci ritroviamo invece obbligati a riconoscerne le connessioni.

Provo a spiegarmi, condividendo con voi una mia recentissima esperienza. Il mio più caro Amico, grande intenditore di musica classica e devoto seguace di Bach, da tempo mi sta conducendo per mano alla scoperta di questo sommo compositore, incitandomi non solo ad ascoltare le sue opere (come già facevo), ma a porre attenzione ai testi, ai toni, ai ritmi, relazionando il tutto con la biografia, le esperienze e la vita di colui che qualcuno ha definito “il quinto evangelista”.

Orbene, qualche giorno fa, per rimanere virtualmente in compagnia del mio aio musicale, mi stavo cimentando con l’ascolto attento di alcuni pezzi della passione secondo Matteo, una splendida composizione che Bach (studioso anche di teologia) scrisse, trasponendo in musica i relativi capitoli dell’evangelista nella traduzione che fece Martin Lutero.  Potrebbe quasi essere una lectio divina!

Seguendo il testo che viene cantato mi imbatto in alcuni versi, che sembrano infastidirmi, dal titolo “O mondo, osserva qui la tua vita”, che recitano: “Sono io, io che dovrei scontare la pena, con le mani ed i piedi legati, nell’inferno. I flagelli e le catene, e tutto quello che tu hai sofferto, lo avrebbe meritato l’anima mia”.

Perché questo testo mi colpisce, dandomi una sorta di fastidio?  Ma perché parla di inferno, di una dannazione dove scontare la pena con flagelli e catene.

Abituata a riempirmi il cuore con la promessa del perdono, con la certezza della grazia in dono da Dio, interpreto queste parole come un eccesso di austerità, dovuta soprattutto ai tempi, e preferisco passare oltre, riconoscendo però la persistenza di un tarlo che mi suggerisce che non tutti saremo eredi del regno dei cieli. Drammatico.

Passa qualche giorno e mi trovo a dover preparare questo culto e, fra le letture suggerite dal lezionario “Un giorno una parola” trovo il passo di Luca 16,19-31 che vado a leggervi nella recente traduzione della BIR:

C’era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno festeggiava splendidamente.  Ma c’era anche un povero, di nome Lazzaro, gettato alla sua porta, coperto di piaghe.  Questi desiderava sfamarsi con quel che cadeva dalla tavola del ricco; ma i cani venivano a leccare le sue ulcere.

Il povero morì e fu portato dagli angeli nel grembo di Abramo.  Morì anche il ricco e fu sepolto. E nell’Ade, alzati i suoi occhi mentre stava nei tormenti, da lontano vide Abramo e Lazzaro nel suo grembo.  Avendolo chiamato: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a immergere la punta del suo dito nell’acqua e a rinfrescare la mia lingua, perché sono tormentato in questa fiamma”.  Ma Abramo disse: “Figlio, ricorda che nella tua vita hai ricevuto tutte le cose buone che ti spettavano, mentre Lazzaro allo stesso modo quelle cattive. Ora, però, qui lui è confortato, mentre tu sei nei tormenti.  Oltre a questo, tra noi e voi è stato posto un gran precipizio, perché quelli che vogliono attraversare da qui a voi non possano, né attraversino da lì verso di noi”.  Disse allora (il ricco): “Ti prego, padre, di mandarlo alla casa di mio padre – ho, infatti, cinque fratelli – perché renda loro testimonianza e non vengano anche loro in questo luogo di tormento”.  Abramo gli disse: “Hanno Mosè e i profeti; diano ascolto a loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo; ma se uno dai morti va a loro, si convertiranno”.  Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi nemmeno se uno dei morti risorgesse.”

Direi che questa parabola ha connotazioni abbastanza cruente, disperanti addirittura. Ci viene presentato l’Ade, un luogo che forse potremmo chiamare anche “inferno”, un luogo di sofferenze e tribolazioni, un luogo che Gesù, nel passo di Matteo 8 che abbiamo letto prima, definisce un luogo senza luce, dove c’è il pianto e lo stridor dei denti. Un luogo ben lontano dal regno dei cieli, da questo separato addirittura da una voragine invalicabile!

Non sono solo questi i passi del Nuovo Testamento in cui Gesù fa riferimento a ciò che potremmo trovare dopo la morte; ricordiamo ad esempio cosa dice in Matteo 19 e Luca 18, facendo l’esempio del cammello che passi per la cruna di un ago.

Sì, Gesù ci presenta chiaramente il destino futuro dell’uomo: chi ama Dio, chi fa la volontà di Dio e in Lui confida, rimarrà in comunione con Lui per l’eternità; chi invece respinge i Suoi insegnamenti continuerà ad essere separato da Dio, nella sofferenza dell’eterno distacco dal Signore.

E questa situazione di dolore non è sanabile; non c’è una sorta di “purgatorio” dove espiare la colpa per un periodo di tempo, in attesa di accedere al regno di Dio, perché la nostra scelta la dobbiamo fare ora, in questa vita. È in questa esistenza che dobbiamo scegliere se vogliamo seguire le indicazioni di Dio oppure se le rifiutiamo, se accogliamo nel nostro cuore gli insegnamenti di amore, fraternità e solidarietà, oppure se vogliamo vivere come se Dio non esistesse, se vogliamo aderire al messaggio di fede che ci è stato proposto oppure no.

In questa scelta siamo totalmente liberi, per cui, se ci condurremo in completo distacco dal nostro Signore, sappiamo che dopo la morte corporale, permarrà un eterno angoscioso distacco da Dio, perché questo è ciò che abbiamo voluto noi.

Ma dove troviamo gli insegnamenti per condurci nella vita? Chi può aiutarci per renderci consapevoli del volere di Dio? Dove troviamo le indicazioni per tentare di improntare la nostra esistenza come figli di Dio?

Per noi, popolo del Libro, non c’è che una risposta: la Bibbia. Un libro dove il Signore, attraverso suoi molteplici testimoni, ha nei secoli comunicato all’uomo come vivere. Lo ha comunicato nell’Antico Testamento, coi profeti, ma questo evidentemente non è bastato a convertire il cuore di pietra dell’uomo, per cui l’Eterno è intervenuto una volta di più con il dono più grande, attraverso Suo figlio, il nostro signore Gesù Cristo, che ci ha lasciato innumerevoli insegnamenti affinché non ci perdiamo.

La Bibbia, unica vera fonte per noi protestanti. La Bibbia che siamo tenuti a leggere, a studiare, a frequentare, perché, ripeto, è l’UNICA parola di verità (non certo la tradizione e tantomeno l’interpretazione da parte di una gerarchia ecclesiastica).

Uno dei nostri famosi “cinque sola” che abbiamo scritto anche sulle nostre vetrate non a caso è “SOLA SCRIPTURA”. La Bibbia basta, non abbiamo bisogno di null’altro, non abbiamo bisogno di miracoli, di segni portentosi per riconoscere la grandezza del Signore.

E se questo non ci bastasse, ricordiamoci la risposta che viene riportata nella parabola oggetto di questo sermone quando il ricco, preoccupato per la sorte del padre e dei cinque fratelli, chiede che venga mandato Lazzaro ad avvisarli, a sollecitarli; chiede che un uomo dal regno dei morti vada a dire loro che si convertano, evitando la perdizione. Abramo risponde: “Se non ascoltano Mosè e i profeti” (cioè la Scrittura, la legge, al tempo) “non saranno persuasi nemmeno se uno dei morti risorgesse”.

Noi siamo ulteriormente privilegiati, perché non abbiamo ricevuto solo gli insegnamenti della legge e dei profeti, ma abbiamo avuto anche la presenza di Gesù nel mondo, quel Gesù figlio di Dio che ben conosce le nostre infedeltà e le nostre debolezze e ci viene in soccorso con il perdono gratuito, se riconosciamo il nostro peccato e ci pentiamo.

Fratelli e sorelle, pensiamoci! Non facciamo come coloro che fugano dalla propria mente l’idea di un aldilà di continua sofferenza, perché abbiamo la possibilità di essere rassicurati e perdonati se ci convertiamo alla Parola di Dio, traendo forza dal costante confronto con la Bibbia.

Concludo con una battuta spiritosa che spero non faccia parte del pensiero e dei comportamenti di qualcuno di noi. C’è una vignetta di Schulz che ben rappresenta ciò che NON dobbiamo fare: Linus, un personaggio riflessivo, dice mentre ha la Bibbia in mano: “Hanno detto che questo libro avrebbe cambiato la mia vita. È da mesi sul comodino ed è ancora tutto uguale”.

Leggiamolo questo libro! Non dobbiamo temere che sia troppo astruso e non possiamo delegare solo ad altri la testimonianza su ciò che c’è scritto. Preghiamo, certo, il nostro Signore, ma rimaniamo diligenti e solleciti nel confrontare la nostra vita con la Scrittura. Così forse non dovremo dire anche noi le parole presenti nel coro di Bach: “Sono io, io che dovrei scontare la pena, con le mani ed i piedi legati, nell’inferno” perché sapremo quali sono le nostre infedeltà per le quali chiederemo perdono al Signore. E se chiederemo perdono con cuore puro, sappiamo che la grazia non ci sarà negata, perché, come diciamo spesso nell’annuncio del perdono, “nessuno deve dubitare del perdono ricevuto”.

AMEN

Liviana Maggiore