Sermone: Cantare contro il giogo della vita
A casa dei miei genitori c’è una grande cantina e non mi è mai piaciuto scendere lì. C’è una scala ripida e buia, ci sono dei ragni… Da adulta tutto ciò non mi sembra più così terrificante, da piccola, però, ho cantato scendendo. Il canto era capace di vincere la paura.
Le cantine spaventose sono sempre meno. La nostra casa a Vicenza non ha neanche la cantina. Ma gli spazi dove regna la paura rimangono, anche se spesso non si vedono subito. La scuola può essere un luogo di paura o anche internet. Per persone con un diverso colore della pelle alcuni quartieri in città sono tabù e la notte da soli evitiamo di prendere certe strade. Addirittura la propria casa può diventare un luogo di paura, di litigi e minacce. Si dice che per alcuni bambini la loro casa sia il posto più pericoloso di tutti.
Aiuta contro la paura cantare?
Il testo biblico di oggi è tratto da un inno che i primi cristiani cantavano contro la loro paura, contro la stanchezza e la fatica. Leggo dal vangelo di Matteo nel 11 capitolo a partire dal versetto 25
25 In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. 27 Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. 28 Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. 29 Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; 30 poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».
In quel tempo la giovane comunità cristiana alla quale fa riferimento l’evangelista Matteo aveva bisogno di un canto contro la paura dell’oppressione, contro la fatica e la stanchezza. Loro dovevano vivere nel rifiuto del gruppo religioso dominante. Dovevano giustificarsi in continuazione, dovevano affrontare delle pressioni a causa della loro fede. È duro vivere la propria fede quando uno si trova in minoranza. Questo lo sappiamo anche noi. – Anche se per noi non c’è veramente il problema dell’oppressione. Sì talvolta qualcuno guarda strano quando dico di essere evangelica, ma spesso incontro anche grande simpatia. Penso che il punto più difficile per noi sia di avere poco confronto sul lato pratico di vivere la propria fede. Viviamo in questa società cattolica secolarizzata ed è difficile portare la fede fuori dalle mura di questa chiesa. È difficile spiegare il proprio pensiero a qualcuno che nutre i propri pensieri di un misto tra superstizione, secolarizzazione e dottrina cattolica. – Questo è opprimente talvolta, è il giogo che portiamo se guardiamo alla nostra fede.
Gesù risponde alle ostilità che incontra sul cammino verso Gerusalemme, verso la croce, con un canto di lode. Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra. Forse in questo possiamo trovare un primo aiuto quando il nostro giogo ci pesa. In tedesco si dice: ‘Loben zieht nach oben’ cioè ‘lodare tira in alto’. La lode ci dà una nuova prospettiva nella vita. Non aiuta per niente guardare in basso per analizzare nei minimi dettagli la propria miseria; quest’atteggiamento schiaccia solo ancora di più. Cambia qualcosa solamente spostando lo sguardo da se stessi e guardando verso Dio.
E Gesù dice: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Quanto più qualcuno è sapiente, tanto più diventa difficile fidarsi di Dio, difficile staccarsi dalla propria intelligenza. Ciò che per i piccoli, per bambini è ancora normale, fidarsi della parola della mamma o del papà, è difficile per noi che abbiamo fatto tante esperienze non sempre buone nella nostra vita. – A casa nostra succede – forse più spesso che in altre case – di dover parlare della morte e mi meraviglio sempre con quale leggerezza i miei figli possano parlare della morte, che per loro e solo il ritorno lì da dove sono venuti. A noi adulti, anche se siamo credenti, manca questa leggerezza. Non facciamo più le discussioni su chi di noi se ne andrà per primo, non chiediamo più nei minimi dettagli come una morte avviene, abbiamo imparato a tacere per non disturbare la sensibilità di altre persone. – Forse il modo di chiedere dei bambini non è sempre educato, ma è pieno di fiducia in un Dio che è come il loro padre, una persona meravigliosa e piena di amore.
Un altro aspetto che i bambini curano sicuramente meglio di noi adulti è il canto. Non ho mai incontrato un bambino al quale non piaccia cantare. Conosco quelli che sono stonati, conosco quelli che cantano a voce bassa e quelli che quasi urlano, ma in qualche modo piace a tutti sperimentare la propria voce nel canto. – Quando siamo tornati venerdì sera col pullman da Tramonti c’erano dietro di me sedute mia figlia con un’altra bambina; insieme hanno iniziato a cantare ‘Alleluia’ con una loro melodia improvvisata; poi ha iniziato l’altra mamma a cantare anche lei qualche alleluia e un signore batteva le mani. – Era un momento speciale; possiamo imparare dai bambini quanto è bello lodare Dio dopo una giornata per la quale siamo grati.
Gesù ci dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Come arriviamo a Gesù? Come possiamo incontrare questa realtà, dove ci è promesso riposo dalle nostre fatiche, dalla nostre paure, dalle oppressioni? Una delle risposte è: nel canto, nella lode.
Si dice che nelle diverse chiese metodiste in tutto il mondo si può trovare un po’ di tutto in ambito teologico, ma una cosa unisce i metodisti e cioè: la passione per il canto. All’inizio del movimento metodista quando John Wesley predicava sulle piazze davanti a persone semplicissime, ha portato il suo messaggio in grande parte tramite il canto. Suo fratello Charles Wesley ha scritto più di 6.000 inni dei quali più di 500 sono ancora cantati oggi. Ha preso melodie popolari che si cantavano nei pub e aggiungeva dei testi contenenti il messaggio cristiano. Voi non pensate che se uno va in una piazza a tenere un culto davanti a 5.000 persone si porti dietro una cassa con gli innari?! Si cantava a memoria o come si dice in inglese ‘by heart’, cioè secondo il cuore. Se abbiamo un inno nel cuore, nessuno ce lo può più strappare via. Ce lo possiamo tenere per i momenti di fatica e quando siamo impauriti e confidare che verrà fuori al momento giusto. Per questo insisto con i giovani che è bene imparare a memoria delle cose importanti, per farsi un tesoro per i momenti duri della vita quando tutte le altre cose che potrebbero consolarci, ci vengono strappate via.
Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; 30 poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.
Siamo già affaticati, stiamo parlando di paure e oppressione e Gesù ci invita a prendere il giogo, poiché il giogo e dolce e il carico leggero. Nella letteratura questo si chiamo un ossimoro, una possibilità impossibile, qualcosa come ‘latte nero’ o ‘l’alba della sera’. Qualcosa che non esiste proprio come un carico leggero o un giogo dolce.
Torniamo un attimo all’immagine del canto. Chi canta sa che un suono bello non si forma usando tanta forza o pressione, ma con il respiro giusto. Per questo si fanno di solito all’inizio di una prova del coro degli esercizi di respirazione e il suono viene poi quasi da solo. È necessario rilassare il corpo così che l’aria possa scorrere liberamente.
I farisei con i quali Gesù doveva confrontarsi cercavano Dio con tutta la loro forza e volontà, ma non erano proprio rilassati nella loro ricerca. Noi oggi cerchiamo di vivere la nostra vita con tutte le difficoltà che affrontiamo, ma spesso ci manca una certa calma. O posso dirlo per me quando guardo alla nostra chiesa: mi vengono in mente mille cose che si dovrebbero fare e mi viene il fiato corto. Gesù ci dice che questa fatica porta all’effetto opposto. Se ci concentriamo troppo sulle cose che non vanno, diventa peggio di prima. – Siamo arrivati al punto d’inizio. Dobbiamo guardare in alto, staccare lo sguardo da noi, respirare a fondo e rivolgerci a Dio.
Ci serve questa calma, abbiamo bisogno di staccarci dalle nostre paure, dai mille pensieri, dalle offese con le quali siamo confrontati. Questo distacco non è un semplice dimenticare, come si fa la sera davanti alla tv o con un bicchiere di vino in più. Il distacco di cui parla Gesù non è un togliersi il carico della vita per ritrovarselo la mattina dopo pesante come il giorno prima.
Gesù ci invita invece a prendere il suo giogo e ad imparare da lui. All’epoca si usavano anche dei gioghi, dove due animali lavoravano contemporaneamente. Dovevano lavorare allo stesso ritmo, avevano meno libertà, ma solo metà del carico. Gesù vuol mettersi accanto a noi sotto il giogo della vita. Tira insieme con noi. Sa come trascinare, con calma perché c’è tanto lavoro da affrontare, serve del respiro profondo per arrivare alla fine. Gesù si offre per questo lavoro. Non ci dà solo qualche parola bella, ma è disposto a tirare.
Il carico rimane, il giogo è sempre ancora sulle nostre spalle, ma la prospettiva è diversa. Si può lavorare con calma, passo a passo, con qualcuno accanto che sa come fare; e, forse, lavorando così, potrà addirittura elevarsi un canto di lode dalle nostre labbra. Amen
Ulrike Jourdan