Sermone: Cantate!

In Germania c’è un detto “i vestiti fanno le persone”. È vero? – In un certo senso direi di sì. Anch’io mi metto la toga solo la domenica per il culto e non la porterei durante la settimana, di solito mi cambio addirittura ancora prima di salutarvi. La toga è il segno del dottore, vuole mostrare che non vi racconto qui dal pulpito solo i miei pensieri ma che dietro alla predicazione c’è lo studio. Forse la toga non la metto neanche per mostrare qualcosa a voi, piuttosto aiuta a me ad entrare in questo ruolo di pastora. È un discorso un po’ strano, ma quando indossiamo certi abiti, ci sentiamo anche diversi. Per questo abbiamo abiti da festa e abiti da lavoro.
Soprattutto quando vogliamo fare vedere a qualcuno chi siamo, o chi possiamo essere, diventa importante l’abito. Questo involucro è in un certo senso un simbolo per ciò che vogliamo presentare. Per questo i ragazzi si mettono dei vestiti belli quando vanno a presentarsi per un nuovo lavoro o quando si presentano la prima volta alla futura suocera.
Lo sappiamo anche bene, che un bell’abito non rende ancora una persona buona. Abbiamo tante, troppe persone attorno a noi che curano bene l’aspetto esteriore, ma ciò che è dentro va a male.
Come dovremmo vestirci noi? Noi cristiani, come dovremmo apparire? – Spero che non ci sia una grande differenza tra ciò che si vede fuori e ciò che Gesù vede nel nostro cuore. Spero che noi non dobbiamo recitare un ruolo cristiano che non si rispecchia nella nostra fede.
Paolo dà nella lettera ai Colossesi dei consigli riguardo all’aspetto delle persone nella comunità. Vi leggo Colossesi 3,12 a 17
Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. 13 Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione. 15 E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti. 16 La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. 17 Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù ringraziando Dio Padre per mezzo di lui.
Quando Paolo dice ‘Rivestitevi’, non intende dei vestiti di stoffa che possono fare apparire una persona diversa dalla realtà. Paolo intende piuttosto delle caratteristiche che le persone nella comunità devono indossare per sempre come ‘gioielli’, come ‘abito da festa’.
Guardiamo con chi parla Paolo. – Non è un gruppo qualsiasi, ma sono gli eletti, i santi, gli amati da Dio. Così vede l’apostolo questa comunità a Colosse. Ma gli attributi sono validi anche per noi. Anche noi cristiani qui a Padova siamo eletti, santi e amati da Dio.
La comunità di Colosse era ancora molto giovane. Non avevano la lunga tradizione cristiana che noi abbiamo alle spalle. Per questo gli ammonimenti di Paolo servono per dare loro qualcosa come una bussola per la loro fede. E possiamo dire che Paolo rimane piuttosto concreto nei suoi consigli. Non lascia niente al caso.
Talvolta incontro persone che cercano proprio questo: uno che dice chiaramente che cosa devono fare e che cosa no. E visto che Paolo non formula neanche delle idee assurde potremmo dire: se tutti vivessero così, sarebbe una vita pacifica e piena di armonia per tutta l’umanità.
Quando guardiamo invece un po’ più a fondo nel testo, vediamo che Paolo descrive un’immagine ideale per farci vedere come tra di noi cristiani ci si dovrebbe comportare. Paolo non descrive la situazione come la vive lui o come la vede in qualche comunità, ma piuttosto la meta dove sarebbe bello arrivare seguendo Cristo. Contemporaneamente egli dà con le sue parole una mappatura per la via sulla quale possiamo raggiungere la meta, raggiungere Cristo.
Com’è questa via e la meta della sequela che Paolo descrive? Che cosa dicono le sue parole ai cristiani di Colosse e con questo a noi oggi, cristiani qui a Padova?
Paolo dice che il nostro carattere dovrebbe consistere in misericordia, benevolenza, umiltà, mansuetudine e pazienza. E l’amore deve essere l’elemento che lega tutto. L’amore è il vincolo della perfezione che tiene e porta tutto. Gesù Cristo è questo vincolo, quest’amore. E la pace di Cristo … regni nei nostri cuori ci porti alla riconciliazione e verso la gratitudine. E se La parola di Cristo abita in noi abbondantemente, ci porterà automaticamente alla sequela. Nella sua parola troviamo verità e sapienza che ci aiutano a trovare la via e a non perdere di vista la meta. Siamo esortati a cantare di cuore a Dio, …salmi, inni e cantici spirituali, tutta la nostra vita dev’essere piena di gratitudine per l’amore di Dio e per la sua misericordia. E tutte le nostre opere, tutto ciò che pensiamo, diciamo e facciamo deve avere il suo principio e compimento in Cristo.
Quando ricapitoliamo questo testo, potremmo dire: si dovrebbe riflettere su ogni singola frase. Si potrebbe addirittura scrivere una predicazione su ogni argomento. – Ma forse vi viene più da dire: Sappiamo bene, che non siamo le persone ideali come dovremmo essere di fronte a Dio. Anche se facciamo tanta fatica ad arrivarci, alla fine tutto lo sforzo rimane un lavoro imperfetto. E comunque Paolo ci chiama eletti di Dio, santi e amati. Come possono andare queste due cose insieme?
Paolo scrive nella lettera ai Romani di se stesso il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio (Rom 7,19). È purtroppo spesso così nella nostra vita, ma non dobbiamo rassegnarci, possiamo di nuovo con Paolo sperare in Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo (Fil 2,13). Alla fine sta tutto nelle mani di Dio, e abbiamo la promessa che egli ci vuole portare alla meta, cioè presso di sé.
Visto che questa domenica è intitolata ‘cantate’, vorrei riprendere alla fine un punto specifico di tutto l’elenco di Paolo. Egli dice cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. – Quale valore ha per voi il cantare nel culto? In che senso ci può portare il canto più vicino a Dio o al nostro prossimo?
Quando cantiamo al culto, i testi degli inni sono spesso preghiere cantate, sono spesso parole che si indirizzano direttamente a Dio, ma contemporaneamente queste parole mi legano anche con il resto della comunità, con gli altri che cantano le stesse parole con me. Così abbiamo da un lato l’asse verticale con Dio e dall’altro l’asse orizzontale con gli uomini. Quando ho la possibilità di pregare e cantare insieme con altre persone? Nel culto – e sono spesso gli inni nei quali la parola di Cristo abita abbondantemente.
Possiamo discutere tanto sullo stile della musica, e con qualcuno di voi l’ho già detto che io personalmente preferisco la musica più vivace di quanto la sento talvolta nella nostre chiese. Ma tutto ciò è secondario. L’importante sono i testi degli inni e che li cantiamo, non solo così perché si deve, ma di pieno cuore, consapevoli di stare di fronte al trono di Dio con il nostro canto.
Ricordo sempre volentieri la nostra tradizione metodista quando si parla di canti spirituali. Charles Wesley ha evangelizzato le masse con i suoi inni. Ha preso canzoni popolari che si cantavano nei pub e applicava a queste melodie un testo nuovo. Le predicazioni di suo fratello John erano buone, ma si sentivano una volta sola, gli inni invece rimanevano nella testa della gente e da lì le parole scendevano pian pianino nei cuori. Questo è il miracolo degli inni, che li portiamo con noi e nel momento giusto saltano fuori a confortarci o a darci parole di gioia.
Se cerchiamo di mettere in pratica ciò che dice Paolo, se cerchiamo di metterci questo nuovo vestito di cui parla, forse potremmo iniziare con un vestito da corista. Possiamo cantare la nostra fede per proclamarla davanti a Dio, davanti agli altri uomini e alla fine anche davanti a noi stessi. E se sentiamo bene che cosa dicono questi inni che cantiamo può cambiare qualcosa in noi e forse anche nel nostro mondo.
Martin Lutero ha scritto come prefazione a un innario dei suoi tempi: “Cantate al SIGNORE un cantico nuovo, cantate al SIGNORE, abitanti di tutta la terra! (Salmo 96,1) poiché Dio ha fatto gioire il nostro cuore tramite il suo figlio amato, che si è dato per noi per salvarci dal peccato, dalla morte e dal diavolo. Chi crede questo non può tacere. Deve cantarlo e proclamarlo con gioia, così che tutti lo sentano e si avvicinino.”
Amen
Ulrike Jourdan