Sermone: Il giudizio degli altri

Romani 14:10-13
Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo
fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; infatti
sta scritto:
«Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si
piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio».
Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.
Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a
non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui
un’occasione di caduta.

Cari fratelli e sorelle, quante volte ci è capitato, ci capita e ci
capiterà ancora, di esprimere giudizi spesso non particolarmente
lusinghieri sugli altri? Sia su chi è lontano da noi ma anche, molto
spesso, purtroppo, proprio su chi ci è particolarmente vicino? Credo
faccia parte un po’ dell’animo umano, che sia insita in noi la critica,
il voler sempre intervenire; “Io lo avrei fatto in un altro modo”; “lui/lei
non capisce proprio”; “guarda quello/quella lì come si veste o come
si comporta”; ecc. Mi viene in mente, tanto per fare un esempio di
attualità, in questi tempi di Campionati Europei di calcio che,
quando gioca la nostra nazionale, diventiamo tutti improvvisamente
dei “Commissari Tecnici” espertissimi anche se il nostro movimento
fisico è spesso unicamente dalla poltrona al divano. Ma perché
scatta questo meccanismo? Gli psicologi, a qualsiasi “scuola”
appartengano, ci vengono incontro parlando di “meccanismo di
proiezione”: in pratica si tratta di quel meccanismo di difesa
attraverso cui buttiamo fuori da noi stessi e localizziamo quindi
nell’altro, sentimenti, desideri o qualità che sono nostri propri ma
che noi non riconosciamo o rifiutiamo sia consciamente che
inconsciamente. Una sorta, quindi, di meccanismo di difesa che
serve a fare una sorta di “economia mentale”, di “pulizia della
mente”, dal momento in cui ci libera di sensazioni, emozioni,
sentimenti, caratteristiche che percepiamo come sgradevoli e che
non vogliamo tenere per noi. Ecco allora che dobbiamo stare ben
attenti ogni qualvolta ci troviamo a formulare giudizi rigidi e lapidari
nei confronti degli altri. Se guardassimo bene e attentamente dentro
di noi ci accorgeremmo che quelle persone che noi critichiamo sono
portatrici di caratteristiche che noi stessi non riconosciamo o non
vogliamo riconoscere di avere.
Si tratta di quelle parti che noi non vogliamo accettare di avere: vuoi
per motivi religiosi, etici, morali, educativi o familiari. Si tratta di
caratteristiche che se ammettessimo di avere, manderebbero in
crisi tutto quel sistema personale di valori sul quale per anni ci
siamo costruiti come persona, sul quale abbiamo basato la nostra
immagine, sia pubblica che privata. Ci facciamo forti dell’essere
persone moralmente rette, ma dentro una parte di noi vorrebbe
essere smaliziata e priva di inibizioni; ci facciamo forti di essere abili
risparmiatori come ci ha insegnato il papà, ma di fatto dentro di noi
c’è una parte più spendacciona che vorrebbe emergere e trovare
spazio; ci consideriamo fieramente riservati e attenti al buon
comportarsi quando in realtà c’è la parte di noi più “casinista” e
sfacciata che vorrebbe essere ascoltata. E così via.
In pratica, molte delle persone che si dedicano a criticare gli altri
cercano semplicemente di distrarre la loro mente dal disagio
esistenziale che stanno vivendo. Criticano gli altri per non essere
costrette a criticare se stesse e non dover prendere delle misure
per risolvere i loro problemi. Quindi, come dice l’Evangelo di Luca
che abbiamo in precedenza ascoltato, si limitano a guardare la
pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave che c’è nei loro occhi.
«Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in
un fosso?”. La Parola di Dio è chiara! Negli altri noi critichiamo e
facciamo notare i nostri stessi difetti!Pertanto, cari fratelli e sorelle,
interroghiamoci quando chiamiamo “poco di buono” una donna solo
perché ha un fare molto espansivo con gli uomini; interroghiamoci
quando critichiamo il vicino che compra sempre un cellulare nuovo
ogni mese; interroghiamoci quando critichiamo l’amico un po’
buffone che si diverte a fare “l’idiota del villaggio”. Non vorremmo
forse essere in fondo anche noi un po’ smaliziati come quella che
chiamiamo “poco di buono”? Non vorremmo forse spendere più
soldi come il vicino di casa ma non possiamo permettercelo? Non
vorremmo forse essere più espansivi come l’amico buffone? Se
pensiamo che qualcuno stia con noi solo per raggiungere degli
scopi, per interesse, allora quegli obiettivi sono anche i nostri. Se
pensiamo sempre che il nostro partner ci tradisca è perché noi
stessi siamo dei potenziali traditori nelle medesime situazioni in cui
lo immaginiamo tradirci.Che fare quindi? La Scrittura è chiara
anche in questo caso: “ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a
Dio”. Quando verrà il giorno del Giudizio finale, “ogni ginocchio si
piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio”. Tutti
dovremmo rispondere del nostro e ripeto, solo e solamente del
nostro agire. E non a nome o per conto degli altri. Quindi,
smettiamola una buona volta di giudicare e di disprezzare l’altro,
impariamo a riconoscere quando e cosa stiamo proiettando di noi
stessi sull’altro; impariamo ad accettare che quello che stiamo
proiettando è un qualcosa che risiede dentro di noi da qualche
parte del nostro essere. “Perché guardi la pagliuzza che è
nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è
nell’occhio tuo?”. Credo che mai come in questo caso la Parola di
Dio e la parola dell’uomo, psicanalista, psicologo, sociologo o
comunque esperto della mente e delle relazioni umane siano
perfettamente in linea. L’apostolo Paolo giunge a proporci una
soluzione nel testo della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato
poco fa: “Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi
piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per
lui un’occasione di caduta”. Siamo quindi, cerchiamo, con le nostre
deboli forze umane, sale della terra per chiunque abbiamo la
fortuna di incontrare. Diamoci da fare per gli altri perché negli altri è
sempre presente un qualcosa di noi. Magari proprio quella parte
che rifiutiamo o che vorremmo tanto essere ma non siamo mai
riusciti a raggiungere. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Direi
che questa è proprio la frase congeniale, ad hoc, per porci in linea
con la volontà di Dio espressa nell’Evangelo e nel testo della
predicazione di oggi. Questo per chi critica e disprezza. Ma
poniamoci ora dall’altra parte, dalla parte di chi subisce le critiche,
di chi soffre e non riesce a vivere bene a causa di tutti queste
maldicenze e giudizi spesso gratuiti. Che fare? Vorrei a questo
proposito, se me lo permettete, fornire una possibile risposta, non
con un’altra citazione biblica, ma con una più prosaica riflessione, o
consiglio, vedetela come volete, del grande attore e regista Charlie
Chaplin: “Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà
difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come
sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come
un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi
intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca
priva di applausi”. Spendiamo un sacco di soldi, di energie, di salute
fisica e mentale per cercare un equilibrio. Seguiamo corsi di
meditazione, di tecniche di rilassamento, di sedute psicanalitiche,
seminari di auto-realizzazione o di tecniche di persuasione. Niente
in contrario, per carità. Qualcosa di buono c’è sempre. Ma
dimentichiamo spesso quella che dovrebbe essere la nostra Guida
con la G maiuscola: Dio. E quando ci parla Dio? Con la Sua Parola!
Leggiamola quindi la Parola di Dio, leggiamola e meditiamola la
Bibbia. Scopriremo che tante parole umane sono già state scritte.
Amen.

Daniele Rampazzo