Mt 27,31-50
Il brano che abbiamo letto è pregno di drammaticità e di dolore. Siamo nel quadro della passione e crocifissione di Gesù, un fatto di una crudezza straziante: un innocente arrestato, deriso, processato e alla fine inchiodato su di una croce, con davanti a sé un’unica speranza: che la morte giunga presto per porre fine al dolore.
Forse siamo troppo abituati a vedere le varie raffigurazioni che nel tempo sono state fatte della crocifissione di Gesù, ma non per questo non possiamo non accorgerci di quali crudeltà abbia saputo partorire la mente umana. E non possiamo nemmeno dimenticare che una tale atrocità è stata perpetrata con la scusante di un ideale di giustizia, di rispetto della religione, di garanzia dell’ordine sociale.
Tutto ciò sarebbe già molto grave, ma purtroppo nei secoli sono continuati altri strazi simili e drammaticamente continuano ancor oggi. Pensiamo ai roghi, alle persecuzioni dei valdesi, ai forni crematori dell’olocausto, alle guerre condotte con le armi più sofisticate o con lo spargimento di prodotti chimici capaci di uccidere migliaia di persone o di ferire i loro corpi in maniera indelebile e irreversibile, oppure pensiamo al fatto di sapere e fare poco o nulla nel lasciare che uomini, donne e bambini muoiano in mare. E il tutto è stato e viene fatto il più delle volte con motivazioni che appaiono insostenibili per il prezzo di morte che chiedono.
Da credenti cristiani avremmo voluto che quella di Gesù fosse stata l'ultima condanna a morte, l'ultimo frutto avvelenato del peccato che invade la mente umana. Invece gli strumenti di morte, più o meno sofisticati, più o meno giustificati da chi li impiega, continuano ad imperare sulla scena della storia. Di fronte a Gesù crocifisso tutti dovrebbero dire “basta alle uccisioni”, ma quel “basta!” dura solo fino alla prossima guerra, al successivo fatto di sangue per annientare nemici veri o presunti, al prossimo fatto di sangue anche per coloro che si professano cristiani, come accade nelle faide di mafia e camorra.
Gesù che muore in croce smaschera la ferocia delle menti che macchinano violenza, divisione e guerra; smaschera i sistemi di governo del mondo, siano essi politici, militari o semplicemente culturali e religiosi che elaborano sempre nuove divisioni e nuove guerre.
La croce di Gesù smaschera la violenza insita persino nella religione, qualsiasi essa sia. La religione col suo rituale sacrificale vuole vittime: tori, agnelli, colombi, ma poi queste vittime del sacrificio non bastano più, ma tanto a morire sono i cosiddetti nemici da annientare e coloro che muoiono “dalla parte giusta” sono invece martiri di scellerate scelte di altri, martiri che vengono immolati per alzare il valore del sacrificio, affinché appaia sempre più meritorio agli occhi del dio o dell’idolo di turno, dell’ideologia politica ed economica perversa che non consente di dare il giusto valore alla vita umana.
Pensiamoci bene: è una vera e propria aberrazione!
Di fronte alla croce di Gesù ogni religione che non depone la propria violenza è una religione che continua a crocifiggere quel Gesù che dice di onorare e adorare.
Gesù che muore in croce non può andare di pari passo con la benedizione delle armi o degli eserciti, con la sostanziale complicità e/o indifferenza per le vite che vengono stroncate.
Di fronte alla crudeltà della croce di Cristo e delle croci di altri esseri umani dovremmo dire, come individui e come chiesa, BASTA! Basta alle morti, basta alle discriminazioni che causano conflitti e morte, basta alle armi, basta a sacrifici inutili, basta a scontri di religione (veri o presunti), basta a scelte politiche, economiche e culturali che diffondono falsità sul prossimo e che possono solo alimentare la violenza e i pregiudizi fondati quasi sempre sull’ideologia e sull’ignoranza.
L'unica parola che un cristiano deve pronunciare di fronte alla crudeltà della croce è quindi un chiaro NO alla violenza e un altrettanto chiaro SÌ all’amore e alla solidarietà.
Il Cristo che muore in croce, il Figlio di Dio immolato per il riscatto dell’uomo, non solo ci costringe a denunciare la violenza, ma ci suggerisce pensieri ben più alti. A noi, come singoli e come chiese, spettano quindi le azioni conseguenti, le denunce che vanno fatte ad alta voce, fuori dal chiuso delle nostre case e delle nostre chiese e, se necessario, fuori dal coro, senza timori di essere derisi. AMEN
Liviana Maggiore
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