Sermone: LA FIDUCIA DI DIO NELL’UOMO

Giobbe 15,1-16

Allora Elifaz di Teman rispose e disse: «Il saggio risponde forse con vana scienza? Si gonfia il petto di vento? Si difende con chiacchiere inutili e con parole che non giovano nulla? Tu, poi, distruggi il timor di Dio, sminuisci la preghiera che gli è dovuta. La tua iniquità ti detta le parole, e adoperi il linguaggio degli astuti. Non io, la tua bocca ti condanna; le tue labbra stesse depongono contro di te. Sei forse tu il primo uomo che nacque? Fosti tu formato prima dei monti? Hai forse sentito quanto si è detto nel Consiglio di Dio? Hai forse accaparrato la saggezza tutta quanta per te solo? Che sai tu che noi non sappiamo? Che conoscenza hai tu che non sia anche nostra? Ci sono fra noi uomini canuti e anche vecchi più attempati di tuo padre. Fai così poco caso delle consolazioni di Dio e delle dolci parole che ti abbiam rivolte? Dove ti trascina il cuore, e che vogliono dire codeste torve occhiate? Come! Tu volgi la tua collera contro Dio, e ti lasci uscir di bocca tali parole? Chi è mai l’uomo per esser puro, il nato di donna per esser giusto? Ecco, Dio non si fida nemmeno dei suoi santi, i cieli non sono puri ai suoi occhi; quanto meno quest’essere abominevole e corrotto, l’uomo, che tracanna iniquità come acqua!

 

Isaia 58,5-12

È forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l’uomo si umilia?

Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al SIGNORE?

Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo?

Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne?

Allora la tua luce spunterà come l’aurora, la tua guarigione germoglierà prontamente; la tua giustizia ti precederà, la gloria del SIGNORE sarà la tua retroguardia.

Allora chiamerai e il SIGNORE ti risponderà; griderai, ed egli dirà: Eccomi!

Se tu togli di mezzo a te il giogo, il dito accusatore e il parlare con menzogna; se tu supplisci ai bisogni dell’affamato, e sazi l’afflitto, la tua luce spunterà nelle tenebre, e la tua notte oscura sarà come il mezzogiorno; il SIGNORE ti guiderà sempre, ti sazierà nei luoghi aridi, darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino ben annaffiato, come una sorgente la cui acqua non manca mai.

I tuoi ricostruiranno sulle antiche rovine; tu rialzerai le fondamenta gettate da molte età e sarai chiamato il riparatore delle brecce, il restauratore dei sentieri per rendere abitabile il paese.

 

Cari fratelli e care sorelle,

Abbiamo letto dal libro di Giobbe quanto gli dice il suo amico Elifaz a fronte della profonda crisi che vive un uomo provato dal dolore e dalla sventura.  Forse un amico del genere è meglio perderlo che trovarlo, visto che certamente costui non dà a chi sta male consolazione e soprattutto rispetto per il sentire travagliato.

Il messaggio di Elifaz è pessimista, è colpevolizzante, certamente deprimente e poco o per nulla fiducioso. Arriva a dire, abbiamo sentito, che “Dio non si fida nemmeno dei suoi santi e che perfino i cieli ai Suoi occhi non sono puri”!

Ma questa è la visione del mondo di Elifaz, molto perbenista e punitiva e con un concetto che non possiamo condividere: ogni malanno e ogni sventura sono la punizione divina per qualcosa di male che l’uomo fa e per il fatto che l’uomo si senta scoraggiato e metta in discussione la propria fede.

Ma non è così. Questa visione lasciamola a Elifaz e lasciamola anche a coloro che, a fronte delle prove talvolta dure della vita dicono “Che cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”

Riflettiamo invece su quanto abbiamo letto in Isaia, dove possiamo dire che Dio ci crede capaci di tante cose!

Dio ci crede capaci di far spuntare la nostra luce come l’aurora!

Ci crede capaci di far spuntare la nostra luce nelle tenebre, affinché la nostra notte oscura sia come il mezzogiorno!  Dio ci crede capaci di essere come un giardino ben annaffiato, come una sorgente la cui acqua non manca mai.

Sì, Dio ci crede capaci di ricostruire, di riparare le brecce e di restaurare i sentieri!

Dio, allora, crede te e crede me veramente capaci di tante cose!

Come, però, potrà realizzarsi quello di cui Dio ci crede capaci?

Il testo di Isaia risponde a questa nostra domanda dandoci delle indicazioni concrete: “Che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo ….. Che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne”.

Noi riusciamo ad essere una luce in mezzo alle tenebre, siamo come un giardino ben annaffiato e una sorgente la cui acqua non manca, quando viviamo non solo per noi stessi ma anche per gli altri, quando abbiamo cura non solo del nostro benessere personale, ma anche del bene degli altri.

Queste affermazioni ci sembrano quasi scontate. Sì, sembrano proprio scontate e tuttavia così facili da rimuovere e facili da dimenticare.

Rimosse e quasi dimenticate le aveva anche il popolo d’Israele. Il profeta Isaia si rivolge al suo popolo che dopo lunghi anni di esilio in Babilonia era tornato a vivere nella propria terra.  Dopo l’esperienza concreta dell’esilio, dopo l’esperienza di essere stati trattati male, dovrebbe, allora, essere quasi naturale non fare del male ad altri, applicare il diritto e la giustizia e occuparsi dei “meno fortunati”.  La gente di allora, invece, stava attenta a tutt’altro. Si preoccupava di mantenere con grande rigore le pratiche religiose, i momenti di preghiera, le giornate di digiuno …. per essere certi di ricevere un atteggiamento di favore da parte del loro Dio.

Ma quello che Dio gradisce è proprio altro! Le parole del profeta non lasciano alcun dubbio.

All’Israele di allora doveva essere ricordato che per seguire la volontà di Dio non era sufficiente andare nel tempio a pregare e a digiunare, e poi non occuparsi di coloro che si erano dovuti vendere come schiavi o di altri ancora, che, magari erano liberi, ma costretti a lottare, giorno dopo giorno, per la propria sopravvivenza, contro la fame e la miseria.  All’Israele di allora veniva ricordato che un digiuno che Dio gradisce è quello che libera, che sazia e che apre le porte delle case a chi ha bisogno di essere sostenuto.

E a noi, che siamo riuniti qui stamattina in questa chiesa, che cosa vogliono dire queste parole del profeta? Come ci toccano le sue parole oggi?

Queste parole mi toccano, perché non mi lasciano tranquilla!  Mi propongono la domanda: dove io, come persona, mi impegno per altri e sostengo concretamente le persone che vivono nell’ombra della miseria e dell’ingiustizia?

Queste parole mi toccano, perché non mi lasciano tranquilla!

Infatti mi chiedono, sempre di nuovo: dove noi, come chiesa, siamo una chiesa per altri e non solo per noi stessi?

Queste parole del profeta ci toccano, perché ci ricordano il fatto che il culto che celebriamo la domenica perde quasi tutto il suo valore davanti a Dio, se questo nostro culto non ha niente a che fare con la nostra vita quotidiana, se questo nostro raduno domenicale è totalmente distaccato da ciò che facciamo durante la settimana.

Se la domenica lodiamo il Signore per la sua misericordia e per la sua giustizia, allora è nostro compito impegnarci nelle nostre relazioni interpersonali, ma anche nella società e nel mondo che ci circondano proprio per ottenere maggiore misericordia e giustizia.

Se la domenica chiediamo a Dio di darci la Sua pace, siamo chiamati a cercare di vivere la pace e la non-violenza fisica e verbale anche nelle nostre relazioni di tutti i giorni.

Se la domenica ringraziamo il Signore per la buona creazione e per tutto quello che è la base della nostra vita, siamo chiamati a salvaguardare il creato nella nostra vita di tutti i giorni con buone pratiche.

Siamo dunque continuamente chiamati a cercare di costruire un ponte dal culto domenicale al, potremmo chiamarlo così, culto feriale, affinché Dio gradisca i nostri culti.

Il bello è: Dio ci crede proprio capaci di fare questo!

Dio ci crede capaci di applicare la misericordia e la solidarietà nella nostra vita.  E ci promette che ne varrà la pena. Perché cosa si può dire di più bello di una persona se non che la sua luce spunterà come l’aurora?

Dio ci crede capaci di essere messaggeri e portatori della Sua speranza.  E com’è bello poter dire di una persona, che la sua luce spunterà nelle tenebre.

Dio, infatti, ci crede capaci di rendere più chiare situazioni di vita dominate dalle tenebre, di portare un po’ di gioia laddove regna la tristezza.

Com’è bello essere come un giardino ben annaffiato e come una sorgente la cui acqua non manca mai.  Dio ci crede anche capaci di dissetare, di dissetare la sete di pace e di giustizia, la sete di amore e di sicurezza.

E infine, com’è bello poter dire di una persona che ricostruisce e rialza, che ripara le brecce e restaura sentieri.

Dio ci crede capaci di rendere possibile la vita laddove fino ad ora era stata possibile solo la sopravvivenza. Egli ci crede capaci di vincere divisioni, di chiudere brecce che sono riuscite a separare gli uni dagli altri.

Dio ci crede capaci di fare veramente tante cose!

E non ci lascia soli con ciò che abbiamo da fare. Ci promette di essere con noi, di essere al nostro fianco. Ci promette di donarci la forza necessaria.

Dio ci crede veramente capaci di fare tante cose.

Fidiamoci di lui!

AMEN

past. Dorothee Mack – Liviana Maggiore