Sermone: Libertà dalla paura, liberi dalle dipendenze

Romani 8,12-17

Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete; infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!» Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.

 

Cari fratelli e sorelle, nel testo di Paolo che abbiamo appena letto, compare un termine centrale che ritengo essere il cardine di questa riflessione: servitù. Un termine decisamente negativo e che richiama alla mente altrettante situazioni non certamente allegre. Soprattutto il suo sinonimo schiavitù. Ma non nel nostro caso. Qui la Parola di Dio è chiara: non siamo schiavi ma figli di un Dio al quale dobbiamo uno spirito di reverente servizio. Servizio filiale non quindi schiavitù. Noi soffriamo con Lui e verremo anche glorificati con Lui. In pratica, nella vita ci sono le sofferenze ma arrivano anche i momenti di gioia e serenità. Ma la parola servitù, nel testo biblico di oggi, non riguarda solo questo aspetto: essa va a toccare il nostro essere troppo legati alla materialità, alle cose di questo mondo, al desiderio di possedere e godere di quanti più beni possibili. Gli anglosassoni usano il termine addicted ovvero dipendente. E questa è la servitù legata alla paura: le dipendenze. Come ci insegna la psicologia, la dipendenza (la cui etimologia è assai significativa in quanto deriva dal latino dependere cioè pendere giù, tendere verso il basso) è una condizione in cui un individuo è coinvolto in una qualsiasi forma di comportamento ripetitivo basato sul bisogno psicologico o fisiologico di una persona, un oggetto, una sostanza o una determinata situazione. E la molla scatenante, insegnano sempre gli psicologi, è la paura: paura di perdere l’amore della propria donna o uomo o di non riuscire ad amare, di non sapere cosa fare per passare il tempo e quindi cercare dei riempitivi, paura di non essere popolari fra i nostri amici, di non essere all’altezza al lavoro, etc. Siamo un po’ tutti quanti vittime, chi più chi meno, di dipendenze. Ve ne sono di molto gravi, per esempio parliamo di dipendenza dalla droga, dalla pornografia, dall’alcool, dal gioco d’azzardo. Ma anche da internet o il bisogno compulsavo di usare il cellulare in qualsiasi momento della giornata. Magari anche quando stiamo parlando con qualcuno sentiamo l’impulso impellente di andare a vedere se abbiamo ricevuto messaggi o aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook o su altri social network. Oppure anche la dipendenza legata al denaro, dalla voglia di fare soldi, anche in modo lecito sia chiaro. Ma talmente sfrenata dall’anteporle qualsiasi altra cosa. Anche la propria famiglia. A questo riguardo vorrei citare un fatto personale. Qualche tempo fa, ero andato ad un colloquio di lavoro per iniziare una collaborazione professionale con una importante società operante nel settore finanziario. Il manager, come solitamente insegnano i manuali e i protocolli per condurre un colloquio, iniziò a parlarmi di sé vantando il fatto di aver sempre lavorato duramente e di aver posto la carriera al di sopra di tutto e di essere arrivato a quella posizione, dove si trovava ora, lavorando non meno di dodici ore al giorno. La cosa che però più mi aveva fatto veramente rabbrividire fu quando mi disse che il figlio era stato allevato da sua moglie e che lui lo vedeva solo due volte al giorno: la mattina mentre dormiva e la sera quando dormiva. “Ma sono diventato così il responsabile del Veneto per la mia azienda! Il primo per risultati a livello nazionale!”. Quando gli feci notare che così facendo non aveva potuto vedere suo figlio crescere, ripeté nuovamente che così facendo ora poteva sedere su quella poltrona con tutti i vantaggi che quella posizione comportava. Inutile dire che non accettai la proposta di collaborare con una persona del genere. Tempo fa, in questa nostra Chiesa, durante un sermone dedicato proprio al tema dei soldi, si era detto che “i soldi devono essere un mezzo e non un fine”. Ecco, credo che questo sia proprio il modo per evitare di cadere nella trappola della dipendenza e che possa essere adattata anche ad altre nostre “passioni terrene” che possono arrivare anche a distruggerci (e a distruggere quanti ci sono attorno) se non adeguatamente comprese e controllate. Quello che il Signore vuole farci capire è che non dobbiamo trascurare le nostre attività umane, ci mancherebbe, ma non dobbiamo diventarne schiavi. Fai pure soldi e carriera ma ricordati anche degli altri e del fatto che il denaro deve essere un mezzo e non il fine assoluto della tua vita; beviti pure il tuo bicchiere di vino o anche due, ma non bruciarti la vita con l’alcool o con altre sostanze. Aggiorna la tua pagina sui social network ma non andare a guardarla in maniera compulsiva ogni cinque minuti. Noi siamo figli di Dio e quindi soffriamo con Lui ma veniamo anche glorificati con Lui. Se spostiamo almeno per un attimo la nostra attenzione a Lui, seguendo lo Spirito, comprendendo che noi e tutte le cose materiali sono solo di passaggio su questa Terra, allora possiamo entrare in un altro tempo: il tempo di Dio. E questo punto ricordo un bel sermone della nostra Febe di qualche tempo fa che ho letto in questa Chiesa. Non dobbiamo assolutamente diventare mistici, distaccati dalla realtà quotidiana: dobbiamo però capire che c’è dell’altro. C’è dell’altro oltre il successo personale, oltre la popolarità, oltre il numero di amici su Facebook. “Se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete”. Anche questa volta la lettura biblica è in linea con le scoperte umane, in questo caso nel campo della psicologia. Tutti gli psicologi sono infatti concordi che, per vincere le dipendenze, bisogna chiedere aiuto a qualcuno che ha la possibilità e le caratteristiche ottimali per aiutarci a vincere la dipendenza: un amico, il proprio partner, un professionista, un medico, lo psicologo, ecc. E quindi, visto che noi siamo credenti, perché non a Dio? “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio”. Aggiungo anche un altro passo biblico, tratto dall’Evangelo di Marco al capitolo 11, versetti dal 22 al 24: “Gesù rispose e disse loro: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico che chi dirà a questo monte: “Togliti di là e gettati nel mare”, se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto. Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete”. Ma come fare quindi? Pregando e leggendo e rileggendo e meditando la Sua Parola. Ma con convinzione! Non dubitando ma credendo che quanto chiediamo si avveri o meglio si compia nel momento in cui lo chiediamo. Come del resto dice anche il famoso detto “aiutati che il ciel t’aiuta”. Se lo vogliamo con tutto il cuore, lo Spirito ci potrà sempre guidare e farci vincere le nostre paure che ci legano a terra e ci impediscono di andare oltre, di diventare pienamente figli di Dio. Amen.

 

Daniele Rampazzo