Sermone: PADRE NOSTRO – … non esporci alla tentazione ma liberaci dal Male

Voi dunque pregate così: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno.”   (Matteo 6,9-13)

Abbiamo letto il Padre Nostro, la preghiera che Gesù ci ha insegnato, la preghiera che ci ha donato l’accesso ad un luogo nel quale diritto e giustizia si baciano, dove possiamo (e dobbiamo) considerarci fratelli e sorelle di Gesù, fratelli e sorelle tra noi. Una preghiera che per il fatto di esserci stata insegnata da Gesù non solo ci permette, ma ci autorizza a chiedere aiuto. Ancora di più: ci rende sicuri che la richiesta è già stata esaudita prima ancora che noi la formuliamo. Dio sa già di cosa abbiamo bisogno, senza che noi dobbiamo chiederglielo. Nel momento in cui Gesù ci insegna a dire Padre nostro, ci riconosce come già all’interno di una relazione con Dio, e in una relazione molto speciale perché come figli siamo quindi amati, accolti, sostenuti e protetti.

Non esaminerò ora tutte le richieste del Padre nostro, ma mi soffermerò brevemente su di una che è piuttosto inquietante, che ci interroga oggi, così come ha interrogato i nostri padri e le nostre madri: Non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal Male.

Non ci esporre alla tentazione è un po’ diverso dal cattolico romano non ci indurre, ma allude sempre e comunque ad una tentazione che esiste e dalla quale dobbiamo essere protetti. Il verbo originale indica un ingresso, un entrare, potremmo quindi tradurre: non permettere che io entri nella casa della tentazione, nel luogo metafisico della tentazione, perché già so che soccomberò; Signore aiutami, stai al mio fianco, perché all’interno della mia vita, costellata di prove e tentazioni, io da sola non ce la posso fare.

In effetti sappiamo bene, per dura e dolorosa esperienza, che il male in tutte le sue accezioni ci circonda e anche il nostro linguaggio quotidiano lo sottolinea. Tutti i giorni facciamo i conti con il male e anche con il Male. Il limitato male quotidiano del pensiero malizioso, della piccola bugia, dell’inganno a fin di bene, della scarsa volontà di impegnarsi e dell’assenza di amore per i fratelli e sorelle che incontriamo in autobus, per strada, sul posto di lavoro. Ma facciamo i conti tutti i giorni anche con il Male: quello di chi pensa di condurre i destini dell’umanità intera, seguendo i propri interessi particolari; quello di chi uccide per danaro o di chi lo fa per una passione malata; quello dei bambini maltrattati o addirittura violati. Il Male su cui sediamo comodamente, perché ciascuno di noi sa benissimo che il nostro benessere è costruito sullo sfruttamento di milioni di uomini e donne, e perfino bambini, e sul saccheggio sistematico della Terra.

Il male dunque esiste e non credo che possa mai diventare un bene, in nessun senso, neppure in quello che ci aiuti a diventare migliori o sia una prova mandataci dal Signore. Quando muore un bimbo, non è il Signore che manda una prova; quando siamo schiacciati dal dolore, il Signore non ci guarda per vedere se siamo in grado di andare avanti. No, io non lo credo assolutamente. Il Male è altro, totalmente altro, dalla realtà di Dio.

Ma, indubbiamente, esso è presente nelle nostre vite e dobbiamo anche ammettere che ci affascina, ci ammalia e seduce, segna le nostre esistenze in un modo che soggettivamente non è sempre inteso negativamente.

Il Male dunque esiste e, insieme ad esso, anche la tentazione. Gesù stesso ha dovuto affrontarla nel deserto. Tutti i giorni incontriamo la tentazione dell’ingordigia, del potere, dell’egoismo e potremmo scrivere un lungo elenco, ma, soprattutto, conosciamo una tentazione che in fondo le riassume tutte ed è la più pericolosa, quella che subdolamente entra in ciascuno e ciascuna di noi: la tentazione dell’indifferenza, dello smettere di interrogarsi, di indignarsi e di soffrire, la tentazione di negare la propria responsabilità sulla Terra, fino a quella più invischiante e pericolosa, la tentazione di lasciare Dio.

La prova dunque esiste, non possiamo che accettarlo: perché il dolore, la sofferenza, il sopruso, esistono. Ma noi possiamo soccombere oppure no. Noi possiamo resistere oppure no. Non si tratta di eroismo, non si tratta di essere campioni o peggio addirittura di magnificare il dolore, di considerarlo una cosa buona, utile per la nostra salvezza, o meritorio; si tratta di non crollare sotto il peso delle nostre esistenze. Delle nostre esistenze che sono sempre sotto il segno del dolore, della fatica, del peccato. Perché la vista quotidiana del male può farci cadere nel disfattismo, nella rassegnazione  o  nell’indifferenza. Come se non ci fosse nulla da fare e quindi noi non potessimo fare nulla, o, addirittura, come se la presenza, tenace, del male ci portasse piano piano a disinteressarci di Dio. Ci portasse a non credere che Dio sia Amore e che voglia l’amore per tutti e tutte noi. Ci spingesse a pensare che forse non può esistere Dio se siamo circondati da tanto orrore.  La richiesta, quindi, non è di sottrarci alla fatica del vivere, ma di aiutarci a restare in piedi, aiutarci ad esserci con la nostra forza, quando nella prova c’è qualcuno a noi vicino, aiutarci a non inchinarci ai tanti signori che ci tentano e ci inducono, loro sì, in tentazione.

Il Padre Nostro non è dunque una preghiera liturgica da ripetere durante il culto, ma è un programma di vita che ci ricorda che senza il Signore non possiamo nulla, ma, contemporaneamente, che siamo già col Signore e di nulla quindi dobbiamo temere. Una preghiera che ci indica la luce quando ci sentiamo nelle tenebre, una preghiera da dire insieme a chi è nelle tenebre e ci chiede aiuto per uscirne. Siamo in grado di farlo? Siamo in grado di affidarci con piena fiducia a questo Signore che ci ha chiesto di chiamarlo Padre?

Chiedere di non essere esposti alla tentazione, dunque, non significa sperare che la tentazione non ci sia, ma chiedere di essere più presenti a noi stessi, più consapevoli della presenza del Signore, del fatto che Gesù ci vede, è al nostro fianco e ci viene incontro. Significa non accontentarci del nostro tiepido vivere: se parliamo di Provvidenza, di aiuto che il Signore ci offre dobbiamo riflettere se ci crediamo oppure no, se parliamo di sequela del Signore, dobbiamo capire se siamo veramente nella sequela o se invece sopravviviamo con il nostro comodo tran tran. Siamo aperti all’ascolto della volontà del Signore? Abbiamo davvero voglia di chiedere a Dio che ci indichi la strada? O ci siamo talmente abituati al male, che non ha più molto senso per noi dire “liberaci dal Male”, se non nel senso piccolissimo, del liberaci dal male che potrebbe colpire chiunque di noi in qualsiasi momento? Il Padre Nostro ci aiuta a ricordarci, anche, che il Male esiste ed è qualcosa che è dentro di noi e che noi possiamo alimentare e far crescere come una pianticella o cercare di sradicare come un’erba cattiva.

Siamo tutti e tutte consapevoli che continueremo ad affrontare per tutta la vita il male, in un lungo percorso, talvolta leggero e talaltra pesante ed accidentato, durante il quale chiederemo al Signore di non esporci alla Tentazione di vivere senza porci domande, in un qui ed ora forse poco appagante, ma che non ci angoscerebbe, non ci interpellerebbe, non ci metterebbe in discussione continuamente; avremo sempre bisogno di chiederGli di non esporci alla tentazione di vivere senza di Lui. Infatti dire “Signore dove sei, perché mi hai abbandonato”, non è essere caduti nella tentazione, ma non interrogarci più e vivere la nostra vita normale, magari piena di buone azioni, piena di buoni sentimenti, bei sermoni e belle preghiere, ma senza Dio, è cadere nella tentazione e dunque, o Signore, non esporci alla tentazione, ma liberaci dal Male.   Amen!

Erica Sfredda