Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 10 AGOSTO 2014 (Dt 6,4-9; Ef 5,8-14; Mt 5,13-16)

Il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità
Sale e luce

Bontà, giustizia, verità. Quanto è difficile per noi esseri umani, uomini e donne, capire cosa siano la bontà, la giustizia e la verità! Figuriamoci poi vivere in modo tale che tali frutti siano evidenti e ci rendano testimoni! Eppure mi pare che sia proprio questo il senso dei passi che le Losungen ci hanno suggerito per oggi, vediamo di esaminarli più da vicino.
Nel passo di Matteo Gesù si rivolge ai discepoli, cioè alla comunità dei credenti, quindi a tutti noi, non come singoli, presi individualmente, ma come comunità. Quindi dobbiamo accogliere il messaggio di oggi come un annuncio rivolto a noi come popolo di Dio e già questo rappresenta una prima difficoltà: come fare ad essere tutti insieme sale e luce della terra? Noi evangelici che siamo così abituati all’individualismo, alla responsabilità personale, siamo in questo caso chiamati ad una responsabilità collettiva. Voi, miei discepoli, voi che mi ascoltate, voi che avete fede in me, non tu che sei tanto bravo, tu che hai capito tutto, tu che possiedi le chiavi della conoscenza, no, voi che siete qui davanti a me e cercate una parola che vi dia una direzione, voi accomunati da nient’altro che la fede in me, ricordatevi che siete sale della terra.
Siete, l’utilizzo dell’indicativo e non del congiuntivo, ci blocca e ci paralizza perché di fatto rappresenta un imperativo. Se avessimo trovato il congiuntivo, avremmo potuto cominciare a rilassarci: siate, cioè dovreste essere, il che darebbe spazio a tutte le nostre normali attenuanti. Sì, certo, dovremmo, ma siamo umani, siamo peccatori, e poi c’è il lavoro, la famiglia, le difficoltà quotidiane. Sì certo dovremmo essere il sale, ma si sa, e Gesù certo lo sa più di noi, non sempre si può seguire in tutto e per tutto quello che il Vangelo dice. E così avremmo edulcorato e ingentilito questo passo che come tutte le beatitudini viene più volentieri interpretato come un insieme di massime etiche e mai preso sul serio. Ma invece non c’è la possibilità, l’esortazione: qui l’uso dell’indicativo indica che ogni cristiano è chiamato personalmente a essere sale e luce, vivendo questa vocazione all’interno della sua comunità, in un lavoro collettivo. Quindi il nostro primo compito e riconoscerci come fratelli e sorelle e guardarci l’un l’altro attraverso Dio, in una sorta di visione indiretta che ci permette di vedere che anche l’altro è fatto ad immagine di Dio, per quanto ci sembri diverso da noi che forse ci eravamo eletti come metro per giudicare di che pasta fosse l’immagine di Dio. Noi, quindi, accomunati dalla nostra sororità e fraternità siamo qui riuniti perché siamo il sale della terra.
Essere il sale della terra significa avere un ruolo determinante nella storia che siamo chiamati a vivere: abbiamo infatti il ruolo, la funzione di salare la terra, cioè di darle sapore. Vi è mai capitato di mangiare cibo totalmente sciapo e poi di aggiungervi il sale? E’ incredibile, perché poi il cibo salato non sa di sale, ma è il cibo stesso che acquista sapore: la pasta che prima non sapeva di nulla, poi sa di pasta, l’insalata di insalata e così via. Il sale è discreto, non è come una spezia, che insaporisce con la propria precisa identità le nostre ricette, no, il sale non si sente, ma è determinante nel dare consistenza e sostanza ai sapori. L’argomento è evidente e talmente spesso esaminato, da essere diventato banale e abusato. Ma non dobbiamo permettere ai passi più conosciuti di diventare vani. Non dobbiamo dimenticare che se ci conformiamo completamente al mondo e alla sua saggezza, diventiamo utili quanto il sale che sia diventato insipido. Siamo, non dovremmo essere, siamo il sale della terra, cioè dobbiamo dare una nostra impronta alla terra. Ma quale impronta? Storicamente il cristianesimo ha avuto due disastrose tentazioni: o quella di imporsi non in quanto sale, ma in quanto istituzione di potere, in modo autoritario, grazie alla forza, quando non al dominio violento, oppure di annacquarsi e diluirsi al punto da non essere più riconoscibile, mimetizzandosi nella massa, nel buon senso comune, perdendo la propria identità e quindi la propria essenza.
Ma il passo di Matteo non si ferma qui e ci dice che non solo noi siamo il sale, ma addirittura la luce del mondo. Dico addirittura perché, come ben sappiamo, essere la Luce è un attributo di Dio. Naturalmente Gesù non intende dire che noi siamo Dio, ma ricordarci che la comunità dei credenti deve proclamare instancabilmente che Cristo è il Signore, cioè non deve accontentarsi di affermare banalità teologiche, luoghi comuni, o norme etiche, ma deve manifestare la vita del Signore nella sua propria. Essa deve annunciare la luce e per far ciò deve essere luce lei stessa, pena di diventare come una lampada messa sotto il letto e di diventare invisibile, inutile, buona, come il sale, solo per essere buttata. Una pila che non funziona non può che essere gettata, a cos’altro può servire?
Perché siamo sale e luce? Perché solo così possiamo essere testimoni del Padre nostro che è nei cieli. Purtroppo quante volte il cristianesimo non solo non è stato testimone di Dio, ma addirittura ha scandalizzato e allontanato tanti uomini e donne. A tutti noi sarà capitato di dover difendere il cristianesimo dagli attacchi degli atei razionalisti. La loro forza non è certo nella loro cieca fede nella razionalità umana e tanto meno nel loro fanatismo, ma nel fatto che a prova della negatività della fede cristiana possono portare esempi su esempi. Pensiamo alle crociate, ma anche alle benedizioni che tanti preti e pastori hanno dato alle azioni più efferate dell’umanità (dallo schiavismo al delirio della shoa, solo per citare i due primi esempi che mi vengono in mente) e chiediamoci che razza di testimonianza siamo stati in grado di dare al mondo che aspettava da noi una parola forte, una testimonianza viva.
Gesù ci chiede invece di risplendere davanti agli uomini. Risplendere, non emanare un fioco chiarore, questo verbo ci ricorda la notte di Natale, avvolta nel buio e nelle tenebre e nella quale appare, splendente in cielo, la cometa. Noi siamo in grado di risplendere come quella stella nella notte che ci circonda? Siamo capaci di dire una parola efficace nelle tante tragedie che ci circondano o ci siamo vaccinati e non sentiamo più i pianti dei bambini, le urla disperate delle madri e dei padri, il dolore di tanti fratelli e sorelle nel mondo che cercano solo una parola di speranza, una parola che sappia coraggiosamente essere testimone dell’amore del Padre Nostro che è nei cieli.
Perché come dice Paolo, in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce – poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità.
Bontà, giustizia e verità. Non si tratta quindi di accontentarsi di pensare da credenti, di pregare nel chiuso delle nostre stanze e chiese, ma di buone opere e quindi di agire, prendere posizione, correre il rischio di sbagliare e di cadere, ma nella certezza di non essere soli e di poter contare sempre sull’aiuto di Dio.
Eh sì, perché questa è l’espressione che usa Gesù, “padre vostro che è nei cieli”, come nella preghiera che ci ha insegnato. Padre, quindi vicino, amorevole, presente, ma nei cieli, infinitamente distante da questo mondo martoriato dal dolore, dall’odio, dalle guerre, in una parola dal peccato, il nostro peccato.
Questo genitore amorevole ci chiama e ci ricorda, instancabilmente, che noi siamo sale e luce sulla terra, che non dobbiamo avere timore, perché questa non è una possibilità, ma è la nostra realtà perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza e il nostro ruolo qui sulla terra, è operare concretamente affinché chi ci vede sia trascinato dal nostro amore e dalla nostra forza a riconoscere in Gesù il suo Signore e Salvatore. Amen

Predicazione a cura di Erica Sfredda, Predicatrice locale della Chiesa Evangelica Valdese di Verona