Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 11 AGOSTO 2013 (Giona 3:1-5,10; 4:1-4,10-11; Col 3:11-15 testo di predicazione: Lc 18:9-14)

Non esiste alcun “giusto” nel quale identificarci, né alcun “peccatore” dal quale prendere le distanze

In questa parabola, certamente una tra le più note e le più citate dei vangeli, Gesù si conferma profondo conoscitore della psicologia umana. Se ci pensiamo, infatti, ci rendiamo facilmente conto che uno dei nostri giochi preferiti consiste nel paragonare persone, cose, esperienze. Questa logica del confronto a due termini finisce sempre per portare a una valutazione, a un giudizio, positivo o negativo che sia. Ecco, in questa parabola Gesù utilizza appunto questa logica. Chi sono le due persone poste a confronto? Un fariseo e un pubblicano. Sono termini che ovviamente ci sono familiari, dei quali conosciamo il significato grazie alla nostra formazione religiosa e alla nostra familiarità con la Bibbia, ma che ci dicono qualcosa solo se li collochiamo in un determinato ambiente e in un determinato periodo storico; dal punto di vista della nostra esperienza personale questi termini non sono gran che significativi. Non è difficile, tuttavia, sostituirli con altre espressioni, indicative di altri tipi umani: potremmo parlare, per esempio, di un membro di chiesa fervido e osservante e di un credente che in chiesa si fa vedere poco; al di fuori dell’ambito religioso, potremmo parlare di una persona per bene e di una persona dalla reputazione e dalla moralità discutibile, e così via. La parabola ci presenta, comunque, due persone che sono una l’antitesi dell’altra quanto a rigore di comportamenti e a stile di vita. Da una parte c’è il fariseo osservante, sicuro della purezza dei suoi riti e delle sue pratiche religiose. Indubbiamente non è un personaggio simpatico: ci colpisce subito, sgradevolmente, per la sua arroganza spirituale, per il suo autocompiacimento. Ma non abbiamo alcun motivo, né alcun diritto, di dubitare della sincerità della sua fede e del fatto che risponda a verità ciò che egli dice di sé stesso in quella preghiera che è la modifica di una comune preghiera rabbinica (“Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come…”); non abbiamo diritto di dubitare, cioè, che le pratiche di devozione del fariseo vadano addirittura al di là di ciò che impone la legge. Dunque: da una parte, un uomo antipatico ma integerrimo. Dall’altra parte il pubblicano, l’incaricato della raccolta delle tasse. Ricordate? era il mestiere esercitato da Levi quando, come raccontano tutti e tre i sinottici, ebbe la sorpresa di sentirsi chiamato da Gesù. Anche Levi, come tutti gli esattori delle tasse, era considerato persona moralmente riprovevole: persona da evitare in quanto impura dal punto di vista religioso, collaborazionista con un governo straniero dal punto di vista politico. Due personaggi antitetici, si diceva. Sarebbe quindi facile prendere partito per l’uno o per l’altro. Sarebbe facile dire: io sono come il fariseo perché vado al culto, leggo la Bibbia, verso le contribuzioni, svolgo anche qualche incarico all’interno della chiesa. Sarebbe altrettanto facile dire: io sono come il pubblicano perché vado in chiesa non nei giorni destinati al culto, ma quando ne sento l’esigenza; certo, mi sento peccatrice e inadeguata, ma confido profondamente nella misericordia del Signore. Istintivamente, anzi, direi che tutti noi tendiamo a sentirci più vicini all’umanissimo pubblicano, consapevole dei propri limiti e delle proprie inadempienze, piuttosto che all’inappuntabile fariseo. Istintivamente, dunque, tendiamo a trovare in questa parabola una conferma del tipo di fede “disinvolta” che a tanti, forse a tutti noi in fondo in fondo piacerebbe tanto poter praticare: basta con il ritualismo e le regole rigide, evviva il perdono dei peccati per tutti i credenti. In altre parole: “O Dio, ti ringrazio perché io non sono come altri cristiani, come quel cattolico là, per esempio, vincolato ai dogmi e alle imposizioni di una chiesa intransigente; ti ringrazio perché sono protestante, e quindi libero dalle norme, dalle restrizioni, dall’osservanza”. Certo, è sempre possibile leggere i testi biblici in questo modo, cioè cercandovi l’indicazione di un modello di vita da condurre, di via da seguire, di scelte da compiere. Eppure una tale lettura che privilegia un modello contro un altro rimane abbastanza sterile. Una volta che abbiamo detto “Questo atteggiamento è corretto, quest’altro è sbagliato”, non abbiamo arricchito né la nostra fede né la nostra spiritualità. A lungo andare la terra del nostro essere credenti diventerà secca, arida. incapace di dare nuovi frutti. Sono convinta, in realtà, che questo testo biblico ci dia l’opportunità di superare una lettura basata solo sul confronto e sul giudizio. Partirò dalla fine, là dove Gesù dichiara: “chiunque si innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato” (v. 14). Un’evidenza: Gesù condanna l’arroganza del fariseo e invece loda l’umiltà del pubblicano. Eppure credo che con questa espressione Gesù non proponga un’antitesi tra un comportamento da condannare e un comportamento da riscattare; perché sono convinta che la logica di Gesù è altra cosa dalla logica nostra. E’ assolutamente vero, il nostro testo biblico gioca su varie antitesi: il fariseo/il pubblicano, innalzare/abbassare, parlare dentro di sé/parlare ad alta voce, ecc. Accanto a queste antitesi, ci sono anche delle azioni comuni ai due protagonisti: tutti e due salgono al Tempio di Gerusalemme per pregare; tutti e due si rivolgono a Dio nello stesso modo anche se la loro preghiera è diversa. Eppure, Gesù non è più di tanto interessato al contrasto tra i due uomini; cerca, piuttosto, di chiarire qualcos’altro. In sostanza Gesù dice, certo, che anche il pubblicano avrà accesso alla salvezza, non solo lui però, anche il fariseo. La parabola apre la prospettiva del regno a tutti: perché non c’è un solo modo di vivere la fede e la relazione a Dio, le modalità sono varie quanto sono varie le persone. Questa è una realtà che fa parte, se ci pensiamo, della nostra quotidiana esperienza dell’essere chiesa, del fare chiesa, del costruire la chiesa. È una realtà nota a tutti noi, ma alla quale talvolta non prestiamo sufficiente attenzione. Che cosa voglio dire, in sostanza, sulla scorta di questa parabola? Voglio dire che la fede è personale e quindi estremamente variegata. La comunità, la chiesa, la famiglia dei credenti si può paragonare a un grande mosaico. Nel testo di Luca questa diversità si esprime nel movimento. I due protagonisti salgono al Tempio e dopo aver pregato scendono di nuovo alla “pianura” della loro vita quotidiana. Ma la fede si esprime, prende forma, sia nel salire sia nel discendere, la fede si trova nel movimento incessante, nella varietà dei ritmi, nell’alternanza del fervore e della freddezza. Il fatto che il fariseo e il pubblicano, così diversi dal punto di vista della loro spiritualità, debbano salire e scendere indica che, al di là delle differenze pur profonde, c’è innanzitutto un movimento della fede, cioè cammini e velocità diversi per raggiungere una meta comune. Oggi, come spesso in passato, le nostre chiese si trovano di fronte alla stessa situazione. Sono sempre in agguato il rischio di divisione, la tentazione di stare solo con coloro che la pensano come noi. Credo che il testo di oggi ci inviti invece a condividere le differenze, a vivere una vera comunione in Cristo, una comunione che rispecchi la complessità della vita e dell’essere umano. Credo che voglia invitarci a vedere la chiesa – a costruire la chiesa – come una comunità gioiosa di credenti molto diversi che hanno voglia di vivere insieme la fede e le sue promesse. Come una comunità che cerca di vivere secondo la grazia di Dio e non secondo le regole del mondo Come una comunità che parla, dialoga, ascolta e si astiene dal criticare, giudicare e sparlare degli altri. Come una comunità, insomma, che cerca di conformarsi al modello tratteggiato nella lettera ai Colossesi, una comunità nella quale convivono, in spirito di reciproca accoglienta, credenti tanto diversi quali il greco e il giudeo, il barbaro e lo scita, lo schiavo e il libero. Una comunità che sa condividere i momenti gioiosi e i momenti tristi, e anche gli interrogativi e i dubbi, in uno spirito che supera le divisioni e invita tutti al tavolo della grazia e della libertà. Grazia e libertà. Ecco, questo mi sembra il punto centrale di questa parabola che certamente, quando Gesù la raccontò, costituì uno shock per i suoi ascoltatori: nell’ambito della comunità giudaica, se qualcuno dal Tempio non doveva tornare a casa giustificato, questo qualcuno poteva essere solo un esattore delle tasse. Ma anche per noi – se, come si diceva, i due protagonisti della parabola sono visti come normali membri di una normale comunità, senza etichette né pregiudizi – la parabola costituisce uno shock, un trauma che insieme ferisce e benedice. Perché questo racconto di null’altro parla se non della giustificazione divina dei peccatori e del fallimento finale di ogni autogiustificazione. La dottrina della gratuita e libera giustificazione del peccatore da parte di Dio: è la dottrina al centro del nostro modo protestante di vivere il cristianesimo, certamente, ma a ben guardare è una dottrina che percorre tutta la Scrittura. È il nucleo, tra l’altro, di quel racconto delizioso che è la missione di Giona a Ninive. Anche nel caso di Giona, la grazia che Dio riversa sui peccatori è uno shock, una sorpresa scandalosa. Sorelle e fratelli: che nessuno lasci questo luogo di culto pensando “Ti ringrazio, o Dio, che non sono come il fariseo”. Accettiamo questa realtà: non esiste alcun “giusto” nel quale identificarci, né alcun “peccatore” dal quale prendere le distanze. Siamo tutti un po’ Giona, un po’abitanti di Ninive. Siamo tutti un po’ fariseo e un po’ pubblicano. E nessuno è un essere spregevole: né Giona né i niniviti, né il fariseo né il pubblicano. Ma, al tempo stesso, nessuno è un eroe della fede. Per ciascuno di noi, ciò che veramente conta non è più la nostra salita verso il Tempio, ma l’avvicinarsi di Dio che ci rimanda a casa come donne e uomini liberi, resi liberi dal dono della sua grazia e dalla promessa del suo perdono. Che la nostra vita quotidiana, una volta usciti dal Tempio, si svolga nel segno di questa certezza. Amen

Sermone a cura della nostra Pastora, Caterina Griffante