Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 24 MARZO 2013 (DOMENICA DELLE PALME) (Ez 36:24-27; 1 Gv 5:19-21; Gv 17:14-16 testo di predicazione)

“Io non sono del mondo”

I versetti del vangelo di Giovanni sui quali siamo invitati a soffermarci oggi fanno parte della cosiddetta “preghiera sacerdotale”, a sua volta incastonata in quelli che vengono chiamati i “discorsi dell’addio”, quell’insieme di capitoli (dal 13 al 17) che fanno da cerniera tra la vita trascorsa di Gesù e il precipitare degli eventi: l’arresto, la condanna, la croce e poi la risurrezione. Nei discorsi che fa Gesù c’è il suo addio, il suo congedo; e in questi discorsi egli parla di sé, del Padre, dei discepoli, del mondo. Ecco: è proprio su questa parola “mondo” che vorrei soffermarmi, questa parola che è così controversa nella vita cristiana. Una parola quasi lacerata tra amore e odio: perché, da un lato, la fede cristiana si fonda su un evento, la risurrezione, che è il trionfo dell’amore di Dio per il mondo, per la vita; d’altro lato, in tutto il Nuovo Testamento, e in particolare negli scritti giovannei, ricorre il tema dell’incompatibilità tra discepolo di Gesù e “mondo”. Questo si spiega con motivazioni storiche: respinti come eretici dalla loro comunità di origine, la comunità giudaica, i cristiani nel mondo romano non godono più di quella tutela legale che l’appartenenza all’ebraismo poteva assicurare e si trovano dunque bersaglio di una doppia opposizione, di una duplice ostilità: quella ebraica, e quella della Roma pagana. Certo, è vero che in Giovanni il termine “mondo” viene anche usato in modo positivo, o quanto meno neutro: si parla del “mondo” nel quale Gesù è stato mandato dal Padre, del “mondo” del quale Gesù è la luce. Tuttavia, è innegabile che in Giovanni il mondo appaia molto spesso come realtà negativa, che sembra solo capace di odiare: “il mondo li ha odiati”, dice qui Gesù a proposito di coloro che lo seguono. Anche altrove in Giovanni troviamo questa strettissima correlazione tra “mondo” e “odio”, in modo particolarmente drammatico e quasi ossessivo in Gv 15: 18-25 (“Se il mondo vi odia … Perciò il mondo vi odia … Chi odia me, odia anche il Padre mio … Mi hanno odiato senza motivo”). Sì, sono affermazioni forti, drammatiche. Ma domandiamoci sinceramente, sorelle e fratelli: ci sentiamo veramente toccati, coinvolti personalmente da queste parole di Gesù? Non tendiamo piuttosto a leggerli, questi versetti, come testi molto suggestivi e belli sotto l’aspetto letterario, ma privi di effettivi riscontri nella nostra vita, nella nostra esperienza quotidiana? In effetti, oggi non possiamo proprio dire che Gesù sia una figura “odiata”, almeno nell’Occidente, né che i cristiani siano odiati e perseguitati; è chiaro, ripeto, che queste considerazioni valgono per il nostro Occidente, perché la situazione altrove è ben diversa, e basti pensare a ciò che avviene in certi Paesi africani. Ma adesso non guardiamo agli “altri”: siamo noi, proprio noi tranquilli cristiani occidentali, noi tranquilli cristiani di Padova, che il vangelo di questa domenica intende interpellare direttamente. E per quanto riguarda noi, ripeto, possiamo affermare che né il cristianesimo né i cristiani sono oggetti di odio. Difficile insomma affermare che la nostra società sia contrassegnata da “odio” per Dio. A me sembra, tuttavia, che se anche Dio non è odiato, pure sia rifiutato. Non vedo in giro un particolare odio nei confronti di Dio; vedo, piuttosto, rifiuto. Un rifiuto che talvolta, è vero, assume i tratti della negazione passionale da parte dell’ateo militante, ma ben più spesso è un rifiuto inespresso, e quindi un rifiuto più subdolo: un rifiuto che assume i tratti dell’idolatria. Sì, dell’idolatria: perché quando non si fa posto a Dio, questo posto viene occupato dagli idoli. Naturalmente nessuno ammetterà di essere idolatra, perché l’idolatria oggi non ha più le caratteristiche che aveva nell’antichità. Eppure, basta guardare le nostre vie, le nostre case, i nostri giornali, le nostre riviste, la nostra televisione, le nostre pagine Facebook e Twitter, tutta una serie di manifestazioni assolutamente innocue che sono ormai entrate a far parte del nostro modo di vivere, senza le quali anzi non potremmo più nemmeno immaginare di poter vivere – basta guardare tutto ciò (guardarlo ovviamente avendo occhi per vedere, guardarlo appunto senza lenti “mondane”) per scoprirvi un sottile ma ben radicato culto dell’idolo, degli idoli. Direi che questa è la manifestazione più probante di quel rifiuto di Dio che caratterizza così profondamente il nostro tempo. Potreste domandarmi: ma in fin dei conti dove li vedi, nella nostra vita quotidiana, tutti questi idoli? Risponderei, semplicemente, così: vedo dappertutto il “mondo” che vuole farsi Dio. E proprio questo mi sembra essere il significato del termine “mondo” in questi versetti giovannei, e in generale nella prospettiva del quarto vangelo: “essere del mondo” significa negare, in quanto esseri umani, di essere creature di Dio, di un Dio Padre; negare la propria filialità, in sostanza; negare quindi la propria creaturalità e assumere una posizione di auto-creazione – sono io che mi creo, sono io il creatore di me stesso –, una posizione di autonomia nel senso letterale della parola: sono io legge a me stesso, sono io che mi faccio la legge. Questo è il mondo; e questo è il motivo per cui nella prima lettera di Giovanni risuona forte l’ammonizione: “Guardatevi dagli idoli!”. Ma Gesù non è del mondo, appunto perché fa riferimento non a sé stesso ma al Padre, perché è venuto a portare non una parola propria, ma la parola del Padre. Anche i discepoli di Gesù, quindi – è Gesù stesso ad affermarlo esplicitamente –, “non sono del mondo”. E di questo essi sono ben consapevoli. Si delinea dunque per loro una tentazione che certamente fu molto forte nella comunità giovannea, ma che ha minacciato e continua a minacciare tutta la comunità cristiana nel corso della sua storia: la tentazione che potremmo definire “settaria”, la tentazione di costituirsi come isola felice popolata da gente virtuosa e soddisfatta, perché si sente “salvata”, prediletta da Dio. In mezzo a un mondo che va in rovina, o che comunque va per la sua strada, può presentarsi come un’opzione molto attraente quella di dire: io me ne separo, da questo mondo, cerco la mia personale salvezza, al massimo segnalo al mondo che sta andando in rovina, ma non me ne occupo, non voglio averci niente a che fare. Invece non è questo che Gesù dice in questa pagina di Giovanni. Gesù qui dà, piuttosto, due indicazioni. La prima è appunto quella di non fuggire dal mondo, di essere nel mondo e non fuori, non oltre, non accanto, non sopra il mondo, ma nel mondo: “Non prego che tu li tolga dal mondo”, dice infatti Gesù al Padre. Ma poi soggiunge, e questa è la seconda indicazione: “ma che tu li preservi dal maligno”. Questo che cosa significa? Significa che Gesù vuole che i suoi discepoli, essendo nel mondo, cioè pienamente inseriti nel processo storico, non si “mondanizzino”: cioè non si facciano dettare regole, criteri, stili di vita, dal “mondo”, cioè dalla cultura, dall’economia, dalla politica del tempo e del luogo in cui si trovano a vivere. Perché è proprio del mondo dire “no” a Dio per seguire una propria logica, per seguire proprie regole, che non sono la logica e le regole di Dio. Ecco perché Gesù presenta il “mondo” come nemico: perché è incompatibile con la parola del Padre. Se guardiamo alla storia della comunità cristiana nel corso dei secoli e dei millenni, vediamo che queste due indicazioni non sono state molto seguite, dato che si sono verificati proprio i due fenomeni che Gesù voleva evitare. Da un lato ci sono stati ricorrenti forme di “fuga dal mondo” con la creazione di comunità cristiane in qualche modo “separate” dal mondo: tutte le varie sètte, ma in fondo anche le comunità monastiche. Dall’altro lato, si è verificato il fenomeno della mondanizzazione della Chiesa. Pensiamo soltanto al grande evento che viene conosciuto sotto il termine (non molto esatto, devo dire, dal punto di vista storico) di “svolta costantiniana”: la Chiesa pienamente integrata nelle strutture imperiali, che finisce per diventare l’unica espressione religiosa ammessa nell’impero. Ebbene, guardando le cose dal nostro osservatorio italiano, veneto, padovano, direi senza esitazione che, almeno qui, attualmente è questa seconda tentazione a prevalere, la tentazione della “mondanizzazione” della Chiesa. Questa “mondanizzazione” la definirei più o meno così: riuscire a essere in buoni rapporti, a farsi tenere in considerazione, a farsi apprezzare, a farsi corteggiare, anche, da coloro che in qualsiasi modo detengono o rappresentano il potere, anche se si tratti di non credenti (pensiamo al singolare fenomeno dei cosiddetti “atei devoti”). Qualsiasi potere, anche un minuscolo potere, in qualsiasi ambito: politico, culturale, economico. Riuscire a essere un tassello, ma un tassello importante, irrinunciabile, nelle strutture del potere. Ovvio che raggiungere questo obiettivo ha un prezzo: il prezzo, appunto, di rinunciare alla logica di Dio in favore della logica del mondo; di abdicare, quindi, a quello che è il compito primario del cristiano, annunciare e testimoniare l’Evangelo. Il quale Evangelo non può essere che scomodo, altrimenti non sarebbe l’Evangelo di Dio, sarebbe un evangelo tutto umano. Immagino, adesso, un’altra vostra obiezione: tutto vero, ma è la Chiesa di Roma quella che ci stai descrivendo, non la nostra realtà di Chiese protestanti, povere, umili e fedeli al Signore. Rispondo: ne siamo proprio sicuri? Siamo sicuri di essere al riparo da ogni tentazione di mondanizzazione solo perché siamo una piccola Chiesa minoritaria? Non capita mai, a noi – forse proprio per il fatto di essere una piccola Chiesa minoritaria – di cercare, a livello individuale o comunitario, di essere ben accetti, bene integrati nella società (nel “mondo”) che ci circonda, e a questo scopo di rinunciare alla testimonianza che può renderci invisi, di glissare su temi che possono risultare ostici al “mondo”; talvolta, forse, addirittura arrivando al punto di nascondere la nostra identità di credenti evangelici; e tutto proprio per questo, perché abbiamo paura che il mondo “ci odi”? Si chiama idolatria tutto questo, sorelle e fratelli, e nessuno di noi può sentirsene al sicuro. Che il Signore ci venga in aiuto con il suo Spirito, che sostituisca – come dice Ezechiele – il nostro cuore di pietra con un cuore di carne, un cuore vivo, appassionato, in grado di sfidare l’odio del “mondo”.

 Sermone a cura della nostra Pastora, Caterina Griffante