In ascolto: Un giorno una parola – lunedì 23 marzo

Il Salmista afferma: Noi e i nostri padri abbiamo peccato, abbiamo mancato, abbiamo fatto il male (Salmo 106,6). Quanto è difficile accettare di aver fatto del male! Quante scuse troviamo per giustificare il nostro agire, che sarebbe determinato dalla società, dalla cultura, da mille altre cose … da me? – No, non da me!

Il primo passo verso il riconoscimento di questa realtà è vedere il male che provoco ogni giorno. Accettare la mia debolezza. Rendermi conto del peccato, della distanza profonda tra me e Dio.

Il secondo passo è la ricerca di una soluzione, una cura, che però non posso trovare in me stesso. Per questo il secondo versetto, che è tratto dal vangelo secondo Marco (2,17), ci aiuta a proseguire nel pensiero.

Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” Se accetto di essere malato, di essere una persona che sta male perché fa del male, allora riconosco anche di avere bisogno di un medico; e l’unico che può guarire la malattia del peccato è Gesù Cristo. Lui è venuto in questo mondo per sanare, per salvare, per farsi carico del nostro peccato sulla croce e annegarlo nel profondo del mare.

Io ho bisogno di questo medico. La nostra società e il nostro mondo hanno bisogno di questo medico.

Il catechismo di Heidelberg chiede nella seconda domanda che cosa si debba sapere per poter vivere e morire felicemente. La risposta è: tre cose. Uno: quanto grande è il mio peccato. Due: come vengo redento, cioè curato da questo peccato. Tre: in che modo devo essere grato a Dio per questa redenzione.

La gratitudine verso Dio conclude il percorso. Accettazione della miseria. Redenzione dalla miseria. Gratitudine. – Così si può vivere e morire felicemente.

Ulrike Jourdan