Sermone: La via verso la vita

Qualcuno di voi sa che per anni ho fatto campi scout. Uno dei grandi eventi nei campi è sempre la scampagnata di due giorni. Vuol dire che iniziamo una mattina andando nel bosco in piccoli gruppi e finiamo la sera del giorno successivo. La sfida è trovare la via giusta con una carta in mano che è stata fotocopiata mille volte e sulla quale non si vede più niente e con una bussola nell’altra mano che non riesce mai ad indicare correttamente il nord. Può essere molto faticoso trovarsi nel bosco con dieci bambini che non hanno più voglia di camminare e non hai idea di dove ti trovi. Questo vuol dire anche che non hai idea di dove trovare il tuo pranzo e non sai dove hanno portato i sacchi a pelo per la notte.

Per questo ci sono in quel gioco anche dei personaggi che dovrebbero aiutare e indicare la via giusta con delle frecce. Ma nuovamente c’è il problema che non tutti gli scout sono proprio dei campioni a leggere una carta. Per questo ti può capitare che hai uno davanti che lascia bellissime frecce che si trovano facilmente, ma si va comunque nella direzione sbagliata.

Prima che vi chiediate perché vi racconto le mie avventure da giovane scout proprio la mattina della Pasqua, vi leggo il testo della predicazione per oggi.

Si trova nella prima lettera di Paolo ai Corinzi 15,1-11

Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi,  2 mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l’ho annunziato; a meno che non abbiate creduto invano.  3 Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture;  4 che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture;  5 che apparve a Cefa, poi ai dodici.  6 Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti.  7 Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli;  8 e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto;  9 perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio.  10 Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me.  11 Sia dunque io o siano loro, così noi predichiamo, e così voi avete creduto.

Com’è questa storia della via che si deve trovare? Dobbiamo trovare noi la giusta via per la nostra vita? Chi o che cosa potrebbe darci orientamento? Ci sono così tante persone in questo gioco che si chiama vita, che mettono delle frecce grandi e bellissime ma vanno nella direzione sbagliata. Da tutti i lati vengono persone che mi chiamano e vogliono tirarmi sulla loro via e alla fine mi sento come nel bel mezzo del bosco senza cartina e con una bussola che funziona male.

Dio vuole che troviamo una via in questa vita che porta verso di lui. Ma non lascia delle frecce grandi in giro che dovremmo seguire e solo se siamo fortunati arriviamo alla meta. Dio ha invece marcato questa via verso la vita mettendosi lui stesso in cammino. Egli stesso ha percorso in Gesù Cristo questa via. Così ha aiutato tante persone a intraprendere a loro volta questa via. E così questa via è diventata più larga e più visibile. Però la prima traccia, la linea direttrice sono le orme umane di Gesù Cristo. Questo solco non porta solo nelle aree piene di sole e poco faticose. Ci porta anche in zone difficili da percorrere. Porta addirittura alla morte, attraverso la morte e verso la vita.

Così Paolo lo testimonia di fronte alla chiesa di Corinto scrivendo: Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture. Paolo non ci propone una via semplice, non una via bella ma la via nella morte e attraverso la morte verso la vita.

Il punto confortante di questa via è che Gesù Cristo l’ha intrapresa e che non la dobbiamo percorrere da soli. Tanti altri sono insieme con noi su questa via. Tanti hanno già intrapreso la via e tanti la intraprenderanno ancora. Ma il vero criterio per riconoscere la correttezza di quella via non sono le masse, ma solo uno, Gesù Cristo!

Paolo non annuncia una fede che ognuno si deve inventare da solo. Rimane fedele a ciò che è già stato annunciato a lui e che egli stesso ha vissuto con il Cristo risorto. Il messaggio di Pasqua della via che attraversa la morte non propone una via che noi potremmo aprirci da soli, non con i soldi, non con la voglia, non con una tecnica speciale. Dobbiamo farcelo dire sempre di nuovo: Cristo è andato questa via per noi e noi non possiamo aggiungere niente. – Questo non significa comunque che noi ci dovremmo accomodare e aspettare che un altro faccia per noi. Significa invece che non ha importanza con quale velocità e determinazione camminiamo, è solo importante che abbiamo preso la direzione giusta. Il Dio d’amore, il nostro Dio che alla croce ha perso tutto il potere di questo mondo, il nostro Dio crocifisso è andato prima di noi su questa via. Egli ci sta davanti agli occhi e ci indica il sentiero verso la vita.

Paolo ci racconta di molti che hanno visto Gesù Cristo il risorto. Scrive che apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli. Quasi sembra che Paolo voglia sfidare i Corinzi a verificare il fatto storico della risurrezione. Non erano solo uno o due persone ad aver visto il risorto, erano più di 500 persone. Gesù non è apparso solo una volta ma per varie settimane in molteplici situazioni. Gesù si è fatto toccare da Tommaso che non poteva credere. E per chiarire che davanti a lui non c’è uno spirito o un fantasma Gesù si è fatto toccare le ferite. Paolo vuole dire con questa lista: la via che io vi esorto ad intraprendere non è solo immaginazione. Ci sono tanti altri che possono testimoniare che sia una via buona e giusta. Ci sono tante persone che testimoniano che non parliamo di chimere ma di realtà. E come l’ultimo dei testimoni si colloca anche Paolo nella fila dei tanti testimoni scrivendo: ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto; perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio.

Paolo da a se stesso quel titolo orrendo di aborto. Lui che è nato in una famiglia benestante, un ebreo col pedigree si considera un aborto di fronte a Dio perché quando si chiamava ancora Saulo perseguitava i cristiani. Solo dopo aver incontrato il risorto, ha cambiato vita. Così com’è successo a Paolo, così Gesù può parlare anche a noi e farci vedere la sua via. Forse non sarà così drammatico com’era sulla via verso Damasco per Paolo: vi ricordate che lui cadeva a terra e rimaneva cieco per diversi giorni. Non serve questo, ma il risorto ha tante possibilità per comunicare. Qualcuno vede in un attimo con molta chiarezza la sua via davanti a se. Altri sentono una voce fievole dentro di se che ricorda passo per passo come rimanere nella giusta direzione. Non fa differenza come Gesù parla a noi. La cosa importante da sapere: egli parla anche oggi, anche a noi così come parlava a Paolo 2000 anni fa.

Paolo chiede alla chiesa di Corinto: Avete riflettuto sulla fede che avete accettato? Avete meditato e siete in chiaro sul fatto che questa fede è una via che non basta vedere ma che bisogna intraprendere? La via della fede non si può guardare su una cartina se no uno si perde. La via della fede si scopre camminando e più e più che camminiamo, ci relazioniamo a Dio e questa via ci porta sempre più in comunione con Dio.

Noi non intraprendiamo questa via per noi stessi ma anche per percorrerla insieme a e per altri. Tutti quanti, donne e uomini che hanno incontrato Gesù Cristo il risorto, hanno anche ricevuto la vocazione di essere testimoni di questa via gli uni per gli altri. Tutti quanti siamo chiamati a fare dei passi con i nostri piedi nella direzione di Dio. E questo vuol dire passare la paura, passare le fobie e indirizzarsi verso la vita eterna e la salvezza perenne. Così la via di Dio rimane visibile attraverso i tempi, perché le persone seguono le orme di Gesù e si lasciano indirizzare dalla grazia.

E quando camminiamo e cerchiamo di essere testimoni, così scopriamo che Dio non è solo andato per questa via per primo, ma è anche oggi con noi sulla via nello Spirito Santo.

Questo è il mio augurio per noi in questo giorno di Pasqua che possiamo fissare lo sguardo su Gesù il risorto e fare poi dei passi nella fede, nella sicurezza che lui è al nostro fianco e che ci guida sulla via giusta.

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: ‘La crocifissione nel piano salvifico di Dio’

La grafica sudafricana Lindiwe Mvemve ha inciso quest’immagine nel 1958 quando aveva solo diciannove anni. Aveva appena iniziato la sua formazione artistica presso una scuola missionaria dove si affrontavano anche alcuni tra i più importanti temi biblici e le domande centrali della fede.

Questa giovane si chiedeva come Dio, il Padre, avesse potuto mandare il proprio Figlio nel mondo e, quindi, permettere la Sua morte sul Golgota per il nostro peccato. L’artista avrebbe potuto accettare tutto questo solo come parte integrante del grande piano che Dio ha per noi esseri umani, per la nostra salvezza. Solo così avrebbe potuto vedere un senso e un fine nell’agire di Dio.

Vediamo una figura che sovrasta tutti, che occupa quasi tutto il piano: questi è Dio. Di Lui  sono evidenti il volto nero, i capelli e la veste chiari, il braccio sproporzionato e la mano gigante. La postura della testa e gli occhi chiusi esprimono compassione e carità. In questo modo l’artista vuole farci capire che Dio non porta nelle proprie mani solo gli stenti e la morte di Suo Figlio ma anche quelli del mondo. Dio prova dolore per le sofferenze del mondo.

In questa  linoleografia Dio Padre porta il calice della Santa Cena nella Sua grande mano destra. Sul calice si vedono le afflizioni di Gesù sul Golgota. Gesù muore in croce circondato da due briganti. Come Dio Padre, Egli è raffigurato con la pelle scura, mentre i due ladri, l’uno alla Sua sinistra e l’altro alla Sua destra, sono bianchi. Sopra la croce si vede un angelo. Anche lui è nero. E’ il simbolo del conforto rispetto a tanta sofferenza. Poco più in basso, però, c’è la linea bianca del calice: l’orlo inferiore di questo sembra dividere il mondo terreno con Gesù crocifisso dal mondo celeste. Anche gli uomini inginocchiati davanti alla croce sono delle figure importanti. Anche loro hanno la pelle nera e indossano vesti bianche così come si usa ancora in tanti paesi africani in occasioni festa. Forse, si tratta di Maria e di Giovanni… o, forse, siamo noi, tu ed io! Infatti, un detto africano dice: “Ringraziare” significa sedersi davanti a Dio e gioire.

Tutte le figure positive hanno la pelle scura, mentre solo i briganti sono bianchi. Questa differenza rispecchia la dura realtà sociale nella quale viveva l’artista.

Per questa giovane donna è stato un conforto sapere che Dio porta le afflizioni del Figlio nelle proprie mani. E così come Gesù Cristo umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce (Filippesi 2,8) così anche lei avrebbe potuto sopportare l’oppressione politica e sociale, la “passione” in Sudafrica. È una consolazione sapere che nella sofferenza e nella paura siamo nelle mani di Dio, sapere che possiamo fidarci di Lui e che niente ci potrà mai strappare da questa Sua mano paterna.

E’ questo il messaggio che la nostra artista vuole trasmetterci con semplicità e forza: la misericordia di Dio è profonda e ineguagliabile la Sua lealtà verso di noi. Quest’immagine rende visibile ai nostri occhi una consolazione potente, quella di Dio. Dio è con noi e nulla può accadere contro la Sua volontà.

Sermone: Scopri l’eroe dentro di te

Vorrei parlare oggi con voi di persone che ci sono di esempio. Gli eroi dei nostri tempi. Persone che ammiriamo, che forse cerchiamo di imitare.

Ho letto un’intervista ad un giovane manager che a soli 22 anni ha già guadagnato il primo milione di euro. Ha parlato di quante ore lavora ogni settimana e facendo il conto mi veniva da pensare: “Quest’uomo, sembra che non dorma neanche”. Fa parte dell’immagine dell’eroe in economia. Dev’essere uno duro, che sa difendere la sua posizione. Non conosce nient’altro se non il lavoro e ogni avversità lo fa diventare ancora più determinato. Chi non lo segue sulla sua linea, farebbe meglio a cercarsi un altro lavoro perché viene comunque eliminato.

Sappiamo anche che questi eroi dell’economia o della politica talvolta cadono dalla loro stele. Sentiamo di quelli che intascano in abbondanza per loro stessi e non hanno più i soldi per pagare i dipendenti. Sentiamo di politici che fanno delle leggi che fanno più comodo a loro che non al popolo e sentiamo anche di diverse persone famose che non fanno sempre delle scelte eroiche.

Viviamo in una società che è diventata scettica riguardo agli eroi. Non crediamo più facilmente che qualcuno voglia farci del bene senza chiederci: “E che cosa guadagna lui?” Chi potrebbe oggi essere un esempio?

La risposta tipica che uno si aspetta in una predica sarebbe “Gesù Cristo”, lui è il nostro eroe. Ma a dire il vero penso che la maggioranza delle persone attorno a noi pensino che la fede in Gesù Cristo sia una tradizione antica, più una favoletta, un fatto culturale, qualcosa che serve ai bambini e agli anziani, ma niente di concreto.

E anche nella nostra chiesa che consideriamo più vicino alla società che non altre, dobbiamo accettare che non entrano le masse e soprattutto ci mancano i giovani. Dobbiamo accettare che tante persone pensano che un culto, sì, possa essere carino ma abbia poco a che fare con la dura realtà. Tante persone oggi sono convinte, che le decisioni veramente importanti non si prendano leggendo la Bibbia.

Proprio per questo vorrei parlarvi di Gesù Cristo. L’importanza che lui ha nella nostra vita non dipende della situazione della nostra società o delle chiese oggi. Gesù non ha mai dato tanta importanza a ciò che la gente attorno pensava, invece ha preso con sé quelli che erano pronti, dentro alla storia della salvezza. E questo vale anche per noi oggi.

Il testo della predicazione di oggi è il cosiddetto inno al Cristo. Un inno di lode all’eroe divino, all’esempio che i primi cristiani si sono dati. Leggo dalla lettera ai Filippesi 2,5-11

5 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù,  6 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente,  7 ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini;  8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.  9 Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome,  10 affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra,  11 e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

Questo inno ci presenta un eroe divino. Uno che è in forma di Dio, cioè risiede in cielo è forte e degno di essere adorato. Potrebbe rimanere lì e godersi la vita così come ci viene raccontato delle divinità greche che si godevano la vita nel loro Olimpo e non si scomponevano per ciò che succedeva in terra.

L’eroe del nostro inno è diverso. Non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente,  7 ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini. Non tiene egoisticamente ciò che ha. Non pensa a se stesso ma agli uomini che cercano salvezza, che gridano il loro bisogno di liberazione, che hanno bisogno di amore.

Quell’eroe divino Gesù Cristo intraprende la via della rinuncia. Rinuncia alla sua divinità e diventa umano. Ma non finisce qui, va oltre, soffre tutte le pene umane e muore in croce. Muore ancora giovane una morte di tortura, sbeffeggiato dal popolo, tradito dai suoi amici.

Ma lì al livello più basso, lì dove non si può scendere ancora di più, c’è la svolta. Dio il padre innalza Gesù Cristo il figlio che si era umiliato volontariamente. Il Padre assegna al figlio la posizione maggiore che si possa immaginare. Gesù Cristo diventa il sovrano del mondo così com’è ritratto anche in tanti quadri. Tutti gli uomini di tutti i tempi devono piegare le loro ginocchia davanti a questo sovrano. Ma l’onore non se lo tiene per sé, lo dà a Dio il Padre.

Questo inno al Cristo è un canto bellissimo dei primi cristiani. Con questo inno siamo molto vicini al fatto della risurrezione. Questo testo è uno dei più antichi che abbiamo nel Nuovo Testamento.

Paolo inserisce quest’inno nella sua lettera alla chiesa di Filippi e ricorda alla comunità: proprio così dovreste anche voi pensare, sentire e vivere. Ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, 4 cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. (Fil 2,3+4)

Gesù Cristo ha fatto una vita esemplare e questa sua vita è anche per noi oggi che ci chiamiamo cristiani, un esempio. Paolo scrive che dovremmo imitare Cristo. Dovremmo anche noi vivere una vita per gli altri.

Però non è proprio facile imitare un eroe. Sentendo questa esortazione uno si può sentire facilmente oberato, schiacciato. Chi si considera veramente un eroe? Gli eroi sono quelli delle mitologie, o forse li incontriamo oggi in TV o nei giornali o nei fumetti in versione disegnata. Eroi sono le persone con forza e denaro e reputazione. Spesso mi sento molto lontana da questi tipi. Di solito non mi sento molto eroica.

Vorrei fare venire a voi stamattina la voglia di svegliare l’eroe dentro di voi. Vorrei esortarvi come Paolo a vivere una vita eroica. Siamo richiamati come cristiani a vivere una vita che fa vedere il Cristo del quale portiamo il nome. Siamo chiamati a vivere una vita che lasci delle tracce. Se prendiamo questo sul serio, sarà quasi automatico che la nostra vita ci faccia diventare eroi. La vita stessa ci costringerà sempre di nuovo a fare una scelta eroica.

Mi piace sentire dei racconti di vita. Ascolto volentieri quando gli anziani parlano di ciò che era bello e anche dei periodi tristi che hanno vissuto. Talvolta c’è qualcuno che racconta degli anni duri, forse durante o poco dopo la guerra e dice: “Non so neanche come ho resistito in quel brutto periodo. Ma come per miracolo ho avuto la forza e sono contento e fiero che ce l’ho fatta ad adempiere al mio compito”.

Talvolta è la vita che ci mette davanti alla decisione di diventare o un eroe o un vile. L’eroe per gli altri: Gesù Cristo vorrebbe che anche noi scoprissimo l’eroe in noi e lui stesso ci assicura il suo aiuto in questi momenti.

Non è facile vivere una vita nella quale si fanno delle scelte diverse dal solito. Per questo abbiamo come forza la preghiera. Abbiamo la comunità che ci aiuta e ci mette accanto altri che fanno una vita tra l’eroismo e i problemi di ogni giorno. Abbiamo come forza le storie bibliche che sono racconti di uomini e donne vere con tutti i loro problemi e i loro lati deboli che però hanno creduto in questo Dio che gli ha fatto scoprire il loro lato eroico. Non erano per niente perfetti, nessuno di loro. Adamo ed Eva si fanno buttare fuori dal paradiso, Noè si ubriaca di brutto dopo l’atterraggio dell’arca, Davide è un adultero, Pietro nega di conoscere Gesù. Questi sono gli eroi della Bibbia, perché sono umani con tutti i lati brutti e negativi che anche noi abbiamo, però hanno avuto il coraggio di fare vedere anche i loro lati eroici. – Noè aveva il coraggio di costruire una barca nel bel mezzo del niente. Davide si lasciava guidare da Dio per il bene del popolo, Pietro aveva la fede per poter camminare sulle acque.

Noi siamo abituati a parlare di più dei nostri lati deboli. Non vogliamo mettere nessuno sotto pressione e questo è giusto. Comunque voglio farmi sfidare dalle parole di questo antico inno che dice: Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù.

Voglio cercare almeno talvolta di imitarlo, sapendo che non posso e non devo essere proprio come lui. Comunque, voglio cercare di liberare almeno talvolta il mio lato eroico e dire la parola che è necessario dire, e fare ciò che sento sia giusto fare, e ricordare la volontà di Dio che troppo spesso viene dimenticata.

Penso che viviamo nuovamente in un’epoca che ci sfida a mostrare che cosa vuol dire chiamarci cristiani, che cosa vuol dire una fede vissuta, non solo la domenica in chiesa, ma soprattutto durante la settimana fuori dalla chiesa. E spero tanto che anch’io possa raccontare una volta nella mia vecchiaia: “Sì sono stati tempi duri ma alla fine ho avuto il coraggio di fare delle scelte delle quali sono fiera”.

Gesù Cristo ci ha fatto vedere che cosa vuol dire vivere una vita per gli altri. Diventare veramente umano. Lui che ha vissuto l’amore in un modo che ha attraversato la morte per insegnare anche ai nostri cuori freddi e duri quest’amore.

Di questo ci aiuti Gesù Cristo così che tutti possono riconoscere ciò che noi confessiamo già ora che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre. Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Quando Mammona diventa Dio

Matt. 6,24-34

Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona.

Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

MAMMONA è una parola derivante dall’aramaico che vuol dire “ricchezza e possessioni”.

Spesso, nelle interpretazioni della Scrittura, la ricchezza viene demonizzata, assume connotati negativi, ma dobbiamo tener conto che la ricchezza in sé non è condannata nella Bibbia, tantomeno lo è il denaro.

Grandi figure della Bibbia erano ricche (Abramo, Davide, Salomone, lo stesso Levi, che diventerà l’apostolo Matteo), così come è facile intuire che il PADRONE (il buon padrone) spesso richiamato nei Vangeli nei suoi rapporti coi servitori è persona ricca.

Il denaro e le ricchezze servono agli uomini e ai governi, e Gesù non è certo così stolto da non averne la consapevolezza.

Ma una cosa è il denaro che serve per vivere, per governare, per garantire la sussistenza di uomini e popoli, altra cosa è L’AFFANNO PER L’ACCUMULO.

Nella lettera a Timoteo risulta chiaro che non è la ricchezza in sé che è negativa, bensì L’AMORE PER LA RICCHEZZA, il desiderio di accumularla, trovando in essa sia affanno per accrescere i beni materiali, sia sicurezza per la propria esistenza.

Insomma, il denaro visto come mezzo non è condannato, ma viene condannato se è visto come fine.

La parte centrale del testo di Matteo è molto poetica: gli uccelli del cielo, i gigli del campo …. paragonati a Salomone.

Purtroppo questa visione di bellezza è stata e viene spesso strumentalizzata per esortare a un’accettazione passiva della volontà di Dio, invitando a una sorta di inerzia nel subire gli eventi che la vita ci presenta.

MA NON È QUESTA LA VOLONTÀ DI DIO !

L’insegnamento biblico, dalla Genesi all’Apocalisse, non è certo quello di cullarsi in una ninna nanna dell’anima, in un mantra consolatorio, consumando nel nulla e nel vuoto i doni che Iddio dà a ogni essere vivente.

L’uomo deve certamente essere attivo per mettere a frutto i doni ricevuti, ma non deve farsi prendere dall’ingordigia e dall’ansia dell’accumulo, perché in tal modo si allontana sempre più dal Regno e dalla giustizia di Dio.

Le ricchezze che il Signore ci ha donato, in misura diversa da uomo a uomo, sono UN MEZZO affinché chi più ha possa dare, in una fraterna condivisione e non in una misera elemosina.

Il nostro passo termina con un’esortazione: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” .

Dobbiamo osservare che REGNO DI DIO e GIUSTIZIA non sono disgiunti.

Non può esserci Regno di Dio senza giustizia ed è evidente che l’ansia per l’accumulo crea ingiustizie fra gli uomini, fra gli stati, fra coloro che dovrebbero invece essere come fratelli.

Vediamo quotidianamente a che cosa porta l’ingordigia e l’ansia per l’accumulo: povertà, crisi, guerre, ineguaglianze, miseria e morte.

Questo non è il regno di Dio, questa è la prevaricazione di una parte ricca su una povera.

Le risorse che ci sono state messe a disposizione non sono infinite, per cui se qualcuno accumula, altri inevitabilmente soffriranno fame, carestie, miseria.

Gesù con la sua predicazione, con la sua morte per amore, con la sua resurrezione, pone un confine chiaro fra il Regno di Dio e l’iniquità dell’uomo.

Perciò chi volge lo sguardo al Regno di Dio, chi accoglie il messaggio evangelico, deve scegliere da che parte stare e deve condursi nella vita di conseguenza, valutando sinceramente l’entità della propria propensione all’accumulo e la realizzazione della condivisione delle ricchezze ricevute.

Certo non potremo noi soli operare nel migliore dei modi, perché comunque il nostro animo è speso schiavo dell’ansia del domani, dell’ingordigia, del piacere di esserci fatti tutto da soli, dalle simpatie e antipatie per gli altri.

E questo è un grave peccato per il quale possiamo solo chiedere perdono e aiuto al nostro Signore, affinché ci ispiri per tornare via via sulla retta strada.

Allora che fare?

Una risposta può venire dalla lettera di Paolo ai Filippesi (4, 6-7): “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.

 

AMEN

Liviana Maggiore

News: La cosa migliore è che Dio sia con noi

Il 2 marzo 1791 – 225 anni fa è morto John Wesley. Era circondato dalla sua famiglia e dagli amici quando alzò le mani e proclamò: ‘La cosa migliore è che Dio sia con noi’, poi morì.  Oggi ricordiamo la sua vita e ringraziamo Dio per tutto il suo lavoro che ha dato nuova speranza a tantissime persone.