Sermone: Crescere nella fede
Una leggenda ebraica racconta di due fratelli. Uno di loro era sposato e aveva dei figli, l’altro era single. Insieme possedevano un campo sul quale lavoravano insieme durante l’anno. Passavano l’aratro, seminavano e raccoglievano il grano. Il giorno della mietitura dividevano il raccolto in modo equo. Uno dei fratelli metteva i covoni sulla sinistra del campo, l’altro sulla destra.
In quella notte nessuno dei due fratelli poteva dormire. L’uno pensava: «Non è giusto che abbia la stessa quantità di raccolto come mio fratello. Lui ha figli e deve sfamare più bocche di quanto non debba fare io». Per questo si alzava, andava sul campo e di nascosto spostava dei covoni sul lato del fratello. – L’altro fratello non riusciva neanche di dormire. Egli pensava: «Non è giusto che abbia la stessa quantità di raccolta come mio fratello. Lui non ha famiglia, deve farsi un tesoro per la vecchiaia. Io ho i miei figli che si occuperanno di me in futuro». E si alzava, andava sul campo e di nascosto metteva dei covoni sul lato del fratello.
Il giorno successivo tutti e due andavano sul campo e trovavano i covoni come il giorno precedente. Ma i loro pensieri non cessavano. Così s’alzavano nuovamente la notte successiva per incrementare la rendita dell’altro. Questa volta, però, si incontravano, ascoltavano che cosa l’altro aveva in mente e gioivano.
È un racconto fiabesco – sembra poco reale – la nostra realtà sembra molto diversa. Quasi ci sembra normale litigare per il nostro personale possesso e vantaggio, litigare anche talvolta tra fratelli. È diventato normale mettere delle barricate che ci dovrebbero proteggere davanti agli altri. È diventato normale accettare la rottura dei legami famigliari.
In questi racconto invece l’amore è in grado di liberare, di dare all’altro ciò che è necessario per lui, per lei. Così è anche l’amore di Dio. Così diverso, così grande. E di quest’amore parla il nostro testo biblico per oggi.
Scrive Paolo nella sua lettera alla chiesa di Efeso al capitolo 5, i versetti 1-8a
Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; 2 e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave. 3 Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; 4 né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. 6 Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. 7 Non siate dunque loro compagni; 8 perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore.
Questo testo ci parla di figli e di un genitore che cerca di educare i propri figli all’amore. Un genitore che si augura di avere una volta dei figli cresciuti che si possono comportare come questi due fratelli della leggenda che quasi non ci sembrano neanche normali. Così difficile è per noi imparare l’amore.
Il nostro testo inizia dicendo: Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati. Questo è la base di tutto. Noi siamo figli amati da Dio. Non lo si ripeterà mai abbastanza così che entri non solo nelle nostre teste ma in noi tutti. Io sono una figlia amata di Dio.
E se facciamo ancora un passo indietro e guardiamo come finisce il capitolo precedente, leggiamo che si parla di perdono. Dio ci ama e per questo ci perdona. Lo sa ogni genitore che si deve perdonare mille volte ai bambini perché non nascono così perfetti come quei due fratelli della leggenda rabbinica. Anzi. I bambini piccoli conoscono solo una legge ed è quella del “io”. IO ho fame, IO ho mal di pancia, IO ho il culetto bagnato e non esiste ragione: IO urlerò come un ossesso finché non hai cambiato la mia brutta sorte. Avete mai sentito di un neonato che pensa: «Ho fame, ma la mia povera mamma è stanca alle 2 di notte per questo mi addormento di nuovo e domani mattina le chiederò gentilmente il biberon». Non esiste! Noi esseri umani siamo egoisti, profondamente egoisti. Vediamo noi, noi e poi ancora noi.
Quando i bambini crescono iniziamo con l’educazione. Tu vuoi da bere? Diciamolo insieme: Vorrei una tazza di latte per… – Per ME!
Non è facile educare i figli ma pian pianino loro vedono, copiano, crescono… Alla fine non ci servono tante parole, perché comunque copiano tutto nel bene e nel male. Loro copiano i nostri vizi, le nostre parolacce, le nostre bugie. Copiano per fortuna anche le buone abitudine e le parole belle che diciamo. Imparano da noi la gratitudine, la costanza, la misericordia, la pazienza…
Vi racconto tutto questo perché davanti a Dio siamo anche noi nuovamente bambini che devono imparare e il nostro testo ci dice: Siate dunque imitatori di Dio. Così come i bambini imitano i genitori crescendo, così anche noi dobbiamo imitare Dio se vogliamo crescere nella fede e non rimanere dei neonati che conoscono solo i propri bisogni.
Il testo va oltre dicendo: Camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave.
Camminate. La fede è un cammino. Per un bambino appena nato non sarebbe naturale rimanere sempre neonato – e vi assicuro che i genitori non lo reggerebbero. Per un cristiano nato di nuovo di acqua e spirito non è naturale rimanere sempre in una fede da fanciulli. È naturale crescere, voler diventare più simili al genitore, appropriarsi delle abitudini buone che si vedono copiando l’esempio.
Mi rattrista se qualcuno mi dice: Io mi sono convertito nel 1953 e da lì sto saldo nella fede. – Bellissimo che ti sia convertito ma sarei molto più felice se potessi fare dei passi nella fede. Anche piccoli passi, magari due avanti e uno in retro, ma almeno qualcosa si muove. – Ogni bambino che nasce vuole crescere. Ogni cristiano che nasce come figlio di Dio vuole crescere e fare passi nella fede, cioè camminare nell’amore.
Cristo ci ha amati, ha dato se stesso per noi. Nella persona di Gesù Cristo l’amore di Dio diventa concreto per noi. In Gesù possiamo vedere che cosa vuol dire amare. Talvolta qualcuno mi dice: «Ma Gesù non c’è». Come posso orientarmi a Dio se non lo vedo? Come posso crescere se il genitore è in cielo e io in terra? Forse troviamo una risposta a questo nel prossimo versetto: Cristo si è dato per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave. Questo concetto del sacrificio non è proprio facile da tradurre nei nostri pensieri di oggi, ma mi può dire qualcosa questo riferimento all’odore soave. Un profumo non è afferrabile e comunque è reale. Un profumo mi ricorda qualcosa, mi fa sognare, mi impone di fermarmi un istante per prendere un respiro profondo.
Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; 4 né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento.
Adesso sembra di sentire la mamma con il dito alzato che dice ai figli: Non lo voglio neanche vedere tra di voi, non si nomina neppure: né fornicazione, né impurità, né avarizia! (…)né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti.
Mi colpisce che tutto questo peccato venga messo insieme. Non c’è distinzione tra un avaro, un fornicatore e uno che dice parole volgari. Ognuno che non segue l’esempio del genitore amorevole, ma segue la strada dei vari peccati, cioè dei vari modi in cui si è separati da Dio, è sullo stesso livello. Tutte queste separazioni valgono allo stesso modo, perché distaccano dal genitore, da Dio, e per questo non le vogliamo nemmeno nominare.
Conoscete l’immagine di Lutero che diceva che un peccatore è incurvato in se stesso. Guarda la propria pancia, il suo ombelico diventa il centro del proprio universo. Tutto gira solo attorno a lui, attorno ai propri bisogni e piaceri e idee.
Il nostro testo ci dice invece: piuttosto abbondi il ringraziamento. Se vuoi ringraziare devi per forzo alzare la testa. Devi guardare negli occhi la persona a cui ti rivolgi. Il ringraziamento ci solleva. Ci fa vedere Dio, ci fa guardare i suoi occhi pieni d’amore.
Abbiamo detto che la presenza di Cristo si sente come un soave profumo. Il peccato invece puzza. Conoscete anche voi questa sensazione per la quale si sente una storia o si vede una situazione e non sapete bene perché ma dite: «Qualcosa mi puzza». C’è qualcosa che non quadra, c’è qualcosa di marcio dietro. Questo è il peccato.
Non ho nessuna intenzione di farvi oggi una lista di peccati: che cosa si deve fare e che cosa no, penso che lo sappiamo benissimo seguendo i passi di Dio. Penso che siamo in grado di distinguere un profumo buono dalla puzza del peccato. Ora la cosa importante è di non cadere nel rischio di abbellire il peccato con parole belle.
Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Parole durissime che vorrei tanto abbellire un pochino, ma la logica è semplice: chi si stacca da Dio, chi non vuole seguire i suoi passi, che non vuole crescere imitando il genitore, non può essere erede. Adesso ricordiamoci un attimo della lettura che abbiamo sentito prima, il racconto del figlio perduto, e sappiamo che da parte del padre non è detta l’ultima parola. Lui è misericordioso e fa festa se torniamo da lui. Ma questo non deve illuderci della gravità del peccato.
Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. 7 Non siate dunque loro compagni; 8 perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore.
Non facciamoci l’idea che un pochino di avarizia vada bene o che quelle parole sciocche delle quali parla il testo, dovrebbero fare ridere, sarebbero solo ironia. E che l’oscenità non sarebbe così oscena, e che cosa faccio col mio corpo non deve mica interessare la chiesa…
Il nostro testo ci ricorda: Ora voi siete luce nel Signore. Voi siete nati di nuovo. Cercate di camminare in questa nuova vita, cercate di mettere in pratica la vostra fede. Imitate nella vostra vita l’amore che vedete in Dio, così siete su una buona strada. Amen
Ulrike Jourdan