Exaudi! Signore, ascolta la mia voce (Salmo 27,7)
Predicazione di domenica 16 maggio, VI domenica dopo Pasqua
Salmo 139,1-18
Giobbe 10,8-13; 42,1-5
Per il sermone di oggi non ho seguito il lezionario, ma ho preferito proporvi alcune riflessioni su testi che da tempo leggo e rileggo, forse alla ricerca di una similitudine esistenziale con precedenti testimoni della fede.
Non aspettatevi quindi una disamina esegetica dei testi, bensì pensieri in libertà, come capitano a molti e molte di noi in periodi difficili della vita, quando non si comprende come mai gli eventi si accaniscano contro di noi, quando sorgono dubbi sulla nostra fede, quando dobbiamo riconoscere tutta la nostra limitatezza, quando possiamo addirittura dubitare della presenza di Dio oppure quando litighiamo vigorosamente con lui.
Il Signore in cui diciamo di credere è colui che viene ben descritto nei versetti del Salmo che abbiamo letto ed è a questo Signore che Giobbe, da uomo fedele e pio crede.
E quando la sventura e la malattia lo colpiscono, Giobbe dice: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore”.
Ma la malattia peggiora, la sventura incalza, la fiducia di Giobbe nel Signore viene messa a dura prova. E la sua fede, a lungo andare, vacilla; proprio come può capitare a noi quando non vediamo vie d’uscita, quando comprendiamo che le situazioni si aggravano, quando …. ci sentiamo abbandonati/e da Dio e magari capita che la disperazione prenda il sopravvento sulla speranza, sulla fiducia che un disegno c’è, anche se non ne comprendiamo la logica, anche se non possiamo accettarne le conseguenze.
Giobbe non ne può più. Il suo fisico è martoriato, il suo spirito è depresso, i discorsi degli amici sono del tutto inutili, se non addirittura dannosi per il loro perbenismo. Giobbe è solo con la sua sofferenza e, disperato, litiga col Signore, lo accusa di essere ingiusto, assente, di volgere lo sguardo altrove, mentre lui patisce le pene dell’inferno in una solitudine emotiva che aggrava i suoi stessi dolori.
E il Signore che fa? Tace. Non si fa sentire (almeno così sembra), quasi a confermare tutti i dubbi e la rabbia di Giobbe.
Poi accade qualcosa di travolgente: il Signore parla. O meglio: Giobbe lo sente e si sfoga con Lui, buttandogli addosso tutta la sua rabbia.
A ben vedere, leggendo il testo, però, capiamo che il Signore c’era già prima, ma Giobbe non riusciva a percepirlo, compreso com’era nella sua personale disperazione.
Com’era, com’è facile sentire vicina la presenza del Signore quando tutto andava bene, o almeno quando la disperazione non prendeva il sopravvento sulle emozioni!
Il Signore non demorde, parla con Giobbe e gli descrive tutte le magnificenze nelle quali Giobbe stesso credeva prima della disperazione.
Giobbe ascolta, talvolta resiste e contesta, ma ascolta e alla fine capisce. Capisce che il Signore non è un grande burattinaio, l’artefice di tutto ciò che accade di male nel mondo. E’ una vera e propria conversione quella testimoniata da Giobbe in uno dei versetti che io considero pietre miliari della Scrittura: “Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma solo ora l’occhio mio ti ha veduto”.
Allora, sorelle e fratelli, anche quando il dolore e la disperazione ci attanagliano, quando siamo legittimati a dubitare, quando anche la fede più radicata vacilla, prendiamo il coraggio fra le nostre mani e ricordiamoci che il Signore non è assente dalle nostre vite, ma siamo noi che non riusciamo magari a percepirne la presenza e proviamo a metterci in ascolto, perché noi crediamo in un Dio che è stato talmente buono e magnanimo da donarci il suo stesso Figlio affinché siamo salvati.
Di sicuro potremmo non comprendere la logica degli eventi, perché il più delle volte il ricercare la logica degli eventi è solo una nostra esigenza, magari comprensibile, ma non per questo giusta.
E ricordiamoci sempre che la fede non è frutto della logica, perché sarebbe troppo facile credere in ciò che è dimostrabile. Quindi, se diciamo di avere fede nel Signore, di credere in Suo Figlio Gesù Cristo, di confidare nello Spirito Santo illuminatore, proviamo, pur in mezzo ai turbamenti più forti, ad affidarci con la lettura della Parola e con la preghiera a quel Dio in cui diciamo di credere nei momenti migliori della nostra vita. E chiediamogli con umiltà di prenderci per la mano e di sostenerci.
Amen.
(Liviana Maggiore)