Sermone: L’albero della chiesa

Nelle ultime settimane mi sono preparata ai nostri studi biblici sul libro degli Atti. Ho riflettuto tanto su questa prima chiesa a Gerusalemme che ci viene descritta in quel libro. Poi ho pensato alla nostra chiesa qui. Noi siamo entrati nel periodo in cui ci prepariamo a festeggiare i 150anni della nostra chiesa a Padova e mi chiedo la stessa cosa. Abbiamo un grande passato, dove ci porterà il futuro? O meglio, dove vogliamo noi dirigerci? Su quale meta puntiamo? Che cosa vediamo come il nostro mandato?

Forse, posta così, la domanda sembra strana, ma sono convinta che tanti di voi hanno un’idea di come si immaginano la nostra chiesa fra qualche anno; forse non fra 150 ma fra 5 o 10 anni sì. Ho però anche l’impressione che non parliamo tanto di questi visioni personali, che non le condividiamo spesso, che ognuno va un po’ nella direzione che gli pare giusta, ma non c’è veramente un piano.

Vorrei riflettere oggi con voi su un racconto relativo alla prima comunità cristiana a Gerusalemme. L’evangelista Luca ci descrive quella chiesa negli Atti degli apostoli e vorrei vedere insieme con voi quali erano le basi di quella chiesa per cercare delle basi solide anche per la nostra chiesa oggi qui a Padova.

Leggo dagli Atti 2,41-47

41 Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.  42 Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.  43 Ognuno era preso da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli.  44 Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune;  45 vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.  46 E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore,  47 lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati.

Di quella prima chiesa a Gerusalemme ci viene raccontato da un lato qualcosa di molto speciale che si vede raramente: cioè 3000 persone si fanno battezzare in un giorno e si aggiungono alla chiesa. Può essere una conversione di massa dopo la predica a Pentecoste di Pietro. Un momento straordinario che vedono senz’altro poche chiese.

D’altro canto, si verificano in quella chiesa cose normali, quotidiane. Loro erano perseveranti. Non è che ogni settimana lì qualcuno portava un’altra idea e una volta si seguiva l’una e l’altra volta la successiva. No, loro erano certi delle loro fondamenta. Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.

Insegnamento, Comunione, Santa Cena e Preghiera. Queste sono i pilastri della chiesa di Gerusalemme.

Quella comunità è cresciuta tanto, intendo numericamente ma soprattutto (e questo mi sembra tanto più importante dei numeri) sono cresciuti nella fede. Però immaginatevelo una volta come dev’essere stato dopo la prima Pentecoste. 3000 persone vogliono farsi battezzare, 3000 vogliono fare i primi passi di una vita cristiana. Avranno avuto parecchio da fare se volevano seguire almeno una parte di queste persone. Forse qualcuno di voi pensa: meno male che da noi predica Ulrike e non Pietro – così non c’è il rischio di una conversione in massa.

No, non credo che dobbiamo avere timore che troppe persone potrebbero convertirsi durante i nostri culti; però se almeno una o due conversioni ci farebbero piacere, dobbiamo essere in chiaro che crescita significa cambiamento. Chi vuole crescere sia nei numeri sia nella profondità della fede, deve rendersi conto che questo porta automaticamente dei cambiamenti con sé. E chi vuole crescere deve fare sì che qualcosa possa crescere. Purtroppo esistono tante chiese che dicono a parole di voler crescere ma i fatti sono ben diversi. Ciò è triste perché Dio ci ha proprio creati per la crescita, così che possiamo diventare grandi e portare frutti.

Pensate a un albero. Cresce semplicemente. Non pensa, non fa programmi, cresce. Gli serve della terra, luce e acqua ma poi non fa più nient’altro che crescere. Per noi è simile. Sì, dobbiamo assicurarci che vadano bene le condizioni generali, ma della crescita si occupa Dio.

Guardiamo ancora una volta nel testo: che cosa favorisce la crescita nella chiesa di Gerusalemme? Loro erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli. Ciò che è la buona terra per un albero è l’insegnamento per noi cristiani. La terra da stabilità e nutrimento alla pianta. E se pensiamo a una vigna, sappiamo che la terra influenza addirittura il sapore dell’uva e con questo del vino. – All’albero serve la terra, a noi serve l’insegnamento biblico per poter sviluppare una fede stabile e saporita. È il nostro lavoro di radicarci nelle parole bibliche e di tirare fuori dalla Bibbia tutto il nutrimento che serve per sviluppare il frutto. Le persone che si convertivano a Cristo in quella prima chiesa di Gerusalemme non sapevano tanto di Gesù o dello Spirito Santo. Serviva a loro dell’insegnamento per potersi radicare nella fede cristiana. Dovevano imparare che cosa vuol dire vivere da cristiani.

Questo è rimasto così fino a oggi. Chi non radica la propria fede nell’insegnamento biblico cadrà durante la prima tempesta. Chi vuole rimanere in piede deve per forza radicarsi nell’unico fondamento stabile, cioè nella Bibbia. Un albero può solo crescere fino al punto che permettono le sue radici. Anche noi potremmo crescere nella fede solo nella misura in cui ci siamo radicati nella parola di Dio. Se noi come chiesa vogliamo crescere dev’essere il nostro primo pensiero questo radicamento biblico. Perché Dio dovrebbe fare crescere una pianta sapendo che le radici non la reggono? Non lo fa. Così Dio fa crescere anche noi come chiesa solo in modo adeguato al nostro fondamento.

L’insegnamento da stabilità alla nostra vita di fede, ma solo questo non basta. Esistono alberi che sono giustamente radicati, ma le foglie sono comunque gialle e i frutti grinzosi. Solo l’insegnamento non può dare vita alla nostra fede. Ad una pianta serve anche la luce per poter vivere. Solo così funziona la fotosintesi che cambia l’anidride carbonica in ossigeno. È un dare e prendere tra la luce, l’aria e la pianta. E questo corrisponde al secondo pilastro della chiesa di Gerusalemme, cioè la comunione. Il cambio, l’esserci gli uni per gli altri, l’ascoltarsi, tutto ciò porta freschezza e nuovi pensieri nella vita. Quella chiesa a Gerusalemme ha vissuto la comunione. Hanno condiviso i loro bene per il bene di tutti. Hanno aperto le loro case. Hanno condiviso la propria vita e festeggiato insieme.

Possiamo imparare a memoria la bibbia e trovare una risposta a tutte le domande della fede, ma se non si fa vedere l’amore fraterno nella vita di una cristiano c’è qualcosa che non va. Sarebbe come un’albero ben radicato in terra, ma morto, solo più un ceppo. Chi vuole veramente crescere nella fede deve consentire l’amore nella propria vita, deve consentire la comunione. E automaticamente inizierà a servire gli altri e a mettere in secondo piano i propri bisogni.

L’ultimo pilastro della chiesa di Gerusalemme è il contatto con Dio. Luca scrive: erano perseveranti (…) nel rompere il pane e nelle preghiere. Cerchiamo di fare nuovamente il paragone con la pianta. Un albero si può radicare bene se la terra è buona; ha le foglie verdi se riceve abbastanza luce, però gli serve ancora l’acqua senno si seccherà. Quell’acqua deve venire da sopra. E la chiesa di Gerusalemme sapeva: chi non ha quel contatto in su, chi non cerca un contatto diretto con Dio non sopravvivrà a lungo nella fede. Loro hanno descritto il contatto con Dio nella preghiera e la Santa Cena. Però ci sono tanti canali per mettersi in contatto con Dio. Uno si sente vicino a Dio nel silenzio, un altro nel canto, un altro nel lavoro. Uno loda Dio guardando la bellezza della natura, un altro vendendo delle persone, un altro studiando dei testi. Ci sono tanti canali per mettersi in contatto con Dio, l’importante è che almeno uno viene utilizzato. Ad un albero serve la pioggia senno seccherà. Ad un cristiano serve il contatto regolare con Dio, se no la vita di fede si seccherà. E non possiamo produrre quell’acqua così come non se lo può produrre l’albero. L’acqua ci dev’essere donata e Dio vuole annaffiare la nostra fede.

Ancora una volta: un albero ha bisogno di tre cose per crescere: terra, sole e acqua. – Noi credenti abbiamo della buona terra, cioè la nostra Bibbia, la parola di Dio. Abbiamo anche la luce, cioè la comunione nella chiesa. E abbiamo accesso all’acqua, al contatto con Dio nella preghiera, nella Santa Cena, in tanti modi diversi ma sempre indirizzato a Dio.

Se un albero ha terra buona, sole e pioggia crescerà. Se anche da noi le condizioni sono giuste non dobbiamo preoccuparci della crescita.

Io mi auguro che la nostra chiesa si un luogo dove si può crescere e portare frutto. Mi auguro che anche delle persone nuove possano trovare qui un luogo che permette loro di crescere nella loro fede. E mi auguro che possiamo qui gioire insieme dei frutti che porta quella crescita. Amen

Ulrike Jourdan