Sermone: Parole diverse, stessa fede
Ultimamente abbiamo affrontato nelle predicazioni tanti testi di Paolo. A qualcuno piace, altri hanno problemi con quell’apostolo un po’ severo. Sento dire che il suo pensiero sarebbe troppo complicato, troppo lontano da noi oggi, non più proponibile nel 21esimo secolo.
Forse vi stupisce se vi dico che già ai tempi biblici esistevano persone che la pensavano in questo modo. E la Bibbia ha la grandezza per dare spazio e voce a uno come Paolo così come ad altri che cercano di spiegare la fede in altri termini: non per togliere qualcosa al grande Paolo ma per dare alle nuove generazioni che ascoltano con una mente diversa, la possibilità di cogliere lo stesso messaggio.
Si è fatto carico di questo compito anche un allievo di Paolo che scrive sotto il nome del maestro la lettera alla chiesa di Efeso, sviluppando lo stesso pensiero di fondo. Le chiese e i singoli credenti ai tempi di Paolo avevano determinate domande e convinzioni, ma nella generazione successiva tutto era già diverso. Loro non avevano più l’apostolo che poteva venire nella loro città per risolvere delle questioni, dovevano imparare a vivere la loro fede in autonomia legandosi non all’apostolo ma solo a Gesù Cristo.
Rispetto alle lettere paoline non troviamo nella lettera agli Efesini il racconto di conflitti e neanche una parola polemica. Mentre Paolo affrontava nelle sue lettere gli avversari con l’insegnamento e anche con delle dichiarazioni personali sulla fede – la lettera agli Efesini prende un’altra strada ed esprime in un grande inno di lode il centro della fede. È un canto di speranza alla quale la comunità è chiamata. Un inno di fede che risuona in quella chiesa, in quella lettera e anche nel nostro testo di oggi. In tedesco potremmo cantare le parole che purtroppo in italiano non esistono in forma musicata. Così vi leggo dalla lettera agli Efesini capitolo 2,4-10
4 Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, 5 anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), 6 e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù. 8 Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. 9 Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; 10 infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.
Le chiese in e attorno a Efeso avevano avuto un grande inizio per quanto riguarda la fede, ma questo fa parte del loro passato. – Mi è venuto spontaneo pensare alla nostra chiesa. Quest’anno festeggeremmo i 150 anni della chiesa metodista a Padova. Abbiamo un glorioso passato, con tante diverse e grandi opere diaconali e culturali. Penso alle scuole che la nostra chiesa avevo fatto nascere o anche al circolo Diodati che si occupava dell’istruzione della cittadinanza, soprattutto degli operai. Il fondatore della nostra chiesa locale, Henry James Piggott predicava qui davanti a 250 persone. Talvolta non riesco a immaginarmelo come dev’essere stato vivere e lavorare in una chiesa del genere. Una chiesa in partenza che pensava di poter cambiare una nazione intera e di poter portare l’istruzione e una fede senza superstizioni nella nostra Italia. – Se ci guardiamo intorno sappiamo bene che le nostre aspettative oggi sono ben diverse. Noi non contiamo più di avere 250 persone al culto ma con 25 in estate siamo più che contenti. Le scuole evangeliche sono tutte chiuse, del circolo Diodati sono rimasti i libri che però nessuno legge più. Uno potrebbe dire: è tutto finito non è rimasto quasi nulla. Ma questo non è vero. È cambiato l’approccio. Abbiamo altre domande, altre speranze, altri progetti oggi. Non ha nessun’senso rimpiangere il passato perché l’Oggi ci chiede un modo diverso di agire. Se tutto va come previsto avremmo a fine settembre 14 profughi negli appartamenti sopra la nostra chiesa. Per una chiesa piccola come la nostra è un impegno grandissimo. L’impronta che diamo alla nostra società non è cambiata ma il metodo e i temi sì.
Perché vi racconto tutto questo? Perché anche quell’allievo di Paolo aveva colto che le domande della fede cambiano con ogni generazione. Non il contenuto, ma il modo di esprimere la fede sì. Mentre i padri vivevano nell’euforia della nuova fede e in quella grande liberazione, i figli facevano fatica ad esprimere gli stessi sentimenti. I padri vivevano nella convinzione che Gesù sarebbe tornato ancora durante la loro vita. I figli avevano messo quell’attesa in secondo piano (e noi oggi al terzo o quarto piano!). La risurrezione di Gesù era diventata per loro più un evento storico che non il centro della loro fede.
Ma a quel punto interviene la lettera agli Efesini e afferma: la risurrezione è un evento non storico, non del passato ma del presente. La risurrezione è un evento che coinvolge i credenti e li porta nel futuro. Chi crede in Cristo e nella sua risurrezione è già risorto con lui e siede già alla sua destra nei luoghi celesti (Efesini 1,20) Per tutti quelli che credono in Cristo il pensiero della risurrezione è ugualmente lontano o vicino. Non importa se uno vive nell’anno 30 quando si poteva ancora incontrare Gesù di persona, o nel 70 o nel 2016. La risurrezione è sempre una questione di fede. Non importa la distanza temporale. Importa solo la potenza di Dio che non si ferma davanti al tempo.
E per questo il nostro testo, che vuole portare la fede alla nuova generazione di credenti a Efeso, non inizia parlando di persone ma di Dio. Lui è il soggetto. L’agire di Dio verso i credenti fa parte del suo essere e il suo agire è pieno di misericordia, amore e grazia. Vi leggo ancora una volta quella unica lunga frase: Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.
Dio non può essere altro se non misericordioso, amorevole e pieno di grazia verso i suoi figli. Questo vale per tutti, per i padri nella fede, per i figli e per noi oggi. Questo rimane anche quando il modo di vivere la fede cambia.
E adesso chiediamoci: che cos’è lo scopo della misericordia, dell’amore e della grazia di Dio? Paolo direbbe: lo scopo è la giustificazione. Ma la generazione dei figli aveva qualche difficoltà nel cogliere il significato profondo di quel termine. Per questo la lettera agli Efesini parla di salvezza.
Pensando ai tanti morti di cui leggiamo e sentiamo quotidianamente è forse diventata di nuovo un’immagine che ci dice qualcosa. L’amore di Dio salva. Chi crede è salvo senza dover pagare nessuno, senza avere delle competenze specifiche, senza portare dei certificati. Chi crede è salvo, solo così, per amore. Solo la fede salva. Chi crede è salvo.
Ciò che Paolo descrive ancora come speranza futura ci viene presentato nella lettera agli Efesini come realtà presente. La salvezza non è una speranza futura, ma è presente, già ora i credenti possono sentirsi salvi.
Un messaggio d’amore. Tante parole, tanti modi per esprimerlo. Vorrei incoraggiarci a trovare le nostre parole per la generazione di oggi che cerca la giustificazione, che cerca la salvezza, ma forse in altri termini.
Uno rimane: l’amore di Dio vuole raggiungere proprio loro. Amen
Ulrike Jourdan