Sermone: SOLUS CHRISTUS – FESTA DELLA RIFORMA

Spesso mi sono sentita dire da persone non evangeliche che Lutero è stato un grande perché ha avuto il coraggio di opporsi al potere temporale della chiesa cattolica e al mercimonio che stava alla base del desiderio di continuo arricchimento della stessa. Tutto vero, ma noi evangelici sappiamo bene che la Riforma ha anche ben altre radici, perché ha riguardato non solo gli aspetti puramente “temporali” bensì, forse più importanti, aspetti squisitamente teologici.

Sulle vetrate della nostra chiesa abbiamo voluto testimoniare il nostro essere una chiesa riformata riportando i cinque “sola” di Lutero, in modo che coloro che magari li leggono, abbiano un assaggio di ciò in cui crediamo.

Ebbene, uno dei cinque “solas” dice “Solus Christus”, perché è solo lui il fulcro della nostra fede e perché la salvezza è stata già operata grazie all’opera sua e al suo sacrificio per l’espiazione del nostro peccato.

Ma questo profondo convincimento che abbiamo non deve rimanere un fatto nostro personale, perché, come chiesa e come singoli, siamo chiamati ad annunciare senza paura il suo messaggio, siamo chiamati ad essere profeti.

Se veramente Cristo è il centro della nostra fede siamo tutti chiamati ad essere suoi collaboratori, con i nostri limiti certo, con i nostri timori forse, ma, forti della sua grazia, dobbiamo essere costruttori del suo regno, come dice Paolo nel passo che andiamo a leggere da 1 Corinzi 3:9-13.

«Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio.  Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno».

Nella mia azienda ricevo sovente richieste di assunzione da parte di persone che cercano posto e che mi presentano un curriculum nel quale magari elencano in modo assai edulcorato precedenti esperienze di lavoro.

Ebbene, in tanti anni, coi capelli bianchi che mi ritrovo, posso garantirvi che non ho mai assunto un collaboratore per le esperienze precedenti che ha avuto. Ho sempre preferito fidarmi del mio istinto nell’impressione che mi dava al colloquio e quando per caso, durante il colloquio la persona riportava con enfasi la sua bravura nei lavori passati, gentilmente dicevo che non mi interessava, ma che più semplicemente, in caso di assunzione, avrei voluto vedere come lavorava e come si poneva di fronte a ciò che doveva fare. Insomma, l’avrei giudicato in base ai risultati, cioè “ai frutti” che avrebbe saputo dare.

Lo stesso approccio dobbiamo averlo nei confronti di noi stessi come credenti perché, in quanto tali, riteniamo di aver ricevuto un gran dono, fra gli altri: la fede.  La fede in Gesù Cristo che è nato, è vissuto ed infine è morto e risorto per riscattarci dal peccato.

Noi quindi ci definiamo “cristiani” perché solo Gesù è il fulcro del nostro credere, è la stella polare che ci indica il cammino. Appunto: “solus Christus”, perché siamo convinti che lui è Dio, è una delle tre manifestazioni di quel Signore in cui diciamo di credere.

A lui ci ispiriamo; sugli scritti del Nuovo Testamento che parlano di lui studiamo e preghiamo, sui testi dell’Antico Testamento che lo annunciano andiamo a dissetare il nostro bisogno di conoscenza sul volere di Dio.

Tutto giusto! Ma non basta!  E non bastava nemmeno al padre della Riforma.

Negli anni precedenti la Riforma vi era un vuoto di predicazione cristocentrica. Addirittura durante le funzioni, le messe, il più delle volte non venivano fatti i sermoni, così che gran parte della gente di fatto non conosceva la Bibbia e la religione veniva quindi percepita da molti come un imperio sui comportamenti da tenere che dovevano essere coerenti con quanto veniva comandato (o minacciato) dall’oratore di turno.

La fede assumeva così un ruolo di secondo piano, infatti era noto che il popolo doveva avere la fede del proprio principe, del signore territoriale. Se il principe cambiava religione, il popolo doveva seguirlo.

E ciò accadeva proprio perché la predicazione era latente, la conoscenza della sacra scrittura era riservata a pochi dotti, a una categoria di persone (il clero) spesso asservita al potere temporale della chiesa o del principe di turno.

In questa situazione il definire di Lutero “solus Christus” comporta una vera e propria rivoluzione di pensiero, perché cambia il fulcro dell’attenzione religiosa e spirituale. Solo Cristo è il Signore e solo Lui, con il sacrificio della croce, può riscattare l’uomo dal peccato e questo riscatto avviene per pura grazia! Non certo azioni devozionali più o meno economicamente onerose.

Cristo è la grazia, misericordia, giustizia, verità, sapienza, potenza, conforto e salvezza donateci da Dio senza alcun nostro merito.

La convinzione di Lutero era che tutta la Scrittura era stata data a motivo di Cristo, così che Egli potesse essere conosciuto e glorificato. In Cristo solo la Scrittura e l’adorazione trovano il loro significato. Cristo è la sostanza della Scrittura. Se Cristo è conosciuto, allora ogni altra cosa nelle Scritture diviene chiara e in grado di essere compresa. Lutero vedeva ogni passaggio nella Bibbia, che fosse nell’Antico o nel Nuovo Testamento, come un puntatore verso Cristo.

Cristo è la salvezza dell’uomo. Cristo è la salvezza della chiesa.

E proprio per questo il credente in Cristo non può esimersi dall’annuncio, dalla predicazione, perché la fede in quel Gesù figlio di Dio non può e non deve rimanere un fatto puramente individuale, intimistico, da coltivare nel segreto del proprio cuore senza alcun annuncio all’esterno.

Se il credente si sente rinnovato dal suo seguire Cristo non può vivere questa sua rigenerazione solo personalmente, magari delegando alla chiesa l’onere dell’annuncio, della predicazione.

Cristo deve non soltanto essere proclamato, ma Cristo deve essere udito attraverso la predicazione, quella predicazione che fa parte dei frutti del credente, di colui che Paolo dice essere un “collaboratore” di Dio.

Lutero mise la Bibbia a disposizione del popolo, nella sua lingua, affinché tutti potessero sentire nel loro idioma la parola di Dio.  Lutero utilizzò anche la musica popolare per avvicinare le genti alla Parola.  E tutto questo lo fece affinché ognuno potesse finalmente conoscere la Scrittura, magari anche solo parti di essa, perché così ciascuno poteva confrontarsi con quella figura straordinaria posta al centro della fede: Gesù Cristo.

Ma cosa ce ne facciamo di questa centralità di Gesù Cristo?

Certo, l’ispirazione che ci deriva dalla sua vita ci induce a comportamenti fraterni e solidali, ci spinge a vivere nella libertà dei figli di Dio, cioè di coloro che hanno chiara consapevolezza della costante situazione di peccato in cui si vive, ma hanno anche chiara la visione del perdono per grazia, della venuta del regno di Dio. E questo ci dà un respiro che ci porta a una dimensione verticale, alla speranza di far parte un giorno di un’altra realtà, di una vita che è ben più di quella che viviamo in questo scampolo di anni terreni.

E già fin qui possiamo dire che l’eredità della Riforma è ricca, ma fra i molti aspetti della Riforma degni di considerazione ce n’è un altro assai importante per l’epoca e anche ai giorni nostri: è il fatto che essa costituì un ritorno al primato della predicazione.

La Riforma fu un grande risveglio della predicazione, probabilmente il più grande nella storia della Chiesa Cristiana, perché proprio nel periodo del tardo Medioevo, i Riformatori espansero la predicazione, quasi a voler ravvivare e ritornare ai giorni della chiesa primitiva, quando la predicazione era al centro del servizio e quando il popolo di Dio si nutriva della Parola proclamata.

Pensiamo solo a quanti passi del Nuovo Testamento ci presentano persone che ben conoscevano le scritture (i farisei, per esempio).

La predicazione, la conoscenza della Bibbia, l’annuncio: questo è ciò che rende la Riforma così pertinente anche ai giorni nostri. Perché è specialmente questa eredità della pura predicazione della Parola che noi riteniamo così necessaria per la chiesa di tutte le epoche, e così preziosa per noi.

Ogni Cristiano veramente riformato vuole la predicazione della Parola, perché egli sa che è questo ciò che Dio ha ordinato ai suoi seguaci. In questo senso dobbiamo leggere l’invito di Paolo ai cristiani di Corinto.

E noi, davanti a tutto ciò, come reagiamo?  Noi, cristiani riformati del 21mo secolo, intendiamo coltivare la nostra fede solo nella nostra intimità personale o, al massimo, nelle nostre chiese?  No, non è questo ciò che ci viene comandato, non consiste in questo l’essere collaboratori di Dio, non possiamo nascondere i talenti che ci sono stati donati né nascondere la lampada sotto il moggio.

Siamo invece chiamati ad essere profeti, proprio come il Signore chiamò Geremia quand’era ancora un giovane che temeva di non saper parlare.

E allora, sorelle e fratelli in Cristo, noi tutti figli della Riforma non abbiamo altra scelta se non coltivare la nostra fede con la frequentazione della Scrittura e proclamarla al mondo, individualmente e come chiesa, annunciando il regno di Dio, nel nome di Gesù Cristo.

AMEN

Liviana Maggiore