Sermone: Trovare Pasqua nella quotidianità

È arrivata la settimana dopo Pasqua. La maggior parte delle uova sono mangiate e le colombe spariscono pian pianino dai supermercati; i ragazzi hanno ripreso la scuola e gli adulti sono tornati al lavoro. Ci siamo di nuovo immersi nella nostra vita quotidiana. Così è la situazione una settimana dopo Pasqua, oggi.

Una settimana dopo la prima Pasqua vediamo sette discepoli che riprendono anche la loro vita quotidiana. Erano presenti sotto la croce, hanno visto la morte di Gesù, almeno da lontano e sono caduti in un mare di ansie. Sono spariti dalla città nemica Gerusalemme per rifugiarsi in un luogo dov’era ancora tutto in ordine, in Galilea, al lago di Genezaret dove vivevano anche prima della loro avventura con Gesù. Sono ritornati al loro lavoro, perché che cosa gli rimane adesso senza il loro maestro? Sono ritornati a ciò che conoscono.

Ma anche lì non hanno successo. Lavorano senza avere fortuna, non pescano niente. Chi conosce la Bibbia si ricorda che così è già stato una volta. Così è iniziata la loro storia quando Gesù li chiamava a essere i suoi discepoli. Il cerchio si chiude. Ma come succede talvolta, non lo vedono. Sono come ciechi. Non si ricordano che hanno già vissuto una volta tutto ciò, percepiscono solo la loro debolezza in questo momento. Gli serve aiuto.

L’evangelista Giovanni ci racconta di questa strana prima settimana dopo Pasqua. Leggo Giovanni 21,1-14

Dopo queste cose, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli presso il mar di Tiberiade; e si manifestò in questa maniera.  2 Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri dei suoi discepoli erano insieme.  3 Simon Pietro disse loro: «Vado a pescare». Essi gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Uscirono e salirono sulla barca; e quella notte non presero nulla.  4 Quando già era mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù.  5 Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No».  6 Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci.  7 Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!» Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse la veste, perché era nudo, e si gettò in mare.  8 Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento cubiti), trascinando la rete con i pesci.  9 Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su, e del pane.  10 Gesù disse loro: «Portate qua dei pesci che avete preso ora».  11 Simon Pietro allora salì sulla barca e tirò a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci; e benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò.  12 Gesù disse loro: «Venite a far colazione». E nessuno dei discepoli osava chiedergli: «Chi sei?» Sapendo che era il Signore.  13 Gesù venne, prese il pane e lo diede loro; e così anche il pesce.  14 Questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, dopo esser risuscitato dai morti.

I discepoli sono arrivati al punto più basso, così come Gesù l’aveva già previsto dicendo loro: Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo Giov 16,33. Sono scappati dalla croce, fuggono nel loro lavoro, hanno paura, manca loro il coraggio e la speranza. Non trovano più niente che li potrebbe tirare su, non trovano più un senso nella loro vita. Cercano il lavoro per non dover pensare, per immergersi nelle attività. – È un metodo molto comune e ben visto oggi quello di tuffarsi nel lavoro per non dover pensare o affrontare certi problemi. Oggi chiamiamo questa gente ‘Workoholic’. Ciò che loro non vogliono sentire è che il loro metodo di negare i problemi non è meglio del metodo di un alcolista che beve per non dover pensare, o di un giocatore che investe i suoi soldi per avere un po’ di speranza nel suo mondo di problemi. Fanno tutti quanti male questi metodi che ci permettono di non pensare e non sentire niente.

Per i discepoli si ripete nel loro lavoro una storia che noi abbiamo già sentito una volta, solo loro sono così immersi nel lavoro che non si ricordano più. Lavorano tutta la notte senza avere successo e poi quando c’è già la luce e i pesci spariscono nel profondo del lago, viene uno che li esorta a gettare le reti ancora una volta. Loro lo fanno e il successo è incredibile, è inverosimile.

Il discepolo più amato da Gesù  – oggi pensiamo che sia Giovanni con il nome del quale è scritto il vangelo e che non voleva essere chiamato col proprio nome – Giovanni capisce per primo e lo dice a Pietro: È il Signore! Pietro si sveglia come da un incubo, si veste subito e si butta in acqua per essere il primo che raggiunge Gesù, che nel frattempo ha acceso per loro un fuoco, per mangiare insieme. È già tutto pronto per loro, non servono neanche i loro pesci.

Ricordatevi che questa domenica si chiama Quasimodogeniti, come bambini appena nati; così sembrano i discepoli adesso. Adesso il Signore è proprio risorto anche per loro. Proprio Pietro che aveva negato di conoscere Gesù per tre volte ancora pochi giorni prima, percepisce adesso la resurrezione. E non intendo solo la resurrezione di Gesù, direi che Pietro ha vissuto la sua resurrezione: viveva nel peccato, combatteva con i sensi di colpa, doveva nascondersi nel suo lavoro per non dover pensare e adesso è tutto cambiato. Il peccato è stato perdonato e Pietro può ricominciare da capo come un bambino appena nato. Adesso può vestirsi per andare al lavoro, ma non ad un lavoro che gli faccia dimenticare tutto, ma un lavoro con uno scopo.

Pasqua rimane per noi un evento che possiamo solo percepire se abbiamo incontrato noi stessi il Signore risorto. Pasqua ci fa gioire solo se siamo morti e risorti anche noi con lui per vivere una nuova vita che non è più sotto il potere del peccato, ma fa parte del regno di Dio.

Possiamo paragonare questi sette discepoli nella loro barca, alla barca della chiesa. Loro lavorano duro, tutta la notte ma non hanno successo. Poi iniziano di nuovo a fare un lavoro che secondo le regole di questo mondo non dovrebbe per niente avere successo, ma lo fanno nella speranza e il miracolo succede.

Questa è una promessa che abbiamo noi come credenti, di trovare Gesù Cristo non solo nei momenti speciali, ma piuttosto nella nostra quotidianità. Non è importante il nostro successo. Se pensiamo di dover pescare con la nostra forza e le nostre capacità troviamo alla fine solo qualche pesciolino o gamberetto nelle reti, ma quando lavoriamo insieme con Gesù non valgono più le leggi di questo mondo.

Non importa se noi siamo in grado di riempire le nostre reti, perché c’è Gesù che ci aspetta già alla riva con tutto ciò di cui abbiamo bisogno. È già tutto pronto per noi così che possiamo gustare e vedere quanto l’Eterno è buono.

Se ci fa problemi credere veramente che Gesù si preoccupi di noi, se facciamo fatica a credere che egli possa proprio fare il miracolo e riempire le reti della nostra comunità e della nostra vita, allora siamo in buona compagnia con i discepoli che nemmeno potevano crederlo. Anche loro non hanno capito che quell’uomo che gli diceva di gettare un’altra volta le reti era Gesù, e non avevano neanche il coraggio di chiedergli chi sia.

Talvolta può essere duro affidarsi a Dio. Quando parliamo nel nostro consiglio di chiesa di questioni finanziarie o cerchiamo una persona che potrebbe prendere un determinato incarico nella comunità, può essere duro credere veramente che Dio abbia già previsto tutto per noi. Io faccio spesso fatica. Ma abbiamo la promessa che Dio ci guida e ci porta nel nostro lavoro.

Gesù si preoccupa per quelli che si affidano a lui. È vicino a noi quando facciamo il nostro lavoro nel suo nome. E ciò che ci manca lo vede e ce lo mette nelle nostre mani aperte.

Senza di me non potete far nulla dice Gesù. Questa è una buona cosa.

Amen

Ulrike Jourdan