In ascolto: Un giorno, una Parola
Gc 2:14-20,26: A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? ……
Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
Gv 11:21-26: Marta dunque disse a Gesú: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; e anche adesso so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo darà».
Gesú le disse: «Tuo fratello risusciterà».
Marta gli disse: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno».
Gesú le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai.
Credi tu questo?»
Il passo che abbiamo letto dall’evangelo di Giovanni è stato scelto dal pastore William Jourdan per il funerale di Giancarlo ed è stato seguito da una bellissima predicazione sulla resurrezione.
Ma anche in quell’occasione, quando, come potete ben immaginare, il mio cuore era affranto, le ultime parole dei versetti che abbiamo letto sono arrivati come una stilettata, perché Gesù stesso pone a Marta (e a noi) anche una domanda importante: “Credi tu questo?”
La nostra immediata risposta, come Xtiani, è ovviamente “sì, certo”, perché la nostra fede, la nostra formazione religiosa ci portano ad affermare che Gesù è la resurrezione e la vita.
Però, care sorelle e fratelli, se riflettiamo sulla nostra realizzazione della fede che affermiamo, necessariamente dobbiamo fare i conti con la vita che conduciamo.
E qui si apre una riflessione sulla lettera di Giacomo.
In effetti lo scritto di Giacomo, più che una vera e propria lettera, con uno specifico delimitato destinatario, ci propone una serie di raccomandazioni e insegnamenti “pratici”.
Qualcuno ha detto che non è uno scritto “teologico”, perché non fa riferimento a Gesù e alla sua vita, tuttavia la signoria di Xto compare subito all’inizio, dove Giacomo si definisce “servo di Dio e del Signore Gesù Xto” e dedicata la lettera a tutto il popolo delle dodici tribù disperse nel mondo, quindi è scritta per i Xtiani in generale, sparsi nel mondo di allora e, potremmo dire, anche nel tempo, quindi noi compresi.
Possiamo perciò dire che, anche se non vi sono elementi Xtologici, come la vita, la morte e la resurrezione, l’insegnamento di Gesù si fa sentire potente ed è il filo conduttore di tutto lo scritto.
- L’epistola è eminentemente pratica, non discute delle idee, ma dà indicazioni in merito al comportamento che deve essere attuato da un credente.
- Secondo Giacomo la Parola di libertà è la legge che deve essere adempiuta dal credente. Tutta la legge, non solo una parte, perché chi la trasgredisce in una sola parte, la trasgredisce in toto.
- Chi ha ricevuto il messaggio quindi ha solo due alternative: credere o non credere.
- La parola di Dio è vivente nel cuore di colui che crede, perciò la vita del credente deve testimoniarlo, mettendo in pratica la fede e operando in modo da testimoniare la propria fede.
- Questo è il messaggio che ci deriva dalla lettura di oggi.
- Ma, badate bene, le opere non sono intese come “aiuto alla salvezza”, né tantomeno come attività “meritorie”, che aiutino Dio a salvarci.
- Dio non necessita del nostro aiuto per salvarci. Nella Sua infinità bontà tutto è già stato compiuto con il sacrificio del Figlio.
- Le opere, cioè il nostro modo di condurci nella vita, sono la testimonianza della nostra fede, l’esplicitazione di un dono che abbiamo ricevuto ed al quale liberamente aderiamo.
Ma che cosa significherà mai testimoniare con le opere la fede che ci è stata donata, coltivare la Parola che è stata piantata nei nostri cuori?
Vi propongo alcune riflessioni, giusto per non rimanere nel vago:
- Condivisione, [non elemosina di ciò che siamo e di ciò che possediamo]
- Empatia, [avvicinare l’altro e offrire il nostro aiuto senza giudicarlo e cercando invece di capire quello che l’altra persona sta vivendo]
- Perdono, verso gli altri e anche verso noi stessi, [ … ]
- Cancellazione della timidezza nel testimoniare al di fuori delle nostre chiese che noi siamo credenti, [ … ]
- Coraggio di pregare e di dire che preghiamo, [ … ]
- Consapevolezza che, dopo tutto questo, abbiamo un gran bisogno di perdono per il nostro egoismo, per la nostra protervia, per le tante e costanti infedeltà, [ … ]
- Da questa consapevolezza, ne discende quindi pazienza e tolleranza per coloro che incontriamo e che hanno una diversa visione della vita.
Accettare la Parola e metterla in pratica significa quindi accettare che la nostra vita sia sconvolta, che tutte le nostre certezze vengano messe in discussione, che il nostro senso di libertà venga reinterpretato [io sono libero se anche tu sei libero e non di certo se la tua libertà invade la mia], perché nel nostro cuore, in tutto il nostro essere si realizza l’effetto dirompente di una completa rivoluzione: la rivoluzione della Parola.
Se dunque hai fede, se la Parola di vita e libertà è entrata nel tuo cuore, non c’è scelta: dimostralo con le tue azioni!
Questo è il senso delle opere, così vivacemente auspicate in Giacomo.
Liviana Maggiore