Sermone: Crescere nella fede

Una leggenda ebraica racconta di due fratelli. Uno di loro era sposato e aveva dei figli, l’altro era single. Insieme possedevano un campo sul quale lavoravano insieme durante l’anno. Passavano l’aratro, seminavano e raccoglievano il grano. Il giorno della mietitura dividevano il raccolto in modo equo. Uno dei fratelli metteva i covoni sulla sinistra del campo, l’altro sulla destra.

In quella notte nessuno dei due fratelli poteva dormire. L’uno pensava: «Non è giusto che abbia la stessa quantità di raccolto come mio fratello. Lui ha figli e deve sfamare più bocche di quanto non debba fare io». Per questo si alzava, andava sul campo e di nascosto spostava dei covoni sul lato del fratello. – L’altro fratello non riusciva neanche di dormire. Egli pensava: «Non è giusto che abbia la stessa quantità di raccolta come mio fratello. Lui non ha famiglia, deve farsi un tesoro per la vecchiaia. Io ho i miei figli che si occuperanno di me in futuro». E si alzava, andava sul campo e di nascosto metteva dei covoni sul lato del fratello.

Il giorno successivo tutti e due andavano sul campo e trovavano i covoni come il giorno precedente. Ma i loro pensieri non cessavano. Così s’alzavano nuovamente la notte successiva per incrementare la rendita dell’altro. Questa volta, però, si incontravano, ascoltavano che cosa l’altro aveva in mente e gioivano.

È un racconto fiabesco – sembra poco reale – la nostra realtà sembra molto diversa. Quasi ci sembra normale litigare per il nostro personale possesso e vantaggio, litigare anche talvolta tra fratelli. È diventato normale mettere delle barricate che ci dovrebbero proteggere davanti agli altri. È diventato normale accettare la rottura dei legami famigliari.

In questi racconto invece l’amore è in grado di liberare, di dare all’altro ciò che è necessario per lui, per lei. Così è anche l’amore di Dio. Così diverso, così grande. E di quest’amore parla il nostro testo biblico per oggi.

Scrive Paolo nella sua lettera alla chiesa di Efeso al capitolo 5, i versetti 1-8a

Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; 2 e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave. 3 Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; 4 né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. 6 Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. 7 Non siate dunque loro compagni; 8 perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore.

Questo testo ci parla di figli e di un genitore che cerca di educare i propri figli all’amore. Un genitore che si augura di avere una volta dei figli cresciuti che si possono comportare come questi due fratelli della leggenda che quasi non ci sembrano neanche normali. Così difficile è per noi imparare l’amore.

Il nostro testo inizia dicendo: Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati. Questo è la base di tutto. Noi siamo figli amati da Dio. Non lo si ripeterà mai abbastanza così che entri non solo nelle nostre teste ma in noi tutti. Io sono una figlia amata di Dio.

E se facciamo ancora un passo indietro e guardiamo come finisce il capitolo precedente, leggiamo che si parla di perdono. Dio ci ama e per questo ci perdona. Lo sa ogni genitore che si deve perdonare mille volte ai bambini perché non nascono così perfetti come quei due fratelli della leggenda rabbinica. Anzi. I bambini piccoli conoscono solo una legge ed è quella del “io”. IO ho fame, IO ho mal di pancia, IO ho il culetto bagnato e non esiste ragione: IO urlerò come un ossesso finché non hai cambiato la mia brutta sorte. Avete mai sentito di un neonato che pensa: «Ho fame, ma la mia povera mamma è stanca alle 2 di notte per questo mi addormento di nuovo e domani mattina le chiederò gentilmente il biberon». Non esiste! Noi esseri umani siamo egoisti, profondamente egoisti. Vediamo noi, noi e poi ancora noi.

Quando i bambini crescono iniziamo con l’educazione. Tu vuoi da bere? Diciamolo insieme: Vorrei una tazza di latte per… – Per ME!

Non è facile educare i figli ma pian pianino loro vedono, copiano, crescono… Alla fine non ci servono tante parole, perché comunque copiano tutto nel bene e nel male. Loro copiano i nostri vizi, le nostre parolacce, le nostre bugie. Copiano per fortuna anche le buone abitudine e le parole belle che diciamo. Imparano da noi la gratitudine, la costanza, la misericordia, la pazienza…

Vi racconto tutto questo perché davanti a Dio siamo anche noi nuovamente bambini che devono imparare e il nostro testo ci dice: Siate dunque imitatori di Dio. Così come i bambini imitano i genitori crescendo, così anche noi dobbiamo imitare Dio se vogliamo crescere nella fede e non rimanere dei neonati che conoscono solo i propri bisogni.

Il testo va oltre dicendo: Camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave.

Camminate. La fede è un cammino. Per un bambino appena nato non sarebbe naturale rimanere sempre neonato – e vi assicuro che i genitori non lo reggerebbero. Per un cristiano nato di nuovo di acqua e spirito non è naturale rimanere sempre in una fede da fanciulli. È naturale crescere, voler diventare più simili al genitore, appropriarsi delle abitudini buone che si vedono copiando l’esempio.

Mi rattrista se qualcuno mi dice: Io mi sono convertito nel 1953 e da lì sto saldo nella fede. – Bellissimo che ti sia convertito ma sarei molto più felice se potessi fare dei passi nella fede. Anche piccoli passi, magari due avanti e uno in retro, ma almeno qualcosa si muove. – Ogni bambino che nasce vuole crescere. Ogni cristiano che nasce come figlio di Dio vuole crescere e fare passi nella fede, cioè camminare nell’amore.

Cristo ci ha amati, ha dato se stesso per noi. Nella persona di Gesù Cristo l’amore di Dio diventa concreto per noi. In Gesù possiamo vedere che cosa vuol dire amare. Talvolta qualcuno mi dice: «Ma Gesù non c’è». Come posso orientarmi a Dio se non lo vedo? Come posso crescere se il genitore è in cielo e io in terra? Forse troviamo una risposta a questo nel prossimo versetto: Cristo si è dato per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave. Questo concetto del sacrificio non è proprio facile da tradurre nei nostri pensieri di oggi, ma mi può dire qualcosa questo riferimento all’odore soave. Un profumo non è afferrabile e comunque è reale. Un profumo mi ricorda qualcosa, mi fa sognare, mi impone di fermarmi un istante per prendere un respiro profondo.

Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; 4 né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento.

Adesso sembra di sentire la mamma con il dito alzato che dice ai figli: Non lo voglio neanche vedere tra di voi, non si nomina neppure: né fornicazione, né impurità, né avarizia! (…)né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti.

Mi colpisce che tutto questo peccato venga messo insieme. Non c’è distinzione tra un avaro, un fornicatore e uno che dice parole volgari. Ognuno che non segue l’esempio del genitore amorevole, ma segue la strada dei vari peccati, cioè dei vari modi in cui si è separati da Dio, è sullo stesso livello. Tutte queste separazioni valgono allo stesso modo, perché distaccano dal genitore, da Dio, e per questo non le vogliamo nemmeno nominare.

Conoscete l’immagine di Lutero che diceva che un peccatore è incurvato in se stesso. Guarda la propria pancia, il suo ombelico diventa il centro del proprio universo. Tutto gira solo attorno a lui, attorno ai propri bisogni e piaceri e idee.

Il nostro testo ci dice invece: piuttosto abbondi il ringraziamento. Se vuoi ringraziare devi per forzo alzare la testa. Devi guardare negli occhi la persona a cui ti rivolgi. Il ringraziamento ci solleva. Ci fa vedere Dio, ci fa guardare i suoi occhi pieni d’amore.

Abbiamo detto che la presenza di Cristo si sente come un soave profumo. Il peccato invece puzza. Conoscete anche voi questa sensazione per la quale si sente una storia o si vede una situazione e non sapete bene perché ma dite: «Qualcosa mi puzza». C’è qualcosa che non quadra, c’è qualcosa di marcio dietro. Questo è il peccato.

Non ho nessuna intenzione di farvi oggi una lista di peccati: che cosa si deve fare e che cosa no, penso che lo sappiamo benissimo seguendo i passi di Dio. Penso che siamo in grado di distinguere un profumo buono dalla puzza del peccato. Ora la cosa importante è di non cadere nel rischio di abbellire il peccato con parole belle.

Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Parole durissime che vorrei tanto abbellire un pochino, ma la logica è semplice: chi si stacca da Dio, chi non vuole seguire i suoi passi, che non vuole crescere imitando il genitore, non può essere erede. Adesso ricordiamoci un attimo della lettura che abbiamo sentito prima, il racconto del figlio perduto, e sappiamo che da parte del padre non è detta l’ultima parola. Lui è misericordioso e fa festa se torniamo da lui. Ma questo non deve illuderci della gravità del peccato.

Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. 7 Non siate dunque loro compagni; 8 perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore.

Non facciamoci l’idea che un pochino di avarizia vada bene o che quelle parole sciocche delle quali parla il testo, dovrebbero fare ridere, sarebbero solo ironia. E che l’oscenità non sarebbe così oscena, e che cosa faccio col mio corpo non deve mica interessare la chiesa…

Il nostro testo ci ricorda: Ora voi siete luce nel Signore. Voi siete nati di nuovo. Cercate di camminare in questa nuova vita, cercate di mettere in pratica la vostra fede. Imitate nella vostra vita l’amore che vedete in Dio, così siete su una buona strada. Amen

Ulrike Jourdan

Sermoni: Piazza affari ha chiuso!

La settimana scorsa abbiamo riflettuto su che cosa può darci orientamento nella vita. Oggi vorrei chiedervi che cosa ci dà valore? Dove prendete il vostro diritto di essere? Chi decide su quanto valete?

Quasi ogni giorno il telegiornale ci parla delle borse. Piazza affari ha di nuovo perso 0,1 percento e tutti tremano. Il Dow Jones ha invece vinto tre punti e tutto andrà bene. – Adesso mi potete dire che non capisco niente di economia. Avete ragione. Forse non capisco che cosa vuol dire se lo spread sale di due punti, ma usando un po’ di buon senso mi sembra assurdo che il valore di un’azienda o di un Paese intero possa salire in un giorno alle stelle e il giorno successivo scendere nell’abisso.

Ciò che succede alle borse si rispecchia anche nella vita privata. Anche noi giochiamo a ‘piazza affari’ con la nostra vita. Talvolta sono altre persone attorno a noi che definiscono il nostro valore, che lo fanno salire o scendere. Spesso sono io stesso che faccio salire o scendere il mio valore. Spesso siamo addirittura noi stessi gli azionisti più critici di tutti. Lo spread si decide sulla base di ciò che riesco a fare e avere, non solo in senso materiale. Il mio spread personale si decide in base a come io vedo la mia vita. Sono sodisfatto come sono, con ciò che faccio, come vivo, con chi vivo…? La risposta a tutte queste domande definisce il valore che io stesso do a me e che in qualche modo comunico al mondo.

Il testo biblico di oggi pone proprio questa domanda relativa al valore della nostra vita e ci invita a riflettere su quale sia l’origine del nostro diritto di essere. Leggo dalla lettera ai Romani 5,1-5

Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, 2 mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; 3 non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, 4 la pazienza esperienza, e l’esperienza speranza. 5 Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.

Il messaggio della giustificazione ci offre una risposta alla domanda da dove prendiamo il nostro valore. Mette la nostra vita su un’altra piazza d’affari, dove non dobbiamo giustificarci noi, dove il nostro valore non sale o scende secondo ciò che produciamo e sappiamo fare o secondo la nostra apparenza. Questa liberazione viene dalla giustizia di Dio. La giustizia di Dio ci dà un altro fondamento nella vita e questo succede per fede.

La giustizia di Dio fa sì che sulla piazza d’affari della nostra vita entri la pace. Pace è una grande parola. A me piace il fatto che in tanti testi biblici questa pace venga interpretata molto concretamente e in maniera basilare. Per i profeti d’Israele questa pace, lo shalom di Dio si manifesta se uno può vivere tranquillo la sua vita sotto il suo albero di fico e può diventare vecchio e avere tanti figli e nipoti. – Talvolta mi chiedo se noi con la nostra vita di oggi segnata dal pensiero del fare e produrre non ci siamo allontanati troppo dalla nostra base. Non è Dio che ci chiede di lavorare e produrre e portare a casa sempre di più e più e di più. Non è Dio che ci impone di lavorare dodici ore al giorno. Non è Dio che aveva l’idea che tutti quanti dobbiamo vivere in un posto, vicini vicini, solo per essere più vicini al nostro lavoro ed essere ancora più produttivi. Tutte queste idee non sono venute a Dio, anzi. Dio rompe le regole dell’economia nella vita, chiude la piazza d’affari e offre shalom: vita buona, vita tranquilla, vita con senso, vita anche con fatica ma quella fatica buona che ti soddisfa. Shalom.

Attraverso la fede in Gesù Cristo abbiamo accesso ad una nuova piazza d’affari con le regole rovesciate. Potremmo chiamarla anche solo piazza, senza gli affari. Una piazza di vita. Il mondo ci dice: Devi lavorare per portare soldi a casa ma Gesù invita il giovani ricco a dare via il proprio possesso ai poveri. (Matteo 19)

Il mondo ci dice: ti servono delle sicurezze nella vita ma Gesù dice: “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?” (Luca 12,20)

Il mondo ci dice che è importante apparire bene, vestirsi secondo la moda, essere bello e giovane, ma Gesù chiede: E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. (Matteo 6,28f)

Il mondo ci vuole fare credere che esiste solo una possibilità di vivere la propria vita. Inizia – finisce – e in mezzo si devono accumulare dei soldi lavorando, lavorando e lavorando. Paolo ci dice invece nel nostro testo che esiste anche un’altra realtà, una piazza di vita e lì si accede tramite la fede in Gesù Cristo.

Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, 2 mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio.

Lo so che è difficile entrare in questo vecchio linguaggio, ma ogni singola parola di questo testo è bellissima! Sono parole che tutti quanti dovremmo sapere a memoria per non dimenticarle mai: chi crede in Gesù Cristo può lasciare la piazza d’affari di questo mondo e entrare nella realtà divina, può vivere sulla piazza della vita. Lì non valgono più le regole nostre. Lì c’è shalom, si vive bene e non dobbiamo più fare vedere chi siamo, che cosa sappiamo fare, che cosa abbiamo accumulato. Ci gloriamo invece nella speranza della gloria di Dio.

Che cosa questo voglia dire ce lo illustra il successivo versetto: ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l’esperienza speranza.

Questa vita diversa in Dio non è una vita da favola. Lo shalom di Dio non ci illude sulla durezza della vita. Rimangono le afflizioni, anzi forse potrebbero addirittura aumentare. Chiedetelo a qualcuno che cerca di vivere come cristiano in Siria, nella Corea del nord o alle Maldive.

Comunque, il nostro testo ci dice che nella sofferenza si può fare vedere che cosa vuol dire avere la pace di Dio. Ci sono tanti cristiani che s’inchinano davanti alla croce di Dio ma combattono contro ogni sorta di dolore nella propria vita. Chi vede le sofferenze e le afflizioni nella propria vita solo come qualcosa di ostile e maligno, dovrebbe chiedersi in che misura ha compreso che la pace di Dio ci porta proprio attraverso le difficoltà. La pace di Dio ci dona nel bel mezzo del dolore la pazienza, l’esperienza e la speranza.

Chi ha cambiato il proprio modo di pensare con i pensieri di Dio riesce anche a vedere che l’afflizione può produrre pazienza e la pazienza esperienze e che tutto ciò porta alla speranza. Speranza in che cosa? Speranza proprio in questo Dio e nel fatto che tutto ciò che ci dice sulla vita non si dimostra una favoletta ma un fondamento solido. E Paolo ci assicura:

Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.

L’amore di Dio, il suo Spirito Santo è stato sparso nei nostri cuori. Vi rendete conto di quale valore Dio dà a noi, tanto da venire ad abitare nei nostri cuori. Dio lascia una parte di sé in noi. Ci parla con le sue parole amorevoli in ogni momento. Cerca di guidarci e confortarci da dentro.

La settimana scorsa vi ho proposto quell’immagine di Gesù che è in cielo per servire davanti al trono di Dio. Può sembrare un Dio molto lontano. Invece oggi Paolo ci dice: è proprio il contrario. Chi si apre a Dio, chi lascia entrare lo Spirito Santo nella propria vita non potrebbe essere più vicino a Dio. Dio stesso prende dimora in noi. Dio ci ama e ci fa sentire ancora di più il suo amore se dobbiamo affrontare dei dolori nella vita. Questo non vuol dire che dovremmo cercare lo stento ma che Dio ci assicura di essere e rimanere vicino nei momenti tristi e bui della vita. Lui ci dà il suo amore, così che non dobbiamo amareggiarci. La forza dell’amore che si può percepire nei credenti non viene da un senso del dovere o dalla coscienza sporca, ma solo dallo Spirito di Dio. Noi possiamo amare, perché siamo amati.

John Wesley ha sostenuto che questo sia l’unico vero segno di un metodista, avere un cuore che brucia dell’amore di Dio. E con questo dice anche che un metodista non ha nient’altro che non dovrebbe avere ogni cristiano, cioè una vita fondata e alimentata da Dio che ci ha talmente amati che ha dato il suo unigenito figlio per noi

L’affermazione che l’amore di Dio è sparso nei nostri cuori tramite lo Spirito Santo, include tutto quello che si potrebbe dire sulla nuova esistenza dell’uomo che ha lasciato la piazza d’affari di questo mondo per entrare sulla piazza di vita di Dio.

Provo a sintetizzare ancora una volta ciò che Paolo ci vuole dire in questo testo:

Noi siamo giustificati non per le nostre azioni, ma solo per ciò che fa Dio. Questo ci porta nella pace e questa pace è più forte di tutte le tribolazioni e angoscie. E così arriviamo alla speranza e alla certezza che possiamo amare perché l’amore di Dio vive nei nostri cuori.

Che bellissimo messaggio. Che gioia di vivere con Dio. Che bello poter espandere quest’amore nel mondo! Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: orientamento – compassione – grazia

Quando sono in giro a Padova e dintorni uso sempre ancora il navigatore in macchina. Trovo molto comodo non avere più le mappe stradali da tenere sulle ginocchia e doverle guardare mentre si guida; c’è la simpatica vocina dal navigatore che ti ricorda: “Fra 200 metri gira a sinistra…”

Il grande problema con i navigatori è che ci invitano quasi a spegnere il cervello. Ho un amico in Germania che si è fatto prestare la macchina dal fratello e con la macchina anche il navigatore. Tornando da una conferenza ha impostato il navigatore su ‘Base’ e seguito ciò che gli veniva detto. Il problema era che il navigatore non l’ha portato a casa sua ma a casa del fratello, che vive quattro ore distante da lui.

Ciò che voglio dire è che bisogna orientarsi di volta in volta! Troppo spesso demandiamo il compito della navigazione non solo della macchina, ma anche della nostra vita a qualcun altro. E´ bene controllare talvolta se la direzione è quella giusta.

Questa domenica è la prima del tempo della passione. Noi evangelici non abbiamo delle regole fisse su come uno dovrebbe vivere questo periodo. Nessuno ci dice che dovremmo astenerci da dolci o carne o che ne so io. Non penso che Dio sia interessato a metterci a dieta. Ma questo non vuol dire che la Quaresima avrebbe meno valore per un cristiano evangelico, anzi. È un periodo importantissimo che usiamo per orientarci nuovamente. La Quaresima è il tempo per eccellenza per alzare la testa, per verificare se la meta è giusta, per controllare che la vita vada nella giusta direzione e per fare eventuali modifiche.

Il testo proposto per questa domenica dalla lettera agli Ebrei nel 4° capitolo i versetti 14-16 vuole aiutarci a fare questa verifica della meta.

14 Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. 16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno.

L’autore della lettera non si stanca di descrivere i compiti più diversi di Gesù. In tutti i modi Gesù cerca di dare la giusta direzione alla nostra vita. Nel nostro testo Gesù viene descritto come sommo sacerdote, addirittura il grande sommo sacerdote. È doppiamente grande, questo vuol dire che Gesù va oltre tutti i paragoni e le immagini che ci possiamo fare.

Il sommo sacerdote di Gerusalemme attraversava due volte all’anno la tenda nel tempio per giungere nel Santissimo. Qui ci viene detto che Gesù Cristo non ha solo attraversato la tenda ma il cielo per servire nel santuario celeste. Gesù è come sommo sacerdote colui che ci vuole dare orientamento nella nostra fede. Vuole orientarci verso il Santissimo attraverso il culto.

Nell’Antico Testamento leggiamo spesso che il popolo d’Israele stava male quando si allontanava dal tempio, dal culto, da Dio: venivano i nemici, iniziavano delle carestie, insomma stavano male.

Ciò che è rimasto fino ad ora e di cui sono convinta, è che stiamo male quando ci allontaniamo da Dio. Stiamo male come singole persone, stiamo male anche come popolo quando valgono solo più le leggi dell’egocentrismo e del bene di pochi invece della legge dell’amore che Dio ci ha dato. Forse siamo proprio messi così male con certe faccende perché abbiamo perso questo punto di orientamento che ci dà stabilità nella vita. Sono convinta che ci serve dell’orientamento per la nostra vita e io non voglio orientarmi a niente e a nessun’altro che non a Gesù Cristo.

La lettera agli Ebrei ci dice che Gesù Cristo serve come grande sommo sacerdote in cielo alla destra del Padre. Questo ci dice che la sua opera è universale. E da 2000 anni Cristo non opera solo per il popolo d’Israele ma per tutta l’umanità in tutto il mondo. Gesù ci dà orientamento quando non sappiamo più in quale direzione muoverci e questo orientamento è scritto nelle parole bibliche e nei credi dei primi cristiani.

Esistono delle confessioni di fede che valgono per singole persone, esistono delle confessioni che esprimiamo come chiesa, addirittura come chiese. Una professione di fede è una dichiarazione simile ad un contratto che vale per due parti. Una confessione di fede non può essere unilaterale. Include sempre anche la professione di Dio verso l’umanità.

Così Gesù è il sommo sacerdote che ci vuole dare orientamento per la nostra vita. Egli è colui che siede sul trono al quale rivolgiamo le nostre preghiere e la nostra lode. Ma il testo non si ferma con quest’immagine. Va oltre.

Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato.

Questo ci dice che Gesù non è una figura astratta lontana da noi, ma così com’è vero Dio è anche vero uomo. Ha vissuto su questa terra. Sa bene che cosa vuol dire avere una brutta giornata. Conosce la frenesia e i litigi. Conosce il sentimento di voler buttare tutto via e scappare. Lui sa che cosa vuol dire essere col corpo e con l’anima alla fine e non poter più andare oltre. In questo versetto Gesù ci viene descritto così com’era nei trent’anni che ha vissuto su questa terra. Può avere compassione di noi. Nel greco sta scritto simpatia, che non vuol dire solo che noi siamo simpatici a Gesù, ma che egli ci capisce nel profondo.

Questo è in totale contrasto con la stoica apatia delle divinità greche ed è invece il cuore della fede cristiana. Questo differenzia il vangelo da tutte le altre religioni del mondo: Dio ci ama, ci capisce, ha compassione, simpatia per noi.

Gesù ha vissuto tutte le tentazioni umane, l’abbiamo sentito nella lettura. Gli è stato proposto del potere, possesso, prestigio. Forse l’uno o l’altro di noi farebbe un pensiero, ma Gesù poteva fare fronte alla tentazione. Questa è la differenza tra lui e noi. Gesù conosce ciò che fa diventare pesante la vita e la fede. E proprio per questo ci può aiutare perché conosce i pensieri e le tentazioni quotidiane. Gesù è stato tentato dall’inizio del suo ministero fino alla croce dove gli viene detto: Salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi giù dalla croce! (Mt 27,40b) Ma Gesù non si orienta a ciò che vorrebbe per se stesso. Si orienta invece alla volontà divina e questa è salvare l’umanità. Gesù è andato in croce per puro amore.

Il nostro testo va oltre dicendo: Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno.

Ricordatevi un attimo del navigatore in macchina. È importante averlo impostato bene. Noi siamo invitati ad impostarci in direzione di Cristo e di camminare poi. Se abbiamo bisogno di aiuto possiamo venire e troveremmo la grazia. L’autore della lettera agli ebrei non vuole solo che Dio venga adorato. Non vuole che nel nostro immaginario Gesù diventi una di queste divinità che stanno lontano sul trono e si lasciano adorare mentre la vita in terra gli interessa poco. Non gli basta che vogliamo bene a Gesù, vorrebbe invece che lo amiamo con tutto il cuore. L’autore della lettera ci invita a fare una confessione di fede solida.

Proprio perché sappiamo che questa vita è caotica, e perché conosciamo le tentazioni di ogni giorno, proprio per questo ci serve una fede fondata, non un pochino di spiritualità superficiale ma una vita fondata nella fede con un chiaro orientamento. E di questo fa parte il potersi aspettare qualcosa da Gesù: possiamo venire in avanti accostarci al trono e trovare lì questa grazia e misericordia della quale abbiamo tanto bisogno.

Solo così abbiamo un futuro nella grazia di Dio se la chiediamo. Noi cadremo sempre di nuovo nelle tentazioni e nelle prove della vita, nel dubbio e nel lutto, ma possiamo venire sempre di nuovo verso il trono della grazia. Colui che siede sul trono conosce questa vita, ha combattuto anche lui e ha vinto. Gesù Cristo ci vuole dare la forza così che vinciamo anche noi in questa vita ma per questo ci serve la sua grazia.

La lettera agli Ebrei ci parla di una tripla offerta:

Gesù Cristo ci offre orientamento come grande sommo sacerdote per rinsaldare la nostra fede.

Ci offre il suo accompagnamento perché anch’egli ha vissuto su questa terra.

Ci offre un futuro basato sulla grazia.

È solo un’offerta. Chi vuole accettare si accosti al trono della grazia. Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: L’amore non verrà mai meno

(culto di ringraziamento per la vita di Febe Cavazzutti Rossi)

Quando abbiamo pensato ad un testo biblico particolarmente amata da Febe, ci sono venuti in mente tanti diversi brani della Scrittura, e Ondina, la figlia, mi diceva: una volta era quello, una volta questo, amava tutta la Bibbia. Sì, Febe era “innamorata” della Bibbia in tutte le sue sfumature. La settimana scorsa abbiamo detto che il cuore della Bibbia è l’amore. Per questo vi porto oggi una poesia, un inno sull’amore; parlo del cantico d’amore che Paolo riporta nella prima lettera ai Corinzi al capitolo 13. Una poesia d’amore che crea uno stacco dal resto della lettera. È una piccola opera d’arte presa di per sé e anche se nella traduzione non possiamo più cogliere bene l’opera di composizione di queste parole antiche, possiamo comunque afferrare la bellezza di ciò che Paolo vuole trasmetterci. Scrive l’apostolo:

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. 4

L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8

L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto. 13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

L’amore, appunto, è il grande tema di questo cantico. L’amore era anche il grande tema della vita di Febe. Era cresciuta in un tempo difficile, aveva visto da bambina la guerra e la fame, ma si ricordava soprattutto del grande amore che poteva percepire nella sua famiglia. L’amore dei suoi genitori l’uno per l’altra, l’amore soprattutto del papà, del babbo che avrebbe potuto essere il nonno per la sua età, che portava questa bimbetta con sé, in ogni luogo, spesso in bici. L’amore per Dio che si viveva in questa famiglia.

È il dono più prezioso che si possa fare a dei bambini, far loro percepire l’amore, e Febe si ricordava nella sua vecchiaia di tanti piccoli gesti vissuti in famiglia. Raccontava per esempio di come la famiglia ringraziasse per ogni pasto e quando, durante la guerra, non c’era più niente nel piatto ringraziavano lo stesso per la vicinanza di Dio. È stato un gesto d’amore e Febe non ha mai dimenticato questa gratitudine.

La poesia di Paolo sull’amore si potrebbe dividere in tre grandi parti. L’inizio parla della ‘nullità dei doni senza l’amore’. Paolo ci racconta di qualcuno che parla tutte le lingue umane e anche la lingua degli angeli ma tutto ciò gli è inutile. Viene paragonato a un rame risonante o a uno squillante cembalo. Perché? Perché non usa questi doni per l’amore. Nella chiesa di Corinto era molto apprezzato il cosiddetto parlare in lingue, parlare in trance sotto l’influsso dell’ispirazione divina. Ma se queste parole angeliche non vengono pronunciate in vista dell’amore non sono nulla, così come il dono della profezia e addirittura una fede che sposta i monti non sono nulla se vengono utilizzati per scopi diversi dall’amore.

Febe aveva molti doni, ma ciò che più colpisce nella sua vita non erano i doni che aveva ma la sua decisione di metterli al servizio di Dio, di dedicarsi al prossimo. – Lei era una giovane donna, sposata, contenta, aveva una bambina di 12 anni, quando quel terribile incidente stradale le ha cambiato la vita. Avrebbe potuto decidere all’epoca di spegnersi come facevano o fanno tante altre persone in queste condizioni. Avrebbe potuto decidere che la vita e i doni di Dio non valgono niente senza la capacità di usare le gambe. Avrebbe potuto ritirarsi nel privato, chiudere ogni porta. Invece ha deciso – ed era una vera decisione – di vivere la sua vita non per sé ma per Dio e per le altre persone. Aveva deciso di affidarsi totalmente a questo Dio che l’aveva messa davanti a quella prova e di chiedergli che lui la portasse dove voleva.

Non sono qui a raccontarvi la vita di una santa. Febe stessa sapeva bene di non essere perfetta, di avere continuamente bisogno di perdono e della grazia di Dio. Ma sono stupita profondamente della forza che Dio ha dato a questa donna per muoversi. Noi che abbiamo l’uso delle nostre due gambe forse non siamo così tanto in movimento quanto lo è stata lei in sedia a rotelle. E forse non lo sarebbe stata neanche lei senza quell’incidente. Talvolta diceva che l’incidente fosse stata un’opportunità che le ha aperto gli occhi. Questa è un’affermazione di profonda fede, che m’interroga per la vita.

Nel nostro testo Paolo fa un salto dai doni di Dio all’etica e ci racconta di qualcuno che distribuisce i propri beni ai poveri; eppure, neanche questo gesto vale se non viene fatto per amore.

Proviamo a cambiare gli esempi nell’oggi. Forse Paolo scriverebbe alla chiesa di Padova: Se qualcuno andasse ogni settimana al culto, donasse dei soldi per i vari progetti della chiesa, venisse addirittura allo studio biblico, ma non avesse amore, non sarebbe nulla. Ci sono tante cose che facciamo per abitudine o per paura o addirittura per calcolo. Saranno scelte ottime, ma Paolo ci ricorda che solo l’amore dà il giusto valore a questi gesti.

Penso che nella vita di Febe si potesse percepire l’amore, altrimenti non ci sarebbero state tante persone che la cercavano regolarmente. L’amore attira. Lei aveva perso in quell’incidente la capacità di fare qualcosa per abitudine o perché ‘si fa così’. Non faceva sempre scelte che le persone attorno a lei condividevano. Non diceva sempre cose belle. Non era sempre una persona facile da sopportare, ma parlava e agiva spinta da un grande amore, anche se questo le portava alcuni inconvenienti.

Nella parte centrale della poesia il tema cambia. Adesso Paolo parla di ciò che fa l’amore.

L’amore è paziente. Non smette di amare quando ci sono dei problemi. Riesce a superare le provocazioni. L’amore ha la capacità di offrire un nuovo inizio.

L’amore non si vanta, non si gonfia. L’amore non deve sembrare più di quanto è. Non deve fare vedere con parole belle delle cose che non ci sono.

L’amore non cerca il proprio interesse. L’amore ha la capacità di non guardare a se stesso ma agli altri. Di mettere addirittura il bene del prossimo prima del proprio bene.

L’amore non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità. Leggendo questo versetto mi è venuto in mente un altro episodio della vita di Febe. Il suo impegno per la giustizia e la verità in Sud-Africa. Già in sedia a rotelle, si era convinta di dover combattere contro l’Apartheid. E uno si chiede: Perché? Perché una donna – in sedia a rotelle – dovrebbe andare in Sud-Africa? Perché una persona già debole dovrebbe contrabbandare delle immagini proibite, attaccandole al proprio corpo per mostrare in Europa l’ingiustizia che accadeva in Sud-Africa? Delle due l’una: o per pazzia o perché lo Spirito Santo guida queste decisioni. Febe agiva per amore delle persone che aveva conosciuto lì in Sud-Africa.

L’amore crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. Febe poteva credere, sperare e sopportare. In questa nostra chiesa era soprattutto lei che ha portato avanti l’impegno ecumenico, non sempre ben visto da tutti i membri di chiesa. Lei credeva in questa visione ecumenica per la quale siamo tutti uno in Cristo. Lei credeva anche in una fede espressa in maniera diversa dalla propria, credeva nel dialogo, sperava che si potesse cambiare qualcosa e abbattere le separazioni, e sopportava perché non era una via facile quella che aveva scelto.

E dobbiamo dirlo: non penso che ci siano tante altre chiese in Italia che possono affermare di essere coinvolte da quasi 40 anni in uno studio biblico ecumenico. Questo è anche merito di Febe.

Nella poesia che riporta Paolo non si parla di persone ma dell’amore. L’amore non è una caratteristica. Posso dire di qualcuno che sarebbe bello, giovane o intelligente, ma non amore. L’amore non è una caratteristica che uno ha o non ha. Ognuno può amare. Quest’amore si fa vedere nel nostro agire e nel nostro comportamento verso altre persone. L’amore vuol essere vissuto ogni giorno. L’amore vuole mostrarsi.

Questo è un pensiero profondamente metodista è così arriviamo ad un’ultima caratteristica di Febe, che trovava tanta ispirazione in ciò che scrivevano i primi metodisti. L’ultimo libro al quale lavorava e che purtroppo non ha potuto finire è su Charles Wesley, l’innologo del metodismo che ha scritto più di 6.000 inni con i quali portava la teologia dell’amore alle persone. Uno di questi inni si chiama ‘Love divine’ amore divino. E ci dice: Finish then thy new creation; pure and spotless let us be; – Signore compi la tua nuova creazione, lasciaci essere puri e senza macchie – till in heaven we take our place, – finché prendiamo il nostro posto in cielo.

Febe ha preso ora il suo posto in cielo. Non deve più preoccuparsi di questo corpo impuro e macchiato. È finalmente tornata nell’amore di Dio.

Paolo scrive: Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto

La morte ci fa sempre in qualche modo paura. Vorremmo vedere con chiarezza come siamo abituati, invece no, vediamo solo in modo oscuro come in uno specchio. Non è facile fidarsi di ciò che non c’è nelle proprie mani. Febe si fidava pienamente dell’immagine nello specchio. Lei ricordava che già il padre aveva pregato ogni sera con la famiglia: Signore, se questa notte mi chiami a te voglio essere pronto. E lei era pronta e ora vede faccia a faccia ciò che noi possiamo solo credere.

Paolo finisce scrivendo: Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore. Febe non voleva essere nel centro dell’attenzione. Non voleva che in questo culto si parlasse troppo di lei ma che si lodasse Dio. Voleva che l’amore di Dio fosse al centro. Per questo: se ci ricordiamo di lei, pensiamo all’amore che ha segnato la sua vita e chiediamoci quale segno vorrebbe lasciare l’amore nelle nostre vite.

Amen

Ulrike Jourdan

News: Scomparsa di Febe Cavazzutti Rossi

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

nella notte del 02 febbraio, è tornata alla casa del Padre, Febe Cavazzutti Rossi.

Nata nel 1931 a Vicenza, figlia del pastore metodista Gaspare Cavazzutti, già collaboratore del missionario britannico Henry James Piggot, Febe Cavazzutti ha trascorso la maggior parte della sua esistenza a Padova. Nella locale chiesa metodista è stata presente come organista, predicatrice locale, animatrice dell’impegno ecumenico, portatrice di una energia e di una testimonianza di fede che in molti ricorderanno. La sua vita è stata segnata dalla malattia che l’ha bloccata nei movimenti; eppure, anche questa esperienza drammatica è stata vissuta con una serenità di fede che per molti di noi rimarrà come insegnamento importante.

Il suo impegno per la chiesa non si è mai limitato al piano locale: per un decennio aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente della World Methodist Historical Society, aveva partecipato ad importanti momenti assembleari del movimento ecumenico europeo, aveva creato e mantenuto rapporti di fraternità e di sostegno con varie istituzioni di assistenza in diversi Paesi.

Non si era mai dimenticata di prestare attenzione affinché il metodismo e le sue radici storiche non fossero considerati un semplice residuo di un passato lontano, ma potessero continuare a vivere anche oggi: in questa prospettiva vogliamo leggere l’impegno per la pubblicazione di alcuni sermoni di John Wesley in italiano e, l’ultima fatica, non terminata, una biografia sulla vita e l’opera di Charles Wesley.

Secondo la volontà di Febe, non vi sarà un servizio funebre, ma nel corso del culto ordinario di domenica prossima, 7 febbraio, alle ore 11.00 presso la Chiesa metodista di Padova, si ricorderà con gratitudine la vita di questa sorella.