Sermone: Il cambiamento è possibile

La settimana scorsa abbiamo parlato dell’apostolo Paolo e del suo allievo che cercava di esprimere i concetti di fede che aveva imparato dal suo maestro, in parole adatte e comprensibili per le nuove generazioni. Abbiamo detto che la chiesa è come la società: in uno stato di costante cambiamento e per questo è necessario che ogni generazione trovi il suo approccio verso la fede, le risposte alle proprie domande, le parole per esprimere la propria fede.

Oggi vorrei fare con voi un passo indietro, un passo verso le origini dell’apostolo Paolo guardando quale cambiamento ha portato la sua entrata nel mondo cristiano.

Leggo dal libro degli Atti, 9,1-20

Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote,  2 e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme.  3 E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d’improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo  4 e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?»  5 Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ti è duro recalcitrare contro il pungolo.  6 Egli, tutto tremante e spaventato, disse: Signore, che vuoi che io faccia? Il Signore gli disse: Alzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare».  7 Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero stupiti, perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno.  8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco,  9 dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.  10 Or a Damasco c’era un discepolo di nome Anania; e il Signore gli disse in visione: «Anania!» Egli rispose: «Eccomi, Signore».  11 E il Signore a lui: «Alzati, va’nella strada chiamata Diritta, e cerca in casa di Giuda uno di Tarso chiamato Saulo; poiché ecco, egli è in preghiera,  12 e ha visto in visione un uomo, chiamato Anania, entrare e imporgli le mani perché ricuperi la vista».  13 Ma Anania rispose: «Signore, ho sentito dire da molti di quest’uomo quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme.  14 E qui ha ricevuto autorità dai capi dei sacerdoti per incatenare tutti coloro che invocano il tuo nome».  15 Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele;  16 perché io gli mostrerò quanto debba soffrire per il mio nome».  17 Allora Anania andò, entrò in quella casa, gli impose le mani e disse: «Fratello Saulo, il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada per la quale venivi, mi ha mandato perché tu riacquisti la vista e sia riempito di Spirito Santo».  18 In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle squame, e ricuperò la vista; poi, alzatosi, fu battezzato.  19 E, dopo aver preso cibo, gli ritornarono le forze. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco,  20 e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio.

Una prima considerazione: ci troviamo con questo racconto in una zona che praticamente ogni sera vediamo al telegiornale. La famosa conversione di Saulo/Paolo ha luogo sulla strada verso Damasco, capitale della Siria. Una città bellissima, oggi quasi totalmente distrutta. Da lì vengono le persone che cercano rifugio in Europa. Fa tutto parte della nostra storia. Sono i nostri fratelli, le nostre sorelle che devono subire la guerra in questo momento. Non illudiamoci che quella guerra sia lontana da noi.

Anche il nostro testo parla di aggressioni per motivi religiosi. È proprio Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore. Saulo è uno di quelli che vuole combattere per la sua fede ebraica, che si sente minacciato da questa nuova religione, in cui non si capisce bene che cosa facciano. Per lui era chiaro che esiste un solo Dio e che la nuova fede in Gesù Cristo potesse solo essere bestemmia contro quel Dio. – Ricordiamoci di Saulo quando noi ci sentiamo minacciati nel nostro modo di vivere e nelle nostre tradizioni.

La paura non è mai un buon consigliere, né l’ira. Ma proprio queste due “sorelle” portano avanti Paolo nella sua guerra religiosa. L’ho detto l’altra settimana che del cavallo che dipinge Caravaggio non si parla in questo racconto; invece è Saulo stesso che spira minacce come se fosse un cavallo in corsa. La rabbia di Saulo viene espressa da Caravaggio nello sbuffare del cavallo. E poi deve cadere, dal suo cavallo, dalla sua rabbia.

A me interessa guardare oggi con voi la reazione della piccola comunità di Damasco a questa conversione. Provate ad immaginarvelo. Come sarebbe se un noto jihaddista che spira minacce e stragi contro di noi arrivasse a Padova chiedendo sostengo spirituale? Lo so che il paragone non è senza problemi, ma più o meno così mi immagino il momento in cui Anania sente dirsi in preghiera: «Alzati, va’ nella strada chiamata Diritta, e cerca in casa di Giuda uno di Tarso chiamato Saulo; poiché ecco, egli è in preghiera, e ha visto in visione un uomo, chiamato Anania, entrare e imporgli le mani perché ricuperi la vista»

Che cosa sarebbe successo se Anania si fosse rifiutato di andare? È pura fantasia, chiaro. Paolo sarebbe rimasto cieco, non avrebbe mai trovato la nuova via, la nuova fede. Non avrebbe mai portato la fede in Europa. Non avrebbe mai scritto delle lettere che danno forza ancora a noi oggi. – Tutto ciò poteva succedere solo perché Anania aveva fede. Primo punto: Anania pregava e pregava in una maniera tale da non fare un monologo verso Dio, ma capace anche di ascoltare. Secondo punto: Anania era anche disposto a mettere in atto ciò che Dio gli suggeriva. Terzo punto: Anania aveva la fiducia e la speranza che Dio potesse veramente cambiare le situazioni e le persone in una maniera che, a viste umane, pareva impossibile.

Però Anania pensa prima di agire ed esprime i suoi dubbi davanti a Dio: «Signore, ho sentito dire da molti di quest’uomo quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme. E qui ha ricevuto autorità dai capi dei sacerdoti per incatenare tutti coloro che invocano il tuo nome».  Provo a tradurre. Penso che Anania volesse dire: Signore, solo per capirci, non è una buona idea. Quello è un terrorista, da questa gente uno si deve tenere lontano, quello ci vuole ammazzare. Io da quello non ci vado neanche per sogno.

Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele; – Vai, perché quel terrorista l’ho scelto io come mio strumento. – Dio afferma di avere tutto nelle sue mani, anche il più feroce guerriero è solo uno strumento nelle sue mani.

Allora Anania andò. – Questo è il momento della storia che più mi colpisce. Lui va. Lui fa la volontà di Dio anche se è convinto che questo sia pericoloso e sbagliato e anche se non vede come potrebbe davvero finire bene. Anania conosce Saulo solo come uomo malvagio. Non sa ancora niente di tutto ciò che verrà dopo. Anania va per fede.

Quando oggi qualcuno di voi mi chiedesse: ho sentito che Dio mi ha detto di fare questa o quella cosa pericolosa, devo andare? Chiaramente avrei timore nel dire: vai! – Però senza la fedeltà di Anania tutta la storia cristiana si sarebbe inchiodata. Questo mi fa riflettere e mi dice qualcosa sull’importanza di ascoltare ciò che Dio vorrebbe da me. Spero tanto che non avrà subito un compito tanto grande e pericoloso come quello di Anania, ma sono sicura che abbia tanti piccoli compiti da dare, ogni giorno di nuovo. Dio ha bisogno di credenti che siano disposti a mettere in atto la sua volontà. Noi siamo le braccia e i piedi di Dio. Senza queste braccia, senza questi piedi la fede non muove più niente.

Allora Anania andò, entrò in quella casa, gli impose le mani e disse: «Fratello Saulo, il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada per la quale venivi, mi ha mandato perché tu riacquisti la vista e sia riempito di Spirito Santo». In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle squame, e ricuperò la vista; poi, alzatosi, fu battezzato.  Dopo che Anania si mette in movimento, tutto va quasi da sé. Ora è Dio che agisce, che riempie Saulo con lo Spirito Santo e lo fa diventare totalmente suo strumento. Finalmente Saulo vede con chiarezza e tutto ciò viene sigillato con il segno del battesimo. Una nuova vita ha inizio.

E, dopo aver preso cibo, gli ritornarono le forze. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio.

Il racconto finisce di nuovo con maggior chiarezza. Serve del cibo. Cibo per il corpo cibo per l’anima e la testa. Serve l’istruzione di Paolo, servono persone che si prendano cura di questo neonato nella fede. La chiesa di Damasco era pronto ad accogliere e cibare il suo nuovo fratello. – Nuovamente mi chiedo se noi, se io sono pronta a compiere la volontà di Dio. Siamo pronti ad accogliere? Siamo pronti a condividere cibo per il corpo e per l’anima con quanti ne fanno richiesta? Spero tanto che sia così. Perché solo così può succedere che Paolo si metta a predicare e ad annunciare il Figlio di Dio.

Questo testo ci parla di una speranza. Una speranza alla quale si affidavano gli israeliti al tempo del profeta Isaia, una speranza che ha avuto un viso nella persona di Gesù, una speranza che vale fino ad oggi. Dio può cambiare persone e situazioni. Per lui niente è impossibile, però ha bisogno di persone come Anania. Spero tanto che trovi anche tra di noi un Anania.

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Parole diverse, stessa fede

Ultimamente abbiamo affrontato nelle predicazioni tanti testi di Paolo. A qualcuno piace, altri hanno problemi con quell’apostolo un po’ severo. Sento dire che il suo pensiero sarebbe troppo complicato, troppo lontano da noi oggi, non più proponibile nel 21esimo secolo.

Forse vi stupisce se vi dico che già ai tempi biblici esistevano persone che la pensavano in questo modo. E la Bibbia ha la grandezza per dare spazio e voce a uno come Paolo così come ad altri che cercano di spiegare la fede in altri termini: non per togliere qualcosa al grande Paolo ma per dare alle nuove generazioni che ascoltano con una mente diversa, la possibilità di cogliere lo stesso messaggio.

Si è fatto carico di questo compito anche un allievo di Paolo che scrive sotto il nome del maestro la lettera alla chiesa di Efeso, sviluppando lo stesso pensiero di fondo. Le chiese e i singoli credenti ai tempi di Paolo avevano determinate domande e convinzioni, ma nella generazione successiva tutto era già diverso. Loro non avevano più l’apostolo che poteva venire nella loro città per risolvere delle questioni, dovevano imparare a vivere la loro fede in autonomia legandosi non all’apostolo ma solo a Gesù Cristo.

Rispetto alle lettere paoline non troviamo nella lettera agli Efesini il racconto di conflitti e neanche una parola polemica. Mentre Paolo affrontava nelle sue lettere gli avversari con l’insegnamento e anche con delle dichiarazioni personali sulla fede – la lettera agli Efesini prende un’altra strada ed esprime in un grande inno di lode il centro della fede. È un canto di speranza alla quale la comunità è chiamata. Un inno di fede che risuona in quella chiesa, in quella lettera e anche nel nostro testo di oggi. In tedesco potremmo cantare le parole che purtroppo in italiano non esistono in forma musicata. Così vi leggo dalla lettera agli Efesini capitolo 2,4-10

4 Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati,  5 anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati),  6 e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù,  7 per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.  8 Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio.  9 Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti;  10 infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.

Le chiese in e attorno a Efeso avevano avuto un grande inizio per quanto riguarda la fede, ma questo fa parte del loro passato. – Mi è venuto spontaneo pensare alla nostra chiesa. Quest’anno festeggeremmo i 150 anni della chiesa metodista a Padova. Abbiamo un glorioso passato, con tante diverse e grandi opere diaconali e culturali. Penso alle scuole che la nostra chiesa avevo fatto nascere o anche al circolo Diodati che si occupava dell’istruzione della cittadinanza, soprattutto degli operai. Il fondatore della nostra chiesa locale, Henry James Piggott predicava qui davanti a 250 persone. Talvolta non riesco a immaginarmelo come dev’essere stato vivere e lavorare in una chiesa del genere. Una chiesa in partenza che pensava di poter cambiare una nazione intera e di poter portare l’istruzione e una fede senza superstizioni nella nostra Italia. – Se ci guardiamo intorno sappiamo bene che le nostre aspettative oggi sono ben diverse. Noi non contiamo più di avere 250 persone al culto ma con 25 in estate siamo più che contenti. Le scuole evangeliche sono tutte chiuse, del circolo Diodati sono rimasti i libri che però nessuno legge più. Uno potrebbe dire: è tutto finito non è rimasto quasi nulla. Ma questo non è vero. È cambiato l’approccio. Abbiamo altre domande, altre speranze, altri progetti oggi. Non ha nessun’senso rimpiangere il passato perché l’Oggi ci chiede un modo diverso di agire. Se tutto va come previsto avremmo a fine settembre 14 profughi negli appartamenti sopra la nostra chiesa. Per una chiesa piccola come la nostra è un impegno grandissimo. L’impronta che diamo alla nostra società non è cambiata ma il metodo e i temi sì.

Perché vi racconto tutto questo? Perché anche quell’allievo di Paolo aveva colto che le domande della fede cambiano con ogni generazione. Non il contenuto, ma il modo di esprimere la fede sì. Mentre i padri vivevano nell’euforia della nuova fede e in quella grande liberazione, i figli facevano fatica ad esprimere gli stessi sentimenti. I padri vivevano nella convinzione che Gesù sarebbe tornato ancora durante la loro vita. I figli avevano messo quell’attesa in secondo piano (e noi oggi al terzo o quarto piano!). La risurrezione di Gesù era diventata per loro più un evento storico che non il centro della loro fede.

Ma a quel punto interviene la lettera agli Efesini e afferma: la risurrezione è un evento non storico, non del passato ma del presente. La risurrezione è un evento che coinvolge i credenti e li porta nel futuro. Chi crede in Cristo e nella sua risurrezione è già risorto con lui e siede già alla sua destra nei luoghi celesti (Efesini 1,20) Per tutti quelli che credono in Cristo il pensiero della risurrezione è ugualmente lontano o vicino. Non importa se uno vive nell’anno 30 quando si poteva ancora incontrare Gesù di persona, o nel 70 o nel 2016. La risurrezione è sempre una questione di fede. Non importa la distanza temporale. Importa solo la potenza di Dio che non si ferma davanti al tempo.

E per questo il nostro testo, che vuole portare la fede alla nuova generazione di credenti a Efeso, non inizia parlando di persone ma di Dio. Lui è il soggetto. L’agire di Dio verso i credenti fa parte del suo essere e il suo agire è pieno di misericordia, amore e grazia. Vi leggo ancora una volta quella unica lunga frase: Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.

Dio non può essere altro se non misericordioso, amorevole e pieno di grazia verso i suoi figli. Questo vale per tutti, per i padri nella fede, per i figli e per noi oggi. Questo rimane anche quando il modo di vivere la fede cambia.

E adesso chiediamoci: che cos’è lo scopo della misericordia, dell’amore e della grazia di Dio? Paolo direbbe: lo scopo è la giustificazione. Ma la generazione dei figli aveva qualche difficoltà nel cogliere il significato profondo di quel termine. Per questo la lettera agli Efesini parla di salvezza.

Pensando ai tanti morti di cui leggiamo e sentiamo quotidianamente è forse diventata di nuovo un’immagine che ci dice qualcosa. L’amore di Dio salva. Chi crede è salvo senza dover pagare nessuno, senza avere delle competenze specifiche, senza portare dei certificati. Chi crede è salvo, solo così, per amore. Solo la fede salva. Chi crede è salvo.

Ciò che Paolo descrive ancora come speranza futura ci viene presentato nella lettera agli Efesini come realtà presente. La salvezza non è una speranza futura, ma è presente, già ora i credenti possono sentirsi salvi.

Un messaggio d’amore. Tante parole, tanti modi per esprimerlo. Vorrei incoraggiarci a trovare le nostre parole per la generazione di oggi che cerca la giustificazione, che cerca la salvezza, ma forse in altri termini.

Uno rimane: l’amore di Dio vuole raggiungere proprio loro. Amen

Ulrike Jourdan