Sermone: Con Gesù sulle acque

Iniziamo oggi con una barzelletta: C‘è un incontro ecumenico in Israele, al lago di Gennezaret. Il pomeriggio un prete, un pastore protestante e uno pentecostale fanno un giro e decidono di camminare sul lago. Il prete va per primo e cammina sull’acqua, il pentecostale lo segue, solo il protestante annega dopo qualche metro. Il prete dice al pentecostale: Glielo diciamo dove sono nascosto le pietre? Il pentecostale risponde: Quali pietre?

Forse potete immaginare quale sarà oggi il testo della predicazione. È il famoso racconto di Pietro che tenta di camminare sull’acqua, il racconto della paura dei discepoli e della presenza di Dio che è vicino nella paura senza però farla scomparire.

Vi leggo dal vangelo secondo Matteo capitolo 14 a partire dal versetto 22:

Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente.  23 Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo.  24 Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario.  25 Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare.  26 E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!» E dalla paura gridarono.  27 Ma subito Gesù parlò loro e disse: «Coraggio, sono io; non abbiate paura!»  28 Pietro gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua».  29 Egli disse: «Vieni!» E Pietro, sceso dalla barca, camminò sull’acqua e andò verso Gesù.  30 Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!»  31 Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»  32 E, quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò.  33 Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Veramente tu sei Figlio di Dio!»

Dov’erano le pietre? O dobbiamo pensare che ci fosse del legno in acqua così che Gesù e Pietro potevano camminarci sopra? O forse l’acqua non era molto profonda, così Gesù poteva starci dentro? All’inizio del XIX secolo c’erano diversi teologi che pensavano a queste possibilità per dare una risposta razionale al racconto. Volevano aiutare la gente a capire la storia, ma non vedevano che con questi pensieri si allontanavano dal punto chiave del racconto. Possiamo intendere che cosa il testo ci vuole dire quando prendiamo sul serio l’immagine. Il tutto diventa interessante quando uno lascia in disparte il piano razionale e si domanda come il pastore pentecostale nella barzelletta: Quali pietre?

Il nostro testo viene raccontato dopo la moltiplicazione dei pani per i cinquemila. I discepoli e anche il popolo sono sazi, sono pieni. Gesù si mostra in piena presenza, da cibo per il corpo ma soprattutto cibo per l’anima. Così rinforzati, Gesù manda i discepoli dall’altro lato del lago. Devono prendere la barca e andare lì da soli, senza di lui, devono precederlo mentre lui prende un’altra strada. Gesù si rivolge verso il monte per pregare. Le montagne sono sempre nella Bibbia dei posti speciali per incontrare Dio. Possiamo pensare a Mosè che ha ricevuto i 10 comandamenti sul monte Sinai, o alla ‘trasfigurazione’, o al monte sul quale Gesù ha tenuto la predicazione delle beatitudini. Sul monte si incontra Dio, ma per i discepoli il monte vuol dire separazione dal loro insegnante, che fino a poco tempo prima li alimentava e adesso si ritira da solo a pregare.

A questo punto il racconto prende la prospettiva dei discepoli. Loro sono con la loro barca nel bel mezzo del lago di Genezzaret, chiamato anche il mare di Genezzaret. Sono lontani dalla riva e combattano contro le onde. C’è della gente in barca che sa benissimo che cosa fare sul lago, penso a Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che hanno incontrato Gesù mentre rammendavano le loro reti da pescatori. Chi è una volta pescatore lo rimane per tutta la vita, non perde il senso per l’acqua. Conoscono benissimo il lago con tutte le sue correnti e sono ben abituati a navigare in barca. Tutto sembra a posto, ma appena hanno tolto gli ormeggi, cominciano i pericoli. – Chi legge il vangelo di Matteo dall’inizio alla fine si accorge, che così è già stato una volta. Il vento, il lago mosso, le onde. Con Gesù sulla barca che nel bel mezzo della tempesta e anche nel bel mezzo della paura, dormiva. Forse possiamo anche noi aggiungere una personale esperienza e dire: Sì, così è stato anche per me una volta, quando la paura diventava troppo grande, quando avevo terrore davanti al futuro, quando cercavo un rifugio e non trovavo niente, quando tutte le preghiere sembravano rimbalzare sul muro e sembrava che Dio dormisse.

Adesso siamo di nuovo allo stesso punto: le onde hanno il sopravvento sulla barca, la situazione diventa difficile e Gesù non c’è. Non è neanche sulla barca. Ma finora va ancora abbastanza bene tra i discepoli: sanno aiutarsi gli uni gli altri. C’è sempre uno che veglia. Uno, due, tre, nella quarta parte della notte viene Gesù.

Potremmo pensare, che adesso tutto si sistemi. Ma no: i discepoli si spaventano da morire, urlano di paura pensando ad un fantasma sul lago. – Visto che ci troviamo nel periodo dell’Epifania: anche questa è un’Epifania. Forse ci possiamo ricordare di come Mosè aveva visto Dio, ne abbiamo parlato due settimane fa. Lì Dio stesso lo custodiva di fronte alla sua gloria perché non morisse. Incontrare Dio non deve per forza essere un momento bello e piacevole. Dio ha la capacità di mettere sottosopra la nostra vita, può essere spaventoso incontrarlo. Ricordatevi dell’incontro tra Mosè e Dio sul quale abbiamo riflettuto due settimane fa. Lì Dio si è mostrato talmente forte che Mosè poteva solo vedere le sue spalle. – Forse abbiamo parlato un po’ troppo durante gli ultimi anni del buon Dio, del caro Signor Gesù che cerca di farci star bene. È giusto questo, ma la Bibbia sa raccontare anche dell’altro viso di Dio, quello che ci porta nella crisi per farci crescere nella fede.

I discepoli si spaventano davanti a Gesù perché pensano prima a un fantasma e non al loro Signore. E come una volta l’angelo sul campo diceva ai pastori: “Non temete!” così parla adesso Gesù al gruppo dei dodici: «Coraggio, sono io; non abbiate paura!» – Sono io. Chi legge tanto la Bibbia può pensare alla storia nella quale Dio si presenta a Mosè col suo nome: «Io sono colui che sono» (Ex 3,14). Forse possiamo capire con questi riferimenti che Matteo quando scriveva questo racconto non voleva porre l’accento sulle capacità specifiche di Gesù, ma piuttosto identificarlo come figlio del Dio d’Israele, Signore di tutte le forze che minacciano la vita, inclusa la morte.

Nella scena successiva lo sguardo si sposta totalmente su Pietro. Matteo ci racconta sempre di nuovo di questo discepolo che seguiva Gesù come uno dei primi, che ha lasciato dietro di sè le sue sicurezze, il suo mestiere, sua moglie e la famiglia. Pietro è stato il primo che esprime quello che gli altri non si sognano neanche, quando dice: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».(Mt 16,16) Pietro è anche stato quello che non voleva capire perché il suo amico e maestro doveva scegliere per forza la via del dolore e della morte. È stato quello che alla fine si faceva vincere dalla paura e poi si pente. Simon Pietro, il pescatore che conosce bene il lago dalla prospettiva di un pescatore ha il coraggio e vuole andare fuori dalla barca. L’elemento che per tanto tempo è stato il fondamento della sua vita, dovrà sostenerlo totalmente. Come Gesù anche Pietro non vuole annegare nell’acqua ma camminarci sopra. Non vuole più capitolare davanti alla realtà che si conosce, ma vuole superare questa realtà affidandosi a Gesù. – Se questo racconto fosse un film, adesso sicuramente diventerebbe tutto lento per poter vedere e sentire ogni piccolezza. Pietro stesso non è ancora così sicuro di che cosa succederà quando dice: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua». Noi sappiamo che è Gesù, Pietro non lo sa ancora, ma viene chiamato e esce dalla barca e cammina sull’acqua. Sperimenta proprio questo momento di leggerezza assoluta. Vede che non tutto in questo mondo è così determinato. Non tutto quello che noi conosciamo come realtà deve per forza essere così.

Pietro e Gesù sono sul lago. È un attimo di tranquillità, di pace. Si vorrebbe rimanere con quest’immagine, ma già nel prossimo momento c’è di nuovo la paura che schiaccia. Ci sono di nuovo i pensieri: Che cosa succede se Gesù delude la mia fiducia? Forse non può aiutarmi in tutta questa paura? Forse non può mantenere la sua parola? Forse non è più potente delle onde nella mia vita quotidiana? Forse non è stata neanche la voce di Gesù a chiamare? Forse è stato proprio un fantasma? – Pietro è fuori dalla barca che gli dava almeno un po’ di sicurezza (se lo vediamo con occhi umani) e si trova nel bel mezzo di un mare di paura. La barca è lontana, si sente da solo, non trova più niente che lo sostiene, e inizia ad annegare.

Già vede le onde che lo sommergono. Con la paura di morire grida al suo Signore. Quello non fa sparire né le onde, né la tempesta. Ma è presente. Stringe la mano di Pietro e lo tiene. «Perché hai dubitato?» Questa volta Pietro non risponde, tiene solo la mano di Gesù. Uomo di poca fede! – Almeno questo. La fede di Pietro non è totalmente sparita: non c’è più la grande fede, ma un po’ di fede è rimasta anche nella paura. Gesù non chiede altro, non fa storie per una situazione che ognuno che crede conosce bene. Non dice a Pietro che non avrebbe dovuto temere, va semplicemente insieme con lui nella barca vicino agli altri. Tutto si calma, il vento tace.

Che cosa dobbiamo pensare di Pietro? È un po’ matto ad uscire dalla barca nel bel mezzo della tempesta? Avrebbe dovuto sapere che sarebbe finito sott’acqua? Ci sono tante situazioni nelle quali noi reagiamo proprio così dicendo: Ma si sa che questo non funziona. Non dobbiamo neanche provare ad andare su una strada nuova, perché la realtà ci insegna i nostri limiti. È questo che dovremmo imparare da questo racconto?

Io vorrei piuttosto tenere davanti agli occhi il momento nel quale Pietro cammina sulle acque. Guarda solo a Gesù, si fida profondamente di lui e tutte le leggi di questo mondo non valgono più. Non ci sono più i limiti che di solito ci impediscono di operare. Voglio fissare quest’immagine. Quando ci fidiamo di Gesù e di lui solo è possibile quello che non ci possiamo immaginare. Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Il termine delle vergogna

Quando vi siete vergognati l’ultima volta? Intendo dire con le guance rosse, lo sguardo abbassato e con quella stranissima sensazione nello stomaco? Esistono delle persone che se vengono guardate anche una sola volta un po’ più intensamente, diventano subito rosse ma, ovviamente, questo fatto non piace loro e così diventano ancora più rosse in volto e non riescono neanche più a rispondere. Esistono, mi sembra, anche le persone che non si vergognano di niente. Quando torno la notte in macchina da Padova a Vicenza, c’è un programma in cui le persone chiamano per raccontare le proprie disavventure amorose. È incredibile che cosa raccontano pubblicamente senza vergognarsi nemmeno di dire il loro nome e la città in cui vivono. – Da una parte mi diverto ad ascoltare questi racconti frivoli, dall’altra mi vergogno io per loro.

Direi che la maggior parte di noi qui oggi, almeno ogni tanto si vergogna. Io personalmente provo facilmente vergona e sono anche una di quelle che diventano rosse, un fatto che ha sempre fatto divertire i miei amici.

Qualcuno si vergogna per la propria famiglia, altri per il lavoro che fanno o non fanno, per i soldi che hanno a disposizione, altri per il proprio fisico. Ci vergogniamo quando facciamo degli errori, quando abbiamo delle reazioni sbagliate, quando altri possono vedere i nostri punti deboli. Ci vergogniamo quando diventiamo troppo emotivi, quando perdiamo il controllo.

La vergogna ha a che fare con l’intimità – ci vergogniamo se ci ritroviamo “nudi” e ognuno può vedere ciò che vorremmo tenere nascosto. Ognuno di noi ha delle “porzioni” della propria vita che vuole tenere in ombra, ambiti che altri non devono conoscere e ai quali non devono neanche avvicinarsi.

Anche nel testo della predicazione di oggi si parla di vergogna. Leggo dalla lettera di Paolo ai Romani 1,16+17

16 Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; 17 poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà».

Paolo inizia dicendo: non mi vergogno! Non dice “professo”, ma usa la forma negativa. Non mi vergogno. – Ci saranno state parecchie persone che pensavano che avrebbe avuto di che vergognarsi. Paolo avrà sentito da diverse parti battute, disprezzo, ironia. – La chiesa di Roma alla quale scrive la sua lettera era un bel misto di ebrei convertiti al cristianesimo, greci convertiti al cristianesimo e persone del posto cioè romani, anche loro convertiti cristiani. Persone provenienti da classi sociali molto diverse e con un background culturale totalmente diverso.

Oggi nella nostra chiesa – forse non qui a Padova, ma a livello nazionale sì –  siamo italiani e ghanesi, coreani, filippini, ivoriani… con qualche tedesca in mezzo, lì c’erano greci, romani ed ebrei. Alla fine i problemi sono sempre gli stessi. Gli ebrei tenevano tanto alla Torah e cercavano di vivere secondo le leggi divine, ma i pagani non entravano nella logica di queste tradizioni che per loro erano estranee; i greci poi avevano come misura personale la filosofia e la loro visione del mondo. Ve lo dico: per un pastore c’è da disperarsi con una chiesa del genere. A tutti loro Paolo dice: voi siete uguali davanti a Dio. Siete ugualmente peccatori. E Paolo dice a voce alta: Non mi vergogno!

Hanno contestato Paolo. Gli dicevano che non conosceva neanche Gesù di persona e adesso pareva che volesse predicarlo. Gli dicevano che non si atteneva alle regole giudaiche per il cibo. Gli dicevano che portava scompiglio e che viveva sulle spalle degli altri; addirittura una sua malattia, che lui descrive come una spina nella carne, era tema d’accusa. – Paolo cerca in tante delle sue lettere di giustificarsi, sembra toccato dalle accuse. Una persona meno sensibile, qualcuno che non provasse vergogna forse non avrebbe neanche cercato di giustificarsi. Posso immaginare bene che Paolo abbia sofferto per questi rimproveri, che abbia avuto delle giornate in cui voleva buttare tutto a mare o delle notti in bianco in cui si chiedeva se valeva proprio la pena continuare.

L’accusa principale con cui Paolo doveva confrontarsi non era però contro di lui e la sua persona, ma contro quella parola della croce che lui predicava. Il messaggio che lui portava era troppo ridicolo per poterlo prendere sul serio. Gli ebrei s’immaginavano il Messia come un uomo potente, volevano vedere un re non un povero predicatore ambulante. Con i greci, Paolo doveva discutere di filosofia. Avevano delle idee personali su che cosa fosse una buona vita e il pensiero che la salvezza fosse legata a Gesù Cristo il crocifisso non convinceva. E alla fine c’erano i pagani, cioè i romani, che giudicavano i loro leader sulla base delle loro vittorie militari e Gesù non brillava in questo campo. Il messaggio che Paolo portava era tutt’al più degno di vergogna, cioè ci si poteva vergognare o sentire in imbarazzo. – Anche oggi tante persone, pur reagendo con altre parole, hanno esattamente lo stesso pensiero quando sentono parlare del Cristo crocifisso, morto e risorto.

Conosco parecchie persone che non vogliono accettare che Dio si sia manifestato proprio nella persona di Gesù. Perché in lui? Perché in Israele e non in una delle metropoli del mondo? Perché 2000 anni fa e non oggi? Perché in un essere umano se possiamo vedere Dio anche nella natura? Perché serve la croce? C’è qualcosa che non va nel piano di Dio? Perché il sangue, non è poco estetico? Non si potrebbe toglierlo o almeno tacere di questi fatti disgustosi? Non sono tutti questi pensieri dei residui anticotestamentari che oggi non valgono più per noi? – Le domande sono oggi molto simili a quelle di una volta e sono sicura che anche voi vi siete già posti almeno una volta una di queste domande.

A fronte di tutte le altre concezioni di salvezza, a fronte di tutte le offerte del nostro mondo Paolo predicava e noi oggi predichiamo l’evangelo di Gesù Cristo; questo vangelo che gli uni considerano folle e scandaloso e per gli altri apre una nuova vita– perché esso è potenza di Dio. Nel testo originale sta scritto dynamis. Dinamite, materiale esplosivo è questo vangelo. Questa potenza è potenza di azione, una potenza che cambia, che crea. Dove si predica la parola di Dio succede qualcosa. Come nel momento della creazione quando Dio ha chiamato all’esistenza con una parola, così anche oggi questa parola ha il potere di cambiare l’essere di una persona. Questo potere, questa dinamite è data nelle mani di Paolo e di tutte le persone della chiesa che portano il vangelo nel mondo.

Questa buona novella ha un unico scopo che è quello di salvare chiunque crede. Per questo dev’essere predicata. Forse conoscete l’espressione di John Wesley che diceva: “Salvare anime è il mio mestiere.” – Non lo diremmo così oggi, forse non si diceva neanche così ai tempi di Wesley o di Paolo. Forse fa parte di questo vangelo, di questo messaggio esplosivo che qualcuno guarda anche stranito. Forse è necessario che qualcuno si senta offeso prima di accettare che anche a lui serve questa salvezza, una salvezza che noi non possiamo procurarci con la nostra intelligenza, con il nostro potere, con i nostri soldi e contatti. Per tutti quelli che credono in se stessi e nella potenza personale dev’essere per forza offensiva la parola della croce.

C’è salvezza per tutti quelli che credono. Non esiste una costrizione salvifica, non esiste un obbligo alla fede, non c’è lo schiacciasassi della grazia che sfracella tutto quello che trova sulla sua strada. Dio ci prende sul serio e si aspetta una risposta alla proposta che fa. Il vangelo viene predicato, la risposta – se la vogliamo dare – è credere.

Questo vangelo viene rivelato, così ci dice Paolo. Cioè non arriviamo con tutta la nostra saggezza a ciò che Dio ha da dirci. Sta scritto: poiché in esso (cioè nel vangelo) la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà. – Giustizia è la parola centrale della lettera ai romani. La giustizia di Dio della quale scrive Paolo è quella che affascinerà Lutero che dirà che alla luce di questo versetto si aprono per lui le porte del paradiso. Poteva vivere un’altra vita, senza paura, in libertà – sicuro della giustizia di Dio.

La giustizia di Dio ci dice qualcosa di Dio. Egli è il giusto. Tutta la giustizia si misura sul suo metro, e questa giustizia viene dalla fede dice Paolo. Noi non possiamo fare niente che ci renda giusti davanti a Dio. Non abbiamo in nessun modo il potere di toglierci la colpa e la vergogna, possiamo solo affidarci alla giustizia di Dio. Noi che sappiamo come uno si sente quando è pieno di vergogna, sappiamo che davanti a Dio possiamo solo stare con le mani vuote e senza la possibilità di nascondere alcuna cosa. Lui vede tutto e dovremmo vergognarci da morire davanti a lui se…

E adesso dipende se per noi è una realtà ciò che si predica ogni domenica: il vangelo, la buona novella di un Dio che ci ama. Questo ha qualcosa a che fare con noi. Questa è la buona novella per noi che dovremmo vergognarci da morire. A noi Paolo dice: non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Vale per noi questo vangelo che capovolge il mondo. Ciò che per il nostro mondo è così importante, i soldi, il potere, il prestigio – non valgono niente davanti a Dio. Il vangelo è il potere che ci porta via dalla vergogna. Il vangelo, l’amore di Dio, è il potere che vede ciò che non va e lo esprime, ma dice contemporaneamente: ti amo, così come sei, con tutte le tue macchie scure, ti voglio bene, non devi vergognarti.

Per Paolo è importante che questo vangelo non sia nuovo. È sostenuto dalle Sacre Scritture dall’Antico Testamento. Sta scritto. E così Paolo cita il profeta Abacuc che dice: Il giusto per fede vivrà.

Il vangelo è la base di una gioia senza vergogna. Gesù dice: Non devi vergognarti. Non puoi e non devi nascondere niente davanti a me. Alza gli occhi, ti amo.

Amen

Ulrike Jourdan

News: Un funerale protestante per Sandrine Bakayoko

Non tornerà in Costa d’Avorio ma sarà sepolta in Italia Sandrine Bakayoko, morta per trombosi polmonare nel centro di Conetta. A celebrare i funerali la pastora della chiesa metodista di Padova. Che ricorda: “un’accoglienza vera è possibile”.

Roma (NEV), 17 gennaio 2017 – Si terrà nella chiesa metodista di Padova, questo venerdì alle 16, il funerale di Sandrine Bakayoko, la venticinquenne della Costa d’Avorio morta il 2 gennaio scorso nei bagni del “centro di prima accoglienza” di Conetta (frazione di Cona, in provincia di Venezia), un’ex base militare dove Bakayoko, arrivata in Italia nel settembre 2016, attendeva, insieme ad altre 1.300 persone, l’esito della sua richiesta d’asilo.

Su richiesta del marito, che ha reso noto al proprio legale la confessione evangelica della moglie, a celebrare i funerali sarà la pastora metodista Ulrike Jourdan. “Come credente mi sento di dire che aldilà della gestione dell’emergenza, che con i suoi grandi numeri sembra sovrastarci, bisogna rimanere capaci di vedere le persone. In una situazione già di per sé dolorosa, mi sembra un dramma dentro il dramma il fatto che le donne e gli uomini accolti in centri come quello di Cona non possano più essere visti come persone, ma solamente come un problema da risolvere”, ha dichiarato all’Agenzia Nev la pastora Jourdan. “Ritengo anche – ha proseguito la pastora – che la scelta dei servizi diaconali delle nostre chiese di accogliere le persone in piccoli nuclei diffusi sul territorio sia quella più adeguata. Solo così le vicende di donne e di uomini che hanno sofferto mantengono un volto che rimane impresso nelle nostre menti”.

L’allusione della pastora è al progetto-pilota dei “corridoi umanitari“, che nell’ambito di Mediterranean Hope la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) porta avanti da più di un anno insieme alla Tavola valdese e alla Comunità di Sant’Egidio. E’ significativo che al funerale di Bakayoko prenderanno parte anche 14 cittadini siriani che i corridoi umanitari hanno condotto a Padova tra l’ottobre e il dicembre scorso: muniti di visto “per motivi umanitari”, con un regolare volo di linea. “Con il principio dell’accoglienza diffusa, la Diaconia valdese (CSD) ha messo loro a disposizione 3 appartamenti in Corso Milano 6, proprio sopra la chiesa metodista – spiega Massimo Gnone, responsabile area migranti della CSD – si tratta di una storia di accoglienza, diversa e possibile, scritta sempre in Italia”.

Dopo il funerale, Sandrine Bakayoko avrà sepoltura nel vicino comune di Piove di Sacco.

Sermone: Le spalle e il volto di Dio

Il testo della predicazione di oggi è molto antico e non così facile da capire a prima vista. Si tratta di un dialogo tra Mosè e Dio. Ci troviamo nel libro dell’Esodo, cioè ancora all’inizio dei racconti biblici. Mosè ha portato il popolo d’Israele fuori dall’Egitto. Hanno attraversato il mare e adesso si trovano nel deserto; gli Israeliti mormorano perché la libertà non è così bella come loro se l’aspettavano. Hanno stabilito un patto con Dio sul Monte Sinai e l’hanno subito tradito costruendosi un idolo, il vitello d’oro. Volevano vedere Dio, dimenticandosi tutto quello che avevano visto succedere in Egitto. Il nostro testo si trova in un dialogo nel quale Mosè sta discutendo con Dio. Dio non vuole più condurre personalmente il popolo, vuole mandare un suo messaggero che camminerà davanti a loro. Mosè invece implora che Dio stesso stia vicino alla sua gente.

Quante volte chiediamo a Dio di starci vicino? E quante volte ci siamo già chiesti se è veramente vicino a noi o se la nostra preghiera rimane solo nelle parole. Quante domande vorremmo porre a Dio, guardandolo negli occhi. Mosè vorrebbe tanto vedere Dio faccia a faccia, e così si sviluppa il dialogo che vi leggo dal libro dell’Esodo al capitolo 33 a partire dal versetto 17.

Il SIGNORE disse a Mosè: «Tu hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente».  18 Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!»  19 Il SIGNORE gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà».  20 Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere».  21 E il SIGNORE disse: «Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso;  22mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano finché io sia passato;  23 poi ritirerò la mano e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere».

Tantissime persone hanno lo stesso desiderio di Mosè: vedere Dio. Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke descriveva la vita con Dio come quella di due amici che si percepiscono solamente attraverso una tenda pesante. Si sente quello che fa l’altro ma non si vede mai. Rilke avrebbe avuto il desiderio di attraversare questa tenda, ma anche lui nella sua superbia si rendeva conto che non era possibile. Noi esseri umani vogliamo vedere, vogliamo vedere almeno dei segni, come quello di cui abbiamo sentito nella lettura neotestamentaria. Il primo miracolo che Gesù fece a Cana. Così il Dio invisibile si rende visibile per noi uomini. Forse posso aggiungere che trovo questo primo miracolo molto simpatico, in questo si vede che Gesù capiva bene i bisogni della vita e anche i bisogni di una festa che non deve mancare in una vita buona.

Ma ritorniamo al nostro testo. Mosè chiede a Dio: “Ti prego, fammi vedere la tua gloria”. E Dio gli dà tre risposte. La prima è: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà». La bontà di Dio, la sua grazia e pietà diventano quasi i suoi vestiti nei quali egli si mostra e, allo stesso tempo, si nasconde. Ciò che è buono e bello diventa quasi come una metafora per Dio. In tutte le cose buone che Israele ha vissuto, ha anche incontrato Dio. E anche il vino buono di cui abbiamo sentito è un segno di questa bontà di Dio. Così il Dio invisibile si dà un volto di bontà e grazia.

Mi ricordo di una signora anziana alla quale ho fatto qualche visita in una casa di riposo. Stava male, non aveva figli né parenti prossimi, e la maggior parte del suo tempo la passava da sola nella struttura. Non mi sarei stupita se lei si fosse lamentata della sua situazione, ma non ho mai sentito lamenti. Al contrario, era piena di gratitudine per le cose buone che Dio aveva fatto nella sua vita. Era grata per ogni persona che veniva a trovarla, per ogni pezzo di torta che qualcuno le portava, e per le infermiere che venivano ad aiutarla. Prendeva tutte queste cose, potremmo dire queste piccolezze, come regali del suo grande Dio.

Talvolta non è facile vedere la bontà di Dio. Lo vediamo anche nell’Antico Testamento. Quante volte il popolo d’Israele ha dimenticato Dio? Quante volte pensava di poter andare per la propria strada? Quante volte ha fallito? Quante volte non voleva vedere la grazia e la bontà di Dio e non capiva che la vita diventa dura e senza gioia quando non c’è più gratitudine in essa? E quante volte anche noi facciamo esattamente come il popolo di Israele, incapaci di vedere la bontà di Dio e pronti a chiederci soltanto dove sarebbe questo Dio?

La seconda risposta alla richiesta di Mosè di poter vedere la gloria di Dio, contiene una restrizione. C’è una frontiera che non si può oltrepassare. Dio risponde a Mosè «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere» Trent’anni fa usciva un film nei cinema: ‘Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta’. Forse l’avete visto anche voi. Parla di un gruppo di persone che cercano l’arca dell’alleanza. I cattivi la trovano per primi e quando l’aprono non possono sostenere la vista di ciò che appare e, per questo motivo, muoiono.  Solo l’eroe del film, Indiana Jones appunto, sa che cosa bisogna fare e comanda alla sua compagna incatenata di chiudere gli occhi davanti alla gloria di Dio per non morire.

Noi uomini non possiamo vedere Dio in maniera immediata. Possiamo vedere la sua bontà, la sua grazia, la sua pietà, possiamo sentire il suo nome, ma egli stesso rimane un mistero. E tutte le immagini che ci facciamo sono diverse da Dio stesso perché conosciamo sempre solo una sua parte. È addirittura pericoloso scambiare le immagini di Dio con Dio stesso perché ci porta a definirlo, ad appropriarci di lui e, quindi, a strumentalizzarlo e manipolarlo – e questo vuole dire in ultima istanza, cercare di asservire Dio al nostro progetto.

Forse, e già di nuovo utilizzo un’immagine, forse potremmo paragonare il volto di Dio al sole. Ci fa benissimo metterci al sole. Proprio in questo periodo buio a me manca il sole, mi manca il suo calore, mi manca la luminosità e so benissimo che il primo giorno di primavera in cui farà caldo, mi prenderò i bambini e mi metterò con loro su una panca nel parco a goderci il sole. Ma so anche che il sole in estate mi fa male. Ho un’allergia al sole e quando prendo troppo sole la mia pelle si gonfia dappertutto, fa malissimo. Ecco, forse in questo c’è la somiglianza con Dio. Ci fa bene stargli vicino, ma Dio stesso ci dice: “c’è un limite oltre il quale noi esseri umani non possiamo reggere”.

Anche Mosè deve accettare questa frontiera. Anche noi dobbiamo accettarla. Non saremo mai in grado come essere umani di vedere il volto di Dio. Non possiamo capire tutte le sue azioni, non saremo mai sullo stesso livello di Dio. So che questo è duro da accettare per persone che sono abituate ad avere quasi tutto quello che si vuole. Di fatto, ci viene quasi insegnato che se si hanno abbastanza soldi o gli amici giusti si può fare tutto. Con Dio non funziona questo gioco. Egli rimane nascosto e noi non possiamo fare niente per cambiare questo fatto. Egli fa grazia a chi vuole fare grazia – è totalmente libero nelle sue azioni. Nei cieli potremo porre le nostre domande a Dio o forse non ci saranno neanche più domande quando potremo essere al suo cospetto.

Solo a chi si accontenta della schiena di Dio, saranno aperti gli occhi. Questa è la terza risposta che riceve Mosè. C’è un luogo fermo, sicuro, su una roccia sulla quale la mano di Dio diventa un tetto di protezione per Mosè quando Dio passa vicino a lui. Quando noi uomini incontriamo Dio siamo indifesi davanti a lui. Ci serve che Dio stesso ci protegga con la sua mano. Ci serve la sua benedizione. Questo non deve sperimentarlo solo Mosè ma anche noi possiamo vederlo nella nostra vita quando ci affidiamo a Dio.

Noi non conosciamo i progetti di Dio, non possiamo capire le sue azioni. Ma quando diventa buio attorno a noi, potrebbe essere che proprio Dio ci protegga con la sua mano. Solo in questo modo Dio può essere visto, nel passato, quando è passato. Quando guardiamo le sue orme, quando le seguiamo, quando sentiamo quello che egli ci dice, quando facciamo quello che lui ci mostra. Epifania è sequela. Solo da dietro possiamo vedere la bontà e la grazia di Dio. In seguito tante domande troveranno risposta e tante azioni avranno un senso. Dopo. Dovrei ricordare questo fatto quando la prossima volta chiederò: Perché Dio?

A noi rimane ancora una domanda: che cosa ha a che fare l’epifania del Dio maestoso, pieno di potenza e minaccioso, con il Dio di cui abbiamo festeggiato l’avvento tre settimane fa? Proprio in questa diversità vediamo quale grande dono Dio ci ha fatto. Per Mosè il nome di Dio era ancora: farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà. Un nome mistico, un nome esclusivo. Per noi oggi Dio ha un altro nome, cioè Gesù Cristo. E come cristiani noi abbiamo parte a questo nome per dare oggi visibilità al Dio invisibile per questo mondo.

Amen

Ulrike Jourdan