Sermone: Comunione

Abbiamo affrontato nel corso degli ultimi tre culti, tre mandati che Dio affida alla sua chiesa, ovvero l’adorazione, la diaconia e l’evangelizzazione. Oggi vorrei parlare con voi di un tema che ci tocca pienamente in una misura che non ci permette di tenerci a distanza. La comunione, cioè la convivenza in comunità.

Oggi non è più popolare essere membri di una comune o di una comunità. Il comunismo è passato. Siamo tutti individualisti ed è diventato importante avere tutte le opzioni fino all’ultimo momento. Anche quando si tratta di decisioni abbastanza semplici, rimaniamo nel vago. Da due domeniche c’è laggiù in fondo il foglio con la lista di chi verrà all’Agape del 6 novembre, che dovrebbe essere compilato. È una domanda tanto complicata? No, ma preferiamo non deciderci e così il foglio rimane vuoto.

Voi cogliete forse anche le difficoltà che porta con sé un tale comportamento. Con l’agape è abbastanza semplice da risolvere. Visto che gli ultimi anni venivano più o meno 30 persone, pensiamo che anche quest’anno arriveranno in 30 e procediamo così. Con l’appartenenza ad una chiesa diventa già più complicato. Perché essere membro di chiesa significa, almeno in una chiesa evangelica, un impegno non da poco. Perché ci si dovrebbe legare in tal modo? Perché uno dovrebbe voler fare parte di un gruppo che pretende la partecipazione regolare e per di più ancora un impegno finanziario? Quale senso ha la comunione?

Forse possiamo provare a vederlo dal lato positivo. Siccome l’appartenenza a una comunità è una cosa seria, ci aiuta il fatto che non tutti vogliano farne pare senza rendersi conto del passo che stanno per compiere. Perché chi è membro di una chiesa cristiana, è membra del corpo di Cristo. E delle membra che non sanno veramente se vogliono essere membra disturbano tutto il corpo. È il senso dell’essere membro di integrarsi nel corpo nel posto dove i precisi doni di quella membra sono necessarie. Se un corpo vuole muoversi ha bisogno di ossa, muscoli, tendini e mille altre membra che devono lavorare tutte insieme.

E sappiamo anche come può fare male se il corpo non funziona bene. Facciamo un esempio sciocco: un’unghia incarnata o un dente con un minuscolo buchino, o un livido. Cose piccole, non parliamo di vere malattie, ma quanto possono fare male! Anzi, un dente malato può fermare tutto il corpo. Ed è proprio così anche con la comunità. Cose piccole, sciocche, ridicole possono fermare tutto il corpo della chiesa.

E comunque usiamo questo sistema di fare comunità da più di 2.000 anni. Già Gesù ha voluto che i suoi discepoli facessero comunità. Un gruppo che poteva essere stabile anche dopo la sua morte e portare quindi l’evangelo in tutto il mondo. E anche Paolo non ha convertito singoli credenti ma ha formato delle comunità. Ha unito le persone così che non dovessero vivere la loro fede da sole ma potessero sostenersi a vicenda. E se proseguiamo nella storia della chiesa possiamo anche pensare a John Wesley, che forse potremmo chiamare l’inventore dei gruppi nella chiesa; è stato lui a sottolineare con grande forza l’importanza della comunione e della condivisione anche nei piccoli gruppi.

Però facciamo ancora una volta un passo indietro e consideriamo Paolo. Lui ha creato varie comunità e uno dei grandi temi nelle sue lettere sono le incomprensioni in questi gruppi. Ora vorrei leggervi una parte della lettera che Paolo scrive a una chiesa che non conosce neppure, la comunità di Roma. E ricorda a quel gruppo di investire tempo e forza nella comunione.

Lettera ai Romani 12,10-18

10 Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente.  11 Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore;  12 siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera,  13 provvedendo alle necessità dei santi, esercitando con premura l’ospitalità.  14 Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite.  15 Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono.  16 Abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili. Non vi stimate saggi da voi stessi.  17 Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini.  18 Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini.

Spesso si ritiene che Paolo sarebbe il grande teologo che ha poco a che fare con la vita concreta. Qui ciò che scrive Paolo è molto pratico. E penso che ci faccia bene meditare queste parole. Fate a gara nel rendervi reciprocamente onore. Non so chi di voi ha oggi già avuto l’idea di rendere onore a qualcuno qui. Ci è molto più facile accusare e pretendere, parlare alle spalle e mormorare, ma l’idea del rendere onore mi sembra abbastanza lontana.

In questi giorni ho letto un articolo che parla di una scuola che ha vietato un gruppo chat delle mamme (lo scambio di messaggi sul cellulare) perché è diventato troppo aggressivo e offensivo verso gli insegnanti e i singoli alunni. – È più facile dire due parole arrabbiate, aggiungendo delle faccine di rabbia che non rendere onore. Forse è tornato il tempo per ripensare le forme di convivenza.

Paolo esorta la chiesa di Roma – e anche quella di Padova – a comportarsi con rispetto ed onore. E questo vale per tutti. Gli anziani siano rispettosi nei confronti dei giovani e le persone che fanno parte da decenni della comunità siano rispettose nei confronti degli ultimi arrivati. E certamente vale anche viceversa.

E Paolo dice: Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore. Qui, Paolo ricorda, che una chiesa non fa comunione solo per stare bene insieme, ma perché ha uno scopo che è servire il Signore. È bello poter lavorare insieme. È bello percepire come quello strano corpo composto da tante membra diverse riesce a muoversi. E non può muoversi solo pian pianino ma con zelo e in modo fervente. Così sia il nostro servizio al Signore.

E Paolo continua a dire siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. La chiesa di Roma sapeva quanto può essere difficile convivere in una chiesa. Anche noi lo sappiamo. Non siamo sempre allegri e pazienti. Talvolta facciamo vedere l’esatto opposto. Ci fa male quando hanno inizio dei conflitti in chiesa. Non piacciono a nessuno. Però fanno parte del mondo reale e se non vogliamo essere una chiesa nella quale tutti si sorridono e non dicono veramente cosa pensano, così è indispensabile che ci siano anche delle contese. Il problema non è il conflitto in sé e per sè. Ciò che viene dopo è importante. Se riusciamo a parlarci dopo, a non ritirarci, a combattere per ciò che ci è importante. Questo è l’atteggiamento che ci dà speranza. È la speranza che Dio stesso agisce in mezzo a noi.

Paolo ci dice anche: Abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili. Non vi stimate saggi da voi stessi. Siamo abituati ad aspirare alle cose alte. A non accontentarci delle bassezze di questa vita. Siamo abituati a combattere per ciò che vogliamo. E Paolo ci dice: Non vi stimate saggi da voi stessi. Penso che questa sia l’affermazione chiave. Perché pensiamo spesso di sapere come funziona – anche quando si tratta della vita in chiesa o della fede. E se continuiamo su questa strada potremmo arrivare al punto di zittire Dio perché noi sappiamo meglio come funziona. Perché noi conosciamo questo mondo e le parole di Dio sono vecchie. Paolo ci vuole fare coraggio di non perderci nella voglia umana di avere sempre di più, e invece di goderci ciò che abbiamo e riceviamo sempre di nuovo da Dio.

Ancora un ultimo consiglio che Paolo ci dà per la vita in comunione. Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non è facile vivere in pace con tutti. E sappiamo quanto sia difficile non rendere il male per male. È molto più facile andare contro qualcuno quando mi succede qualcosa di scorretto. È molto più facile pensare male di una persona che non trovare qualcosa di bello e buono in qualcuno che non mi è simpatico. Ma proprio a questo Paolo ci esorta.

La comunione, la comunità, sono delle invenzioni meravigliose di Dio, ma ci danno del lavoro. Però è lavoro buono, lavoro sensato. È bello di poter investire tempo e forza nella comunità, perché è proprio questa l’idea di Dio che non dobbiamo essere da soli nella nostra fede ma possiamo aiutarci a vicenda. Penso che Dio ci voglia dire Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò una comunità che sia adatta a lui. (Secondo Genesi 2,18)

Io spero che noi nella nostra chiesa possiamo percepire la bellezza della comunione. Che possiamo vivere la gioia di lavorare insieme per costruire una comunione stabile. Spero anche che non dobbiamo nascondere i problemi che possono esserci quando delle persone vivono insieme, ma che possiamo crescere insieme.

Ci auguro di poter percepire Dio in mezzo a noi e di riconoscerlo nel volto degli altri. Amen

Ulrike Jourdan