Sermone: Evangelizzazione

Abbiamo parlato nelle ultime due settimane di due mandati che Dio da alla chiesa. Il primo era l’amore verso Dio, l’adorazione. Il secondo, l’amore verso il prossimo, il servizio in questo mondo. Oggi vorrei affrontare con voi un tema che per me dev’essere collegato al lavoro diaconale, cioè l’evangelizzazione.

Perché questi due dovrebbero essere collegati? Provo a spiegarlo con un’immagine. Conoscete le barche a remi? Si deve remare con tutte e due le braccia per potersi muovere in avanti. Se si lavora solo con un remo, la barca inizia a girare su se stessa. – Penso che sia così con la diaconia e l’evangelizzazione. Se una chiesa ha come unico scopo di aiutare le persone e dimentica di comunicare il perché, gira su se stessa. Se invece una chiesa ha tante belle parole per chiamare la gente a sé ma mancano i fatti concreti, gira sempre su se stessa, solo nell’altra direzione. Sono convinta che per una chiesa che vuole muoversi in avanti, serve l’impegno in ambedue i settori, nella diaconia come nell’evangelizzazione.

L’altra settimana abbiamo parlato della diaconia e del buon samaritano. Oggi guardiamo al tema dell’evangelizzazione.

Gesù da ai suoi discepoli un mandato che noi conosciamo come il cosiddetto mandato missionario. Alla fine del vangelo di Matteo, quando viene riassunto ancora una volta il messaggio centrale dell’evangelo, Gesù dà ai suoi discepoli, e con questo anche a noi oggi, il mandato di trasmettere la buona novella. Leggo Matteo 28,16-20

16 Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato.  17 E, vedutolo, l’adorarono; alcuni però dubitarono.  18 E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra.  19 Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,  20 insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente». 

Forse il mandato all’evangelizzazione e quello che ci è dato nei termini più chiari nella Bibbia. E comunque ho l’impressione che è anche il mandato che ci dà più problemi. – Non lo so che cosa vi viene in mente quando parlo di evangelizzazione. Mi ricordo che ne abbiamo parlato una volta a Vicenza e una signora anziana iniziava a raccontare abbastanza entusiasta delle esperienze che aveva fatto nella sua gioventù. Si ricordava di predicatori affascinanti che riempivano le chiese e di gente che si convertiva lì. Poi questa signora si fermava, quasi sembrava che stesse riflettendo su che cosa avesse detto, guarda me e mio marito e dice: ma non immaginatevi che io mi metta adesso in piazza con dei volantini! – Penso che in questa reazione troviamo tutto lo spettro dei sentimenti quando parliamo dell’evangelizzazione.

Uno dei miei primi ricordi nell’ambito dell’evangelizzazione è che la mia comunità si era convinta di voler fare un’evangelizzazione in una tenda. C’erano delle persone che si ricordavano che si faceva questo, 20 anni prima e aveva avuto successo. Erano venute parecchi nuove persone in chiesa e ora si voleva replicare quel successo. Così si faceva un incontro con un pastore responsabile per l’evangelizzazione e quello ci chiedeva che cosa vorremmo dire alla gente che dovrebbe venire. – Noi non volevamo dire niente. Questo avrebbe dovuto farlo il pastore che doveva venire per queste serate. A noi servivano solo nuove persone in chiesa. – Per me e per una grande parte della mia comunità era quasi incomprensibile e offensivo che quel pastore dicesse che a quelle condizioni lui non avrebbe fatto nessuna evangelizzazione con noi.

Mi ci è voluto un bel po’ di tempo per poter dire: sì aveva ragione. L’evangelizzazione non è il compito di certe persone, di specialisti, ma è il mandato a tutta la chiesa di Cristo.

C’è un libro meraviglioso del pastore americano Bill Hybels. Purtroppo non è tradotto in italiano. S’intitola ‘Non evangelizzare – vivi’. Questo è stato uno dei libri che mi ha aperto gli occhi che esistono tantissimi modi per comunicare la fede. Hybels descrive nel suo libro vari personaggi biblici e spiega come loro fanno evangelizzazione.

C’è per esempio Paolo che è uno che sa argomentare. È uno studioso con una mente logica che va apposta sull’Areopago ad Atene per discutere con i filosofi della sua fede. Un uomo duro e analitico con una grande sapienza. Uno che ha studiato da uno dei migliori maestri della Torah dell’epoca. Quando Paolo si mette a evangelizzare lo fa in modo intellettuale. Perché lui è così, gli piace discutere e lottare con le parole.

Però la Bibbia ci parla anche di Pietro che è l’esatto contrario di Paolo e comunque un grande evangelista. Pietro è stato quello tra i discepoli che diceva subito ciò che pensava. Era un pescatore, non uno studioso. Uno che agisce, prima di pensare a lungo. Però aveva anche in sé una grandissima fiducia, era pieno di coraggio e così lui convinceva la gente che non poteva esserci niente di meglio che una vita insieme a Gesù Cristo.

La Bibbia ci riporta anche la storia di un uomo cieco che è stato guarito da Gesù e che poi è andato in giro a raccontare alla gente come Gesù avesse cambiato la sua vita; che Gesù gli aveva aperto gli occhi e ora poteva vedere chiaramente. Quest’uomo non aveva fatto né grandi studi teologici, né aveva mostrato gran coraggio. Lui raccontava semplicemente ciò che lui stesso aveva vissuto con Dio e ha incontrato tanti che volevano sentire questa sua storia personale e così hanno trovato una via verso Dio.

Nella Bibbia troviamo anche il racconto del pubblicano Matteo che diventa a suo modo evangelista. Ha vissuto come pubblicano, aveva tanti soldi, tanti amici e gran voglia di fare festa. Potete immaginarvi il tipo. Uno di quelli che girano nelle discoteche con mille amici e non si stancano di festeggiare. Io m’immagino un bontempone, uno simpatico, forse un po’ semplice nel pensiero. Lui ha incontrato Gesù e che cosa ha fatto? Ha fatto festa per e con Gesù. Ha presentato tutti i suoi amici a Gesù durante una grande cena. Forse quel Matteo non sarà mai diventato un intellettuale, forse non poteva mai esprimere la sua fede in parole teologicamente giuste e belle. Però è stato in grado di mettere in contatto i suoi amici con Gesù. Questa è evangelizzazione.

La Bibbia ci racconta anche di una donna che sta a un pozzo e incontra lì il Signore. Prima parlano a lungo dell’acqua. Acqua vera, bagnata e l’acqua della vita. E quando quella donna aveva colto che Gesù avesse qualcosa che lei cerca. È corsa per invitare tutte le persone che incontrava. Faceva caldo. Era l’ora di pranzo quando uno sta in casa e poi fa un bel riposino. Questa donna dev’essere stata molto convincente per portare la gente verso Gesù. Perché era convinta che lì si trovi quell’acqua viva. Lei aveva sentito la buona novella, e voleva ora che tutti quanti sentissero queste parole.

Vi faccio un ultimo esempio di un personaggio biblico. La discepola Tabita. Lei è diventata con il suo modo di vivere una delle più importanti evangeliste dei primi cristiani. Una donna umile che faceva vedere il suo amore non con parole ma con dei fatti. Lei aiutava, dove poteva aiutare. Una donna che si concentrava su altre persone ed era in grado di comunicare con questi gesti di servizio il suo amore per Cristo.

Paolo, Pietro, l’uomo cieco, il pubblicano Matteo, la donna al pozzo e Tabita: sono personaggi totalmente diversi. Mi affascina molto che nella Bibbia non ci viene riportato solo UN modo per vivere l’evangelizzazione ma tanti modi diversi così come tutte le persone sono diverse. Per tutti vale il mandato: Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli. E forse è importante che cogliamo che lì sta scritto: Andate! Non, fateli venire da noi e quando ci sono è tutto fatto. No. Andate. Trovate delle persone attorno a voi. Andate e vivete la vostra vita così che la gente vede qualcosa di Cristo in voi. Se lui è il centro della nostra vita non può rimanere nascosto.

Talvolta ne parliamo tra pastori e diciamo: è pericoloso dire troppo ai membri di chiesa che dovrebbero vivere la loro fede fuori dalle nostre chiese. C’è il rischio che non tornino. C’è il rischio che loro si trovino talmente bene nel mondo che rimangono lì.  – Quel rischio c’è. Non dobbiamo nasconderlo. Però ho anche una grande fiducia.

Sapete che in Australia nell’Outback, dove ci sono dei grandissimi allevamenti, loro non hanno dei recinti. Non tengono il bestiame costretto nei recinti, ma gli permettono di muoversi liberamente. Uno dice: e se le mucche poi si perdono? Ci sarà forse l’una o l’altra che si perde anche, ma la maggior parte torna sempre di nuovo. E perché torna? Perché la fattoria è situata vicino a un pozzo e solo lì le bestie trovano acqua. – Gesù ci ha promesso dell’acqua viva ed io sono convinta che non posso trovare da altre parti un’acqua del genere che colma tutti i miei desideri. Per questo tornerò sempre di nuovo per attingere a quell’acqua.

Penso che non dobbiamo avere paura di vivere la nostra vita con le persone di questo mondo, perché sappiamo bene dov’è la fonte dell’acqua viva. Conosciamo quel Dio che s’interessa di noi personalmente, che libera, che salva, che ha un piano per la nostra vita e che ci ama come solo un padre o una madre possono amare. Questo è per me la buona novella. Questo è il vangelo.

Ognuno di noi ha fatto le proprie esperienze con Dio. Per ognuno c’è qualcosa di importante nella propria fede, se no non verreste qui ogni domenica. Proprio queste esperienze personali vogliono essere condivise. Il vangelo è solo una buona novella quando viene trasmesso. È proprio questo mi auguro: che il vangelo, la buona novella di Dio si espanda in tutto il mondo. Amen

Ulrike Jourdan