Domenica delle Palme

Esulta grandemente, o figlia di Sion,
manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme;
ecco, il tuo re viene a te;
egli è giusto e vittorioso,
umile, in groppa a un asino,
sopra un puledro, il piccolo dell’asina.
(Zaccaria 9,9)

Marco 10,46-11,11  (testo)

Una storia di mantelli!

Si, mantelli. Sono loro i protagonisti nascosti del viaggio di Gesù da Gerico a Gerusalemme. L’evangelista Marco sottolinea che Bartimeo ha un mantello, che i discepoli mettono i propri mantelli sul puledro che poi daranno a Gesù, che la folla dei pellegrini stende i mantelli al passaggio di Gesù.
Il mantello è una delle poche cose che un mendicante cieco come Bartimeo possedeva ed era una grande ricchezza: lo poteva usare come cuscino, stare seduti tutto il giorno a terra non è comodo; lo poteva usare come coperta o per nascondersi alla vista degli altri, lui che per tutto il giorno era costretto ad esporsi sulla strada per sopravvivere.
Quando Bartimeo sente che sta passando Gesù, lo chiama e Gesù, a sua volta, lo fa chiamare: non si vedono, ma è come se già si conoscessero e riconoscendosi si chiamano a vicenda.
E a questo punto, dopo essere stato chiamato da Gesù, il mantello di Bartimeo prende letteralmente il volo. Bartimeo sa che andando da Gesù troverà ciò di cui ha veramente bisogno. E infatti, dopo l’incontro e la guarigione, Bartimeo non torna indietro per recuperare il suo mantello: lui segue Gesù.

Anche i discepoli rinunciano, anche se momentaneamente, ai propri mantelli quando li usano come sella sul puledro, e anche la folla vedendo arrivare Gesù stende i propri mantelli al suo passaggio  riconoscendolo come Colui che viene nel nome del Signore per portare a compimento le profezie. Tutti lodano Gesù, gli mostrano rispetto, lo acclamano… ma tutti, subito dopo, riprendono i mantelli in mano, nessuno lo segue.
E Gesù, forse perché non viene chiamato e non gli viene fatta alcuna richiesta, non parla, si limita a guardarsi attorno.

Ogni anno, ricordando la domenica delle palme, Gesù ci passa accanto. E ogni anno dobbiamo decidere cosa fare del nostro mantello.

Possiamo tenerlo strettamente in mano per paura di perdere quel po’ di sicurezza che abbiamo e limitarci a dire di credere in Gesù, quel Dio un po’ strano che vuole sconfiggere la morte morendo e che ci rende signori sul mondo invitandoci a servire il nostro prossimo.
Possiamo stendere il nostro mantello ai piedi di Gesù, confessando la nostra fede nel re che viene ad instaurare un nuovo regno… e aspettare che lui realizzi quello che noi abbiamo in mente per la nostra vita.
Possiamo gettare via il nostro mantello, perché riconosciamo come Bartimeo che dopo Pasqua qualsiasi mantello, qualunque sicurezza abbiamo in mano, non serve più a niente. E vedendolo passare, possiamo chiamarlo, attirare la sua attenzione, sapendo che lui risponderà al nostro richiamo e ci chiamerà a sua volta donandoci ciò di cui abbiamo bisogno.

Sono tre scelte diverse che per quanto abbiano le stesse parole, “credo in Gesù Cristo Salvatore”, hanno conseguenze molto diverse.

Dire “io credo” con il mantello in mano significa non aspettarci niente da Dio adesso; questa è la fede del poi, del “qui sulla terra ognuno si deve arrangiare come può, quindi si, credo, ma ne riparliamo nel regno che verrà”. Penso che questa sia una posizione molto diffusa, anche se è l’espressione di una fede senza speranza, una fede triste e solitaria.

Se dico “io credo” e stendo il mio mantello davanti a Gesù, riconosco la sua regalità, l’onore che gli spetta: penso di sapere tutto di lui, di averlo riconosciuto, come la folla che accoglie Gesù a Gerusalemme. Ma a volte Dio non è come noi vorremmo che fosse: i suoi piani non sono i nostri, e rischiamo di non accoglierlo quando i nostri pensieri e i suoi pensieri divergono, esattamente come accade alla folla nei giorni successivi; rischiamo di non riuscire a comprendere le sue parole, proprio come accade ai discepoli prima della resurrezione.

E poi c’è la fede di Bartimeo, una fede senza pretese, che non ha bisogno di vedere, ma si fida e contro ogni ragionevolezza si affida a Dio gettando via il mantello per seguire Gesù. È la fede che si esprime nel condividere con gli altri e le altre la gioia della salvezza: una fede non solitaria, ma lieta nella comunione con Dio e con gli altri.

Sorelle e fratelli, dove mettiamo quest’anno il nostro mantello?
In questo periodo stiamo sperimentando la fragilità del nostro essere umani e l’instabilità delle nostre sicurezze… ma riusciamo ad affidarci a Dio, a chiamarlo, a esprimergli il nostro dolore, la nostra sofferenza, i nostri dubbi e, come Bartimeo, a gettare il nostro mantello certi di ricevere da lui ciò di cui abbiamo bisogno? Sappiamo rinunciare alle nostre idee e alle nostre aspettative su Dio per dialogare con lui chiedendogli le risposte che non riusciamo a trovare da soli e chiedendogli il conforto che ci può consolare, quella Parola di vita capace di rinnovare la nostra speranza?

Io credo. Diciamolo con le mani libere, alzate insieme verso il nostro Salvatore.
Amen.

Inno 96 (clicca per ascoltare)
“A Gerusalemme il Signor giungeva” – Innario Cristiano, Claudiana
Ivan Furlanis, organista della Chiesa Metodista di Padova

La benedizione di Dio,
che guida le nostre speranze e i nostri sogni, ci conceda la pace;
la benedizione di Gesù Cristo,
che entra nelle nostre città per portare la salvezza, ci conceda la pace;
la benedizione dello Spirito Santo,
che ci sostiene nelle nostre paure e nelle nostre difficoltà, ci conceda la pace;
in questa domenica delle Palme,
durante il ricordo degli eventi della settimana santa, fino alla croce del venerdì santo e oltre,
per accogliere con gratitudine la speranza certa e i sogni realizzati della nuova vita
nell’alba del mattino di Pasqua. Amen.

Past. Daniela Santoro

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