Sermone: La verticale messianica
L’autore ebreo Manès Sperber racconta di un gioco che faceva da bambino con i suoi compagni di scuola. Lo chiamavano ‘La verticale messianica’. Lo scopo era di rimanere il più a lungo possibile sulle proprie mani con la testa in giù o di camminare più a lungo di tutti in questa posizione. I ragazzini volevano prepararsi per il periodo messianico sapendo che quando il messia avrebbe fatto ritorno, avrebbe messo tutto il mondo sotto-sopra. I piccoli saranno i grandi, i poveri saranno ricchi e quelli che erano sempre oppressi non lo saranno più. I ragazzini si volevano preparare con il loro gioco a quest’evento.
Avvento, penitenza, dare alla vita una nuova meta in direzione messianica – per Sperber è stato un giochino. Per Giovanni, detto il Battista, è stata letteralmente una predicazione nel deserto. Voglio leggervi questa predicazione così come è riportata nel vangelo di Luca al terzo capitolo,1-14:
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, 2 sotto i sommi sacerdoti Anna e Caiafa, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 Ed egli andò per tutta la regione intorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati, 4 come sta scritto nel libro delle parole del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. 5 Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato; le vie tortuose saranno fatte diritte e quelle accidentate saranno appianate; 6 e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio”». 7 Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? 8 Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: “Noi abbiamo Abraamo per padre!” Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo. 9 Ormai la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». 10 E la folla lo interrogava, dicendo: «Allora, che dobbiamo fare?» 11 Egli rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani per essere battezzati e gli dissero: «Maestro, che dobbiamo fare?» 13 Ed egli rispose loro: «Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato». 14 Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?» Ed egli a loro: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga».
Nei primi due capitoli del suo vangelo, Luca racconta la nascita e l’infanzia di Gesù e di Giovanni Battista. Luca intreccia le loro due vite sin dall’inizio. Con il terzo capitolo apre la parte centrale del suo vangelo e di nuovo vediamo nel principio del suo racconto Giovanni Battista e Gesù, adesso come uomini cresciuti.
Luca ci tramanda accuratamente i dati politici della storia per farci capire che quello che viene riportato su Gesù non è successo sull’isola che non c’è, ma in luoghi conosciuti e in un tempo ben determinato. Luca cita l’imperatore Tiberio e i sommi sacerdoti Anna e Caiafa. Grazie a questi dati possiamo sapere che tutto questo è successo negli anni 26-29 dopo Cristo.
A quel tempo, così scrive Luca, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Luca ci ripete delle parole del profeta Isaia per mettere in chiaro che queste promesse dell’Antico Testamento iniziano ad adempiersi con Giovanni e la sua predicazione.
«Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato; le vie tortuose saranno fatte diritte e quelle accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio”».
Non lo so se oggi si farebbero ancora così grandi preparativi per l’avvento del messia. Ogni valle sarà colmata, ogni monte e colle sarà spianato per costruire una via trionfale sulla quale può arrivare il salvatore. Oggi sicuramente ci sarebbe qualcuno che ha qualcosa contro. Costa troppo, non è bene per l’ambiente, abbiamo già visto abbastanza persone che sono entrate nelle nostre città trionfando.
L’Antico Testamento non conosce questi problemi. Con questa visione vuole esplicare quanto meraviglioso e rinnovante sarà l’avvento del Salvatore – un’immagine bellissima, spesso usata da musicisti e letterati.
E in questa bella immagine vediamo Giovanni Battista. Egli predica la penitenza, l’esortazione alla conversione, e sigilla tutto ciò con il battesimo nel Giordano. Anche Gesù si farà battezzare da Giovanni.
La predicazione di Giovanni non potrebbe essere più chiara: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Questo lo dice alla gente che viene per sentirlo. Non voglio accondiscendere a tutte le immagini, ma quello che secondo me è importante è la meta di Giovanni: parla per tutta la gente che viene da lui al Giordano. Non predica solo per la gente normale, ma anche per gli emarginati come i pubblicani e i soldati, gente con cui nessuno voleva avere a che fare. Forse potremmo paragonarli oggi con i mafiosi o con i finanzieri che hanno rubato tanti soldi. Proprio anche loro vengono coinvolti da Giovanni, lui predica anche per loro.
Il contenuto della predica non è totalmente nuovo: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» Questa è la linea guida del comportamento etico di Giovanni. È un comportamento che dovrebbe interrogare anche noi che di solito non abbiamo due tuniche nell’armadio ma piuttosto cinque o sei. E comunque non è facile per noi dare una di queste cinque via, perché pensiamo che si potrebbe usare ancora una volta. Non dico di più, sappiamo tutti che è follia quello che facciamo.
Giovanni non predica neanche il rigorismo che sosterrà Gesù nella parabola del giovane ricco al quale dice: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, … poi vieni e seguimi. (Lc 18,22) Di fronte a quest’esortazione rimaniamo tutti un po’ basiti visto che un minimo di sicurezza e anche di possesso vogliamo averlo tutti, se no non faremmo la vita che facciamo da piccoli borghesi. Giovanni tenta di incontrare i suoi uditori laddove sono. Egli non pretende che loro facciano una vita di ascesi e di povertà come lui stesso o come in seguito lo faranno tante persone nella storia. Lo scopo di Giovanni è piuttosto di incoraggiare la gente ad aprirsi nel loro quotidiano per i poveri, a non chiudere più gli occhi davanti al prossimo e ad aiutare molto semplicemente dove ce n’è bisogno.
In tutta la sua drasticità questa predicazione di penitenza rimane molto umana. Giovanni dice alla gente come si possa vivere meglio nel quotidiano.
Giovanni non lascia intravedere delle false sicurezze: non l’essere membro di una chiesa è decisivo per Dio, ma piuttosto il fatto che qualcosa dell’amore di Dio si rispecchi nella nostra vita. Giovanni non mette in discussione il fatto che una persona possieda qualcosa, fino a quando questo possesso non impedisce di aprirsi al prossimo. Vuol dire: fina a quando non teniamo il nostro possesso solo per averlo e per farlo crescere, fino a quando noi decidiamo di usare quello che possediamo e non siamo posseduti da queste cose, fino a quel punto va benissimo anche il possesso.
Oggi non possiamo fingere di non conoscere ciò che Gesù stesso ci ha portato e insegnato: la sicurezza che l’amore di Dio vale per tutti gli uomini, indipendentemente da come essi siano. E in base a questa premessa è ancora più ovvio che Dio pretenda da noi che ci apriamo per il nostro prossimo che ha bisogno. – Come risposta dell’amore di Dio per noi.
In quest’apertura Giovanni include anche i pubblicani e i soldati. Anche loro vanno al Giordano per farsi battezzare. La sua risposta alla domanda «Maestro, che dobbiamo fare?» non mette in discussione il loro mestiere e non pretende che essi mettano da parte il loro lavoro. Giovanni voleva che la gente cambiasse il proprio comportamento con il prossimo. Questo poteva succedere facendo ogni mestiere. Ai pubblicani dice: «Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato» e ai soldati: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga». Avendo le nostre sfide di oggi in mente potremmo quasi dire che Giovanni da una risposta non rivoluzionaria.
All’epoca sicuramente non lo era. Gli uditori avranno seguito il dialogo con i pubblicani e con i soldati molto criticamente. Con loro non si parlava neanche, (per un buon ebreo) erano esclusi dalla vita quotidiana e dalla comunione.
Oggi, avendo molte più possibilità, che cosa ci direbbe Giovanni alla domanda: Che cosa dobbiamo fare noi da uomini responsabili per vivere la nostra fede?
Il principio fondamentale che sostiene Giovanni è: Ogni persona è responsabile per le sue azioni e per il suo prossimo, indipendentemente da come vive o lavora. Quest’opinione può anche essere una chiamata per noi oggi.
Un tale atteggiamento e da imparare, forse come nel gioco che citavo all’inizio nel quale i ragazzi camminavano con la testa in giù. Non è facile, non funziona da oggi a domani, ma vogliamo farci incoraggiare da Dio a vivere la nostra vita in maniera responsabile davanti a lui, così che la vita possa vincere in questo mondo. Questo è lo scopo, duemila anni fa al Giordano e oggi qui a Padova. Amen
Ulrike Jourdan