Sermone: LO SPIRITO CREA DIVERSITA’
“Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema!» e nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo. Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l’interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole.” (1 Corinzi 12,1-11)
Dal passo che abbiamo letto emerge che lo Spirito Santo è l’unica fonte di diversi doni, mediante i quali i credenti danno la loro testimonianza per il “bene comune”. Senza lo Spirito nessuno può dire “Gesù è il Signore” e quindi nessuno può arrivare alla fede, a comprendere il lieto annuncio dell’amore di Dio che distribuisce gratuitamente i doni come vuole.
A pensarci bene, dobbiamo riconoscere che già qui c’è qualcosa che cozza contro la nostra indole umana. La gratuità insita nel dono ci può mettere in difficoltà, abituati come siamo a ragionare in termini di ricompensa o di scambio di favori e di doni.
Certo, siamo abituati a dire e sentirci dire che la grazia sovrabbondante di Dio ci viene donata per suo puro amore, ma credo che talvolta possa risultarci difficile capire la portata di questo concetto, abituati come siamo a ragionare in termini di “Do ut des”. Ed è così difficile che in altre confessioni, così come nel dire comune, troviamo il termine di “azioni meritorie”, quasi che non si riuscisse a concepire una grazia così sovrabbondante dispensata gratuitamente.
E, ripeto, anche se da credenti protestanti siamo convinti che le azioni, per buone che siano, non sono certo meritorie, cioè non concorrono alla salvezza che ci deriva solo da Dio, dobbiamo riconoscere che tutta questa gratuità è difficile da capire, anche perché non c’è nulla da capire, ma dobbiamo solo accettarla per fede nel Signore e nel suo grande amore.
Un amore così grande che non si può esprimere, perché completamente anacronistico, secondo le categorie mentali umane. Ecco allora che, se riusciamo a riconoscere i doni che abbiamo ricevuto (e questo possiamo farlo) e se non imputiamo questi doni alla “sorte”, possiamo accettare che essi sono la manifestazione dello Spirito, che si sparge sui credenti come vuole, in modi assai diversi, ma sempre in modo totalmente gratuito, sconvolgendo le nostre categorie mentali, le nostre idee, le nostre abitudini, perché è qualcosa che va oltre noi, oltre il nostro pensiero, oltre i nostri limiti.
Evidentemente questo non è un problema solo nostro, di uomini e donne dei tempi moderni, perché Paolo scrive alla chiesa di Corinto e cerca di spiegare che la diversità di doni ha però origine da un unico Spirito e se così scrive, significa che le medesime difficoltà di pensiero e accettazione che possiamo avere noi oggi, le avevano anche i Corinzi.
Orbene, questa difficoltà di comprensione può trarre origine dal fatto che i differenti doni in realtà creano diversità fra gli uomini: qualcuno ha la conoscenza, qualcun altro la sapienza, altri ancora la profezia, per non parlare della diversità di lingue e della capacità di saperle interpretare. In questo senso credo che la diversità di lingue stia a significare la diversità di cultura dell’etnia cui si appartiene, di abitudini sociali, di convenzioni e credenze proprie del popolo di cui si è parte.
Certo sarebbe tutto più semplice se uno stesso Spirito creasse omogeneità.
Invece NO! Accade esattamente il contrario, perché la diversità non è una minaccia, bensì una opportunità che ci viene proposta per costringerci ad andare oltre il nostro limitato orizzonte, allargando la nostra visione della vita, imparando ad accettare il diverso da noi.
Non è facile. No, proprio non è facile.
Come chiesa sappiamo che non è facile accettare chi ha teologie ed ecclesiologie differenti dalle nostre. E come individui constatiamo spesso quanto sia difficile esercitare la pazienza e l’accettazione con coloro che hanno un diverso approccio alla vita rispetto a noi, ai nostri convincimenti, alle nostre aspettative.
Risulta, ad esempio, difficile condividere ciò che siamo con coloro che mettono in atto comportamenti che ci turbano o che ci fanno soffrire; e non mi riferisco a persone cattive e malvage (che pure esistono), ma a coloro che sono vicini a noi, oppure che incrociano la loro vita con la nostra, ma hanno il loro carattere oppure vengono da esperienze differenti, talvolta totalmente opposte alla nostra.
Ad esempio, a me risulta molto difficile esercitare la pazienza e la comprensione con mio figlio o con il mio Amico del cuore, perché sono due persone reattive e impazienti e devo fare un grande sforzo per non litigare. In quei momenti mi risulta difficile comprendere che un carattere differente dal mio è una ricchezza anche per me, un dono che mi viene messo a disposizione.
Oppure posso capire come alcune persone possano sentirci a disagio se il figlio dichiara di essere gay, oppure ancora se incappiamo in una persona che ci si attacca come una cozza, perorando le sue necessità con insistenza. Possiamo essere così delusi o indispettiti da non vedere i doni che costoro hanno.
Ma ci potrebbero essere molti altri esempi che ci inducono a riflettere su quanto sia complicato riconoscere negli altri lo Spirito, accettare le loro diversità rispetto a noi, riconoscere che la diversità non è un limite, bensì una ricchezza.
Paolo infatti dice: «Vi sono doni diversi… vi sono diversi modi di servire… vi sono diversi tipi di attività… ma uno solo è lo Spirito, uno è il Signore. Lo Spirito si manifesta in modo diverso».
Ma qual è il fine della diversità, se riteniamo che essa sia un dono del Signore?
Paolo è chiarissimo in questo: il bene comune. Dunque possiamo dire che lo Spirito crea diversità affinché le caratteristiche di ognuno siano impiegate per il bene comune.
Questo ci dice l’apostolo; lo dice a noi oggi, a noi che preferiremmo l’uniformità perché i pensieri diversi di ognuno, i diversi comportamenti e usi sociali, i diversi approcci etici, così come le diverse teologie e le diverse spiritualità, possono metterci a disagio e facciamo fatica ad accettarle, facciamo fatica a considerarle “dono dello Spirito”, perché siamo più portati a pensare che la nostra concezione etica sia quella “giusta” e ci dimentichiamo invece che la centralità del messaggio di Gesù Cristo non coincide certo con le forme ecclesiologiche che ci siamo dati, o con la nostra teologia, o con una certa etica, o con le convenzioni sociali che noi preferiamo.
NO, il messaggio del Vangelo risiede nel Signore crocifisso e risorto per noi, per il nostro bene, per la nostra salvezza (quella di tutti), per il nostro perdono e perché potessimo orientare la nostra esistenza nella dimensione di un amore che non ci lascia mai e che ci invita invece a far sì che la diversità non diventi divisione, perché le divisioni danno come frutto solo conflitti, mancata accettazione, guerre, violenze e morte. Tutti aspetti e accadimenti ben lontani dal “bene comune”.
Dunque, per Paolo, lo Spirito agisce in modi diversi per il bene comune: come dire che quando noi agiamo solo per il bene particolare di qualcuno, di un gruppo, di un clan, di una sola comunità, ed escludiamo gli altri, quell’agire non è opera dello Spirito Santo, ma opera nostra, opera umana destinata a fallire.
Il bene comune è invece la prospettiva dello Spirito, lo scopo a cui mira l’opera dello Spirito.
E allora, che cosa significa per noi tutto questo?
Significa imparare a riconoscere l’azione dello Spirito che agisce per il bene di tutti, perché tutti possiamo beneficiare ciascuno gli uni degli altri, nella reciprocità, nella condivisione, a partire dalle nostre diversità e dai nostri doni.
Significa non arginare l’opera dello Spirito entro i propri steccati, i propri confini o i propri orizzonti, le proprie idee.
Ciò che è diverso da me, non è contro di me, ma per me. Questo ci vuole insegnare l’apostolo Paolo.
Lo Spirito ci incoraggia a lavorare, agire, lottare per il rispetto della diversità, perché il contrario significherebbe soffocare, spegnere, disprezzare l’opera dello Spirito.
Ci dia dunque Dio, attraverso il soffio del suo Spirito, la capacità di comprendere, anche dentro la nostra storia individuale, le nostre tradizioni, le nostre esperienze di vita, l’opera che lo Spirito compie, qui e ora, come altrove e in modo diverso, per il bene nostro, di coloro che ci sono vicini e dell’umanità intera.
AMEN!
Liviana Maggiore