Sermone: PREDICAZIONE DI DOMENICA 7 LUGLIO 2013 (Is 43:1-7; Mt 28:16-20)

Domenica 7 Luglio è stata una giornata speciale. I giovani evangelici del Nord Italia che si riconoscono nella F.G.E.I. (Federazione Giovanile Evangelica Italiana) hanno tenuto un “precongresso” in vista del grande Congresso nazionale in autunno. Il tutto per unire, in un grande spirito fraterno, i  giovani e le giovani delle Chiese Battiste, Metodiste e Valdesi con proposte, idee ed obiettivi . I giovani hanno scelto di condividere con la nostra comunità il momento del culto, prendendosi carico dell’organizzazione della liturgia e della predicazione.

Ecco quindi il testo del sermone, tenuto da Stefano Bertuzzi, della Chiesa Evangelica Metodista di Trieste e consigliere della F.G.EI.

Tu sei prezioso ai miei occhi

Tu sei prezioso

“Quale dichiarazione d’amore intensa e straordinaria è quella che fa il Signore, per mezzo delle parole del profeta Isaia, nei confronti del suo popolo: “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo!”; “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!”. Un annuncio, oltre che di amore, anche di salvezza. Forse uno dei più caldi, avvolgenti e forti dell’antico testamento, che troviamo, tra l’altro, in uno dei libri caratterizzati da parole di condanna tra le più severe e dure di tutta la Scrittura. Dobbiamo precisare però, che a differenza dei primi capitoli dello stesso libro, scritti probabilmente da Isaia in persona, qui ci troviamo di fronte alle parole del cosiddetto Deuteroisaia, un secondo profeta con lo stesso nome del primo, o forse, addirittura, un gruppo di profeti provenienti dalla “scuola” del primo. E questo profeta, si trova a predicare in un tempo ed in un contesto molto differenti rispetto al primo, cioè nel sesto secolo prima di Cristo, durante l’esilio di Israele in Babilonia. Se avete avuto modo di seguire il percorso che la Fgei – la Federazione Giovanile Evangelica Italiana – ha fatto negli ultimi anni, vi ricorderete che il tema del sermone consigliato per il culto giovani nel 2012 era centrato sul capitolo 29 del libro di Geremia, profeta che anch’esso si rivolge agli esiliati in Babilonia attraverso – tra i molti altri – lo storico versetto 7: “Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene”. Seguito, poco più avanti, da un’altra frase d’amore: “Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi”. Qui però, quello stesso sentimento d’amore che troviamo in Isaia è “a parti invertite”: sarà Israele a cercare con tutto il suo cuore il Signore; sarà Israele ad amarlo! D’altra parte Geremia è un profeta concreto, quasi un “politico” – come lo avevamo definito durante il culto organizzato a Trieste su questo tema – il quale vuole indicare al popolo la strada da seguire per una permanenza serena in Babilonia e per un rapido ritorno in patria. Isaia, il cui nome in ebraico significa “il Signore ha salvato”, è invece il poeta della fede, il profeta – appunto – della salvezza. Possiamo dire quasi che, mentre Geremia sembra parlare alla testa, al cervello, Isaia invece si rivolge al cuore – o forse di più – direttamente alle membra di chi lo ascolta. Due esperienze profetiche straordinarie e complementari che racchiudono l’eccezionale unicità della voce del Signore. Nei pochi versetti di Isaia che abbiamo letto quest’oggi, quella voce di Dio è capace di ripercorrere metaforicamente – ma anche pragmaticamente – la storia del rapporto con il suo popolo: “Cosí parla il Signore, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele”. Un chiaro riferimento sia alla creazione del genere umano sia alla scelta della discendenza di Abramo, Isacco e poi Giacobbe – o Israele – come popolo eletto. Ma ci sono anche i riferimenti all’attraversamento delle acque – e il pensiero va subito a quelle del Mar Rosso – così come quello del fiume; due attraversamenti che fanno pensare all’inizio e alla fine dell’esodo, con l’ingresso glorioso nella terra promessa attraverso il Giordano. E poi ancora il fuoco, nel quale Dio si è manifestato più volte e in diverso modo. Un fuoco che diventerà persino lampada al piede che non brucia ma illumina il sentiero, e guida nel cammino. Tuttavia il Signore non si ferma alla storia, al passato: così, dopo la dichiarazione d’amore, scopriamo la profezia, la promessa: “Non temere, perché io sono con te; io ricondurrò la tua discendenza da oriente, e ti raccoglierò da occidente”. Il Signore, dunque, non ama “e basta”: il suo amore si tramuta in azioni tangibili, in questo caso nel ritorno dall’esilio in Babilonia verso la terra della promessa, nella riunificazione della sua grande famiglia con Lui stesso. Un impegno tremendamente importante per un popolo che certamente si sentiva solo e abbandonato e che, probabilmente, iniziava a dubitare della potenza, se non addirittura della presenza del suo Dio. Ora, con queste parole, il Signore di Israele gli dona nuova speranza: Lui c’è, è forte, lo ama, lo ricondurrà nella terra che gli appartiene, ricreando la Sua comunità, la Sua famiglia. Eppure la promessa e la profezia che leggiamo nel capitolo 43 di Isaia contengono qualcosa di più. La Parola che illumina e guida qui non è soltanto rivolta al popolo di Israele in esilio, ma interessa tutte e tutti noi: “Dirò al settentrione: «Da’!» E al mezzogiorno: «Non trattenere»; fa’ venire i miei figli da lontano e le mie figlie dalle estremità della terra : tutti quelli cioè che portano il mio nome, che io ho creati per la mia gloria, che ho formati, che ho fatti”. I figli e le figlie di Dio devono giungere a lui “da tutte le estremità della terra”, da ogni luogo su questo pianeta per riunirsi in quella grande famiglia di cui dicevamo poco fa. Ed è impossibile non rileggere queste parole alla luce di quanto detto da Gesù in Matteo al capitolo 28: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. “Tutti i popoli”! “Le estremità della terra”! Ecco che qui scopriamo come il Signore non si rivolga soltanto al popolo di Israele: la chiamata di Dio avviene per tutte e tutti in maniera collettiva, ma nel contempo è anche personale! E lo stesso vale per le sue dichiarazioni d’amore. Sorelle e fratelli, il Signore chiama per nome ognuna e ognuno di noi: in “Giacobbe”, in “Israele”, oggi leggiamo Federico, Alberto, Caterina. “Ti ho chiamato per nome, tu sei mio”! Ciascuna e ciascuno può sentirsi ora formato da Dio, riscattato dal giogo della schiavitù; può appartenere a Lui nella libertà che Egli ci dona con la Sua infinita bontà. Adesso siamo finalmente consapevoli che quando ci troviamo ad affrontare le acque tempestose delle nostre tribolazioni, i fiumi in piena fatti di ostacoli all’apparenza insormontabili, il fuoco dei problemi quotidiani dai quali, spesso, ci sentiamo divorati, Egli è con noi per darci forza, coraggio, aiuto e soprattutto protezione. Ciascuna e ciascuno di noi è prezioso ai suoi occhi: prezioso per come è, prezioso perché è una sua figlia o un suo figlio. Il Signore, dunque, ci ama personalmente. Il Signore, dunque, ci salva personalmente! Preparando il sermone di oggi ho incrociato una frase che mi ha molto colpito e che credo descriva bene l’importanza che deve avere Dio nelle nostre vite, anche e soprattutto alla luce delle parole che abbiamo appena letto, anche e soprattutto alla luce delle sue dichiarazioni di amore, aiuto e protezione: “dobbiamo smettere di dire a Dio quanto grandi siano i nostri problemi e cominciare a dire ai nostri problemi quanto grande sia Dio”! Sorelle e fratelli, siamo qui oggi a celebrare una domenica “speciale”, un culto che noi giovani abbiamo voluto condividere con questa bellissima e accogliente comunità, all’interno di una serie di incontri giovanili che hanno attraversato tutto il nord Italia. Incontri che fanno parte, a loro volta, di un percorso molto più ampio di avvicinamento al Congresso della Fgei, previsto nel prossimo autunno. E in questa giornata abbiamo voluto sentirci tutte e tutti insieme chiamati a far parte della stessa comunità, della stessa famiglia. Se, infatti, è vero che il messaggio di Isaia è rivolto al popolo di Israele in esilio, e contemporaneamente a ciascuno e ciascuna di noi – passando dunque dal “collettivo” al “personale”, con l’avvento di Gesù quell’annuncio percorre anche la strada inversa. L’“Io sono con te” di Isaia diventa l’“io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” che abbiamo letto in Matteo. La promessa del Signore è dunque quella di rimanerci accanto, come singoli ma anche – e forse soprattutto – come comunità. E in quanto giovani della Fgei – anche se, a dire il vero, non molto numerosi in questa occasione – in quanto giovani battisti, metodisti e valdesi, in quanto giovani delle – e nelle – nostre chiese, vogliamo oggi condividere con voi il messaggio di unità che ci è stato dato: unità nelle differenze, nelle diverse radici e storie personali; unità tra generazioni e culture a volte lontane; unità nell’amore unico che il Signore dimostra a noi, alla sua chiesa e al suo popolo. Popolo che ha riscattato e salvato, e accanto alla quale sarà per i secoli dei secoli. Amen”